L’evento su richiamato è il primo di rilievo che si rinviene in questo secolo nella storia di Galatina, pur tra episodi salienti che percorrono il movimento cattolico in Italia dopo l’Unità, specialmente con riferimento alle iniziative dell’organizzazione politica religiosa dell’Opera dei Congressi fino allo scioglimento di essa il 28 luglio 1904 ad opera del segretario di Stato cardinale Merrj del Val. Si registrano poi l’opera del papa Benedetto XV, la fondazione del P.P.I. il 18 gennaio 1918 ad opera di Luigi Sturzo, ed il primo congresso del partito tenuto a Bologna dal 14 al 16 giugno 1919. A proposito della tattica elettorale, il congresso si divide in tre correnti: dell’intransigenza condizionata, dell’intransigenza assoluta e della transigenza. Di queste vicende non c’è traccia a Galatina, se si eccettuano opuscoli, manifesti, discorsi a stampa, riviste, giornali e bollettini di vario tipo che si conservano in casa Zamboi.
In quegli anni, intanto, c’è sempre all’ordine del giorno il movimento bracciantile che ha il fine di ottenere l’imponibile di mano d’opera, cioè l’aumento del numero di disoccupati ingaggiati dai singoli proprietari datori di lavoro, e salari migliori, ed insieme il movimento dei contadini poveri, specialmente degli ex combattenti che occupano le terre incolte e mal coltivate. Proprio in seguito a queste agitazioni si ridesta fra i cattolici di Galatina il clerico-moderatismo dei proprietari terrieri. Nelle elezioni generali del 16 novembre 1919 Antonio Vallone viene rieletto. E’ accaduto che, specialmente presso i dirigenti locali del P.P.I., su ogni altra considerazione è prevalsa l’ostilità verso il socialismo, e quindi essi hanno agito soltanto come forza di rottura dell’unità proletaria che spontaneamente viene allora formandosi a Galatina.
Il 7 febbraio 1925 muore Antonio Vallone e da allora l’ala borghese che ancora non si è fusa con i fascisti, rinuncia definitivamente a svolgere una funzione progressiva. Questa rinuncia coincide con l’entrata in forze dei cattolici nella vita politica cittadina. Si tratta di una svolta grandemente significativa, perché d’ora innanzi l’ala cattolica della borghesia galatinese, la borghesia guelfa, acquista un peso decisivo fino al punto che l’apparato amministrativo municipale e quello ecclesiastico agiscono in pratica concordemente in una lotta che ha come nemico principale il proletariato ed i partiti che lo rappresentano.
Non piccola parte ha avuto in questo processo l’attività degli istituti di credito di Galatina. La Banca popolare cooperativa, poi assorbita dal Banco di Napoli, è stata concessionaria per la coltivazione e manipolazione dei tabacchi orientali non solamente a beneficio dei soci, ma anche degli impiegati della Banca medesima. La Banca Mongiò ha invece erogato finanziamenti a mezzadri ed agricoltori che per lo più sono stati dei dipendenti dei proprietari della Banca medesima, la quale è così diventata un ingranaggio di accumulazione capitalistica. Fondata nel 1926, essa incomincia a svolgere la sua attività proprio negli anni di acuta crisi economica, quando la maggior parte dei contadini sono stati costretti ad indebitarsi. Mediante cambiale avallata da familiari, parenti ed altri, essi hanno preso con la destra il danaro della Banca Mongiò nella sua qualità di istituto di credito, e con la sinistra lo hanno versato alla stessa Banca nella funzione di ente amministrativo della proprietà terriera dei titolari della Banca medesima. Non si è trattato di una semplice partita di giro, ma di una meditata operazione finanziaria che, fra interessi legali, di mora e di commissione, ha dato corpo al processo di accumulazione capitalistica. La Banca Vallone, d’altro canto, ha moltiplicato il credito agli imprenditori di Galatina. Si tenga conto che tali operazioni economico-finanziarie sono state attuate in un contesto sociale dominato dall’ideologia ruralistica e piccolo-proprietaria. In conseguenza di ciò, la classe dirigente cattolica, nell’epoca post-liberale e post-fascista, ha sostituito nella gestione del potere a Galatina proprio la classe dirigente liberale. Si è così consolidata a Galatina una concentrazione di cultura cattolica che vede i capitalisti di Dio al posto del popolo di Dio.
Intanto il 25 ottobre 1924, fornito del necessario passaporto e di un soccorso in danaro da parte di un’alta personalità vaticana, don Sturzo parte per Londra e il P.P.I. viene abbandonato al suo destino. Il Vaticano con una operazione di arretramento politico ha scelto il fascismo, che “[…] ha soppresso la tirannide socialista, ha sconfessato, speriamo sinceramente, la massoneria, ha ristabilito l’ordine nelle pubbliche amministrazioni […]”. La curia pontificia concentra quindi la sua opera nel rafforzamento dell’Azione cattolica. Di essa la Chiesa ha fatto un’organizzazione capace di svolgere direttamente e per mezzo di altre istituzioni dipendenti una vasta opera di controllo delle attività politiche, sindacali ed economiche dei cattolici, di propaganda e di penetrazione culturale in tutti gli ambienti sociali, di sorveglianza sulla stampa, sul teatro, sul cinema, sulla radiotelevisione e sullo sport. Si ricordi la fascistizzazione dell’Azione cattolica. Il 19 aprile 1926 la Giunta centrale delibera di autorizzare i soci ad entrare nei sindacati fascisti. Nel dicembre di quello stesso anno viene costituito l’Ente nazionale fascista della Cooperazione. Il 29 maggio 1927 la Giunta centrale dell’A.C. delibera che è opportuno che le cooperative cattoliche collaborino con le altre forze cooperative, aderendo all’Ente nazionale per appoggiare fini di bene generale e per godere i vantaggi concessi dallo Stato.
2. Il canonico Tondi ed un clero ambiguo
Nel corso di questi eventi in Italia, è parroco a Galatina sin dal 1897, e conserverà la carica fino al 1935, il canonico D. Antonio Tondi. Nei circa quarant’anni della sua arcipretura, il canonico Tondi ha professato una ideologia organica e necessaria alla struttura rurale di Galatina, organizzandone la massa umana secondo schemi precisi. La proprietà privata, specialmente quella fondiaria, è un diritto naturale che non si può e non si deve violare, neanche con forti imposte. I poveri devono contentarsi della loro sorte, poiché le distinzioni di classe e la distribuzione della ricchezza sono disposizioni di Dio e sarebbe empio cercare di eliminarle o modificarle. Infine l’elemosina è un dovere cristiano ed implica l’esistenza della povertà. Siamo in presenza di una concezione della Chiesa non più come custode e madre di un principio religioso-morale, ma come organizzazione di interessi economici molto concreti che lotta contro altri ordini concorrenti. Col canonico Tondi ha collaborato un clero non omogeneo per preparazione culturale, zelo di apostolato e consapevolezza della propria missione. Accanto a D. Antonio Carratta e D. Giuseppe Mauro e D. Bruno Massa che si sono distinti per cultura e devozione, vanno registrati i nomi di D. Raffaele Distante che ha rinnovato con intelligenza e buon gusto in una certa misura le facezie del piovano Arlòtto, che ha benedetto i suoi fedeli esclamando: “domani vedrai, domani vedrai”, e quelli di D. Giuseppe Sambati detto Fica, D. Pietro De Benedittis o Samèle e D. Luigi Tundo o Piricòcu. Questi ultimi tre hanno praticato un sacerdozio molto diverso e originale che rimemora uno dei momenti eretici del medioevo. La pubblica opinione ha creduto di rinvenire nella loro vita un modo parodistico di vivere l’etica dell’ascetismo. In realtà essi hanno portato, nella storia del clero di Galatina, una carica razionalistica e liberatrice per la quale hanno fatto della “libertas” cristiana un metodo assai significativo di vita, molto vicino ai bisogni popolari. La “libertas” è stata per loro come un riflesso vissuto del mondo signorile che spesso si è ritenuto superiore alle regole della morale comune, per esempio nella vita sessuale. E così gli esponenti del clero di cui si parla, vivendo in un certo modo che si direbbe libertino, hanno inconsapevolmente indicato agli strati popolari di Galatina come comportamento tollerabile il riso, la facezia, fino al limite della libertà sessuale. Pensiamo alle veglie di intrattenimento semplice ed ingenuo, ma talora anche tra balli, canti e danze in casa Distante a Galatina ed a Santa Maria al Bagno, allorché Papa Rafèle è apparso nelle vesti del giullare tra galanteria e mondanità. Accanto alla impeccabilità e deificazione razionali utilizzate come strumenti di dominio dei gruppi dominanti, abbiamo avuto così a Galatina l’indicazione di una teoria e di una pratica diverse, cioè l’impeccabilità popolare, per la quale la cultura non è stata una condizione indispensabile, avendo prevalso su di essa l’istinto naturale. In altri termini anche in quei modelli di vita, al limite dell’eresia, il mondo dei semplici di Galatina ha potuto vedere espresse spinte di ribellione, e specialmente la plebe agricola ha rinvenuto impulsi a conquistare la sua indipendenza dal mito religioso, a riflettere e ad esprimere la volontà di appropriarsi di pratiche di vita del mondo signorile. Che poi il primo momento di liberazione sia passato attraverso la libertà sessuale è nella logica della natura. Se le premesse ed il significato di quei comportamenti sono questi, il canonico Tondi e la Curia Arcivescovile di Otranto non hanno violato la frontiera del buon senso, usando tolleranza nei riguardi dei loro confratelli di Galatina.
3. Il Circolo cattolico
Per tutti i primi sei lustri del secolo, a Galatina l’ideologia cattolica ha avuto il suo centro attivo nel Circolo sito in un locale di via Caracciolo. Lo ha presieduto Nicola Gizzi proveniente da una famiglia di un particolare ceto borghese, per il quale la religione informa dei suoi valori tutte le attività e gli organismi della vita individuale, familiare e collettiva. Nicola Gizzi è Gesù, e Biagio Mandorino è Giuda, il traditore iniquo e perfido, quando, nel corso della Settimana santa nel teatrino del Circolo si svolge la presentazione scenica del dramma sacro. E bisogna dire che l’uno e l’altro hanno saputo rappresentare bene, rispettivamente, l’ardore mistico nell’atto del dialogare dell’anima coll’infinito e col sovraumano, ed il pentimento e la ricerca di Dio e dei valori eterni che non deludono. Il ricavato dello spettacolo, unitamente a quello delle collette, delle fiere, delle riffe e delle lotterie è utilizzato in opere di beneficienza.
Il problema psicologico che ha caratterizzato i giovani frequentanti il Circolo – quasi tutti di media estrazione contadina e pochi provenienti dallo studentato – è stato la sessualità, vissuta come ossessione, come incubo molesto e come terrore angoscioso del peccato. Diverso è stato, invece, il modo di vivere la sessualità a Galatina da parte dei rampolli della media e alta borghesia. Accomunati sin da giovanetti nell’Associazione dei paggi, col vestito di velluto e lo stiletto al fianco e il piumaggio sul berretto, abituati a servire in Chiesa come nell’ultima corte feudale reggendo lo strascico al celebrante, hanno tuttavia subito una minore repressione sessuale. Sorretti anche dalle lettura delle pagine di Guido Da Verona, di Pitigrilli, di Mario Mariani e di Luciano Zuccoli, essi hanno vagheggiato un ideale estetico di donna oscillante tra la produttrice di prole e il ninnolo.
Se si indaga la spiritualità cattolica fra gli altri ceti di Galatina, ci si imbatte in tipi umani indimenticabili, coscienze umane arretrate ed opache, individui vissuti con caratteri organici di necessità permanente, persone vissute ai limiti dell’invasamento, cioè di un grave turbamento dei sensi e della mente. Ricordiamo negli anni Trenta Rafeluccia Mollona, una beghina della piccola borrghesia che negli ultimi anni della sua esistenza è vissuta in un crescendo di cupe fantasie fra cui talora ha fatto capolino il desiderio di atroce dissolvimento. Il suo è stato puro irrazionalismo e non crudele e desolato ascetismo quale testimonianza di un’anima intimamente lacerata. Nel ceto alto-borghese registriamo fino agli anni Cinquanta la figura ilare e simpatica di Pippi Gorgoni che, vestito di vigogna nera e pesante in tutte le stagioni, serve messa ogni mattina nella parrocchia di Santa Caterina, ma nella conversazione tra amici è un fuoco d’artificio di bestemmie empie e sacrileghe. Si dirà che siamo al confine del patologico, ma si può escludere che il bigottismo non sia elemento centrale di patologia? E ci viene innanzi, atteso ogni anno in tutte le case contadine di Galatina, all’inizio della primavera, il monaco di Gerusalemme col librone dei morti per la registrazione delle messe e delle offerte. Quel libro antichissimo ha un’anima per le vecchie contadine, e viene da lontano, “da Gerusalemme!”. Per esso la gente si è sentita trasportata in un mondo che ha racchiuso la voce di un mistero. La mano paziente del monaco non si stanca mai di sfogliarlo come si sfoglia il libro dell’universo senza mai trovare la spiegazione del mistero che ci circonda. Così il sentimento religioso popolare, materiato di vaghe aspirazioni e di istintive ed interiori ragionamenti senza sbocco, ha allontanato il ceto contadino dalla vita attiva, impedendogli di sentire più plasticamente la realtà della storia.
Si diffonde a Galatina nei primi decenni del secolo il culto per Giuseppe Benedetto Cottolèngo, fondatore in Torino della Casa della Divina Provvidenza per gli incurabili. Questo culto viene divulgato per iniziativa particolare del canonico Tondi, ed attecchisce soprattutto nel ceto borghese. Il Cottolèngo in vita è stato avversato dall’autorità ecclesiastica, in quanto egli ha voluto realizzare integralmente ed al di fuori dell’ufficialità un suo ideale tendente al lenimento delle sofferenze umane. Dopo la sua morte, la gerarchia ecclesiastica ne rivendica e ne sfrutta l’eredità (di qui la beatificazione nel 1917 e la canonizzazione nel 1934), proponendo un culto che privilegia l’esibizione di relitti di umanità, pezzi anatomici senza spirito e senza intelligenza, i quali, e converso, consacrano i sani connotati della classe egemone. La borghesia cattolica di Galatina, sotto la guida del canonico Tondi, si allinea perfettamente in questa operazione culturale mediante offerte, abbonamenti e la diffusione del bollettino della Casa della Divina Provvidenza.
4. Il cattolicesimo originale del prof. Brezzi

Paolo Brezzi
1910 – 1998
Proprio nell’anno in cui il Cottolèngo viene canonizzato (1934), a Galatina prende corpo un’iniziativa che s’ispira ad un cattolicesimo originale. Ne è promotore il prof. Paolo Brezzi, allora giovane docente di storia e filosofia del Liceo Classico “Pietro Colonna”, poi senatore della Repubblica, eletto come indipendente nelle liste di sinistra negli anni settanta. Al n. 58 di piazza Dante Alighieri, in una soffitta abitabile cui si accede per una breve scaletta, egli raduna la sera attorno a sé giovani studenti della nostra città e dà vita ad una specie di cenacolo con funzione critica all’opera delle associazioni cattoliche guidate dal clero cittadino. Si ascoltano così per la prima volta nuovi temi. La fede vera rifugge da ogni compromesso, non diventa mai abitudine passiva o superstizione grottesca e non vanifica la realtà spirituale che nasce dalla fiducia nell’uomo e nelle sue energie migliori. Incomincia a farsi strada, nella coscienza di molti giovani galatinesi, la ripugnanza per il rito, per l’esteriorità e per il simbolismo vuoto di ogni contenuto di fede. E finalmente viene la dissertazione, memorabile per chi ha avuto modo di ascoltarla, sulla preghiera e la bestemmia come due facce di una stessa realtà: la incomprensione dell’inconoscibile. Attraverso questo argomento, eretico in apparenza, i giovani studenti di Galatina hanno ricevuto impulsi che colgono l’uomo nell’intimità della sua coscienza e lo aiutano a rivelare sé a se stesso, e a conseguire la propria pienezza spirituale. L’opera del prof. Brezzi a Galatina non viene compresa o viene boicottata. Forse il seme cade in un campo non ancora preparato a riceverlo, e l’anno scolastico 1934-1935 si chiude con una chiassata di studenti, i peggiori, contro il docente. E’ la strozzatura definitiva di un embrionale cattolicesimo democratico che a Galatina non si rinnoverà più.
Intanto nel clero galatinese viene emergendo la figura di don Salvatore Podo, clericale intransigente e fermo nella difesa del potere temporale e restìo ad accettare lo spirito del nuovo stato unitario. Al suo nome è legato, per le ripercussioni che se ne ebbero a Galatina, il momento di contrasto nel 1931 tra il Vaticano ed il governo fascista dopo la Conciliazione del 1929. Sin dal tempo della conquista del potere, il fascismo ha mirato ad attuare nel campo giovanile il monopolio dell’unica organizzazione di Stato. Un decreto legge del 9 aprile 1928 ha sciolto definitivamente le organizzazioni giovanili non facenti parte dell’Opera Nazionale Balilla con inquadramento militare come gli Esploratori, ma non ha ancora colpito gli oratorii, i circoli cattolici e le altre opere giovanili che hanno finalità religiosa e fanno capo all’Azione cattolica. Nel 1931 si fanno sentire ancora in Italia gli effetti della grande crisi economica. Il malcontento della classe operaia dilaga. L’attività sociale dei cattolici allarma i fascisti. Nel mese di maggio si registrano in tutte le regioni violenze e devastazioni a danno soprattutto della F.U.C.I. e della Gioventù cattolica. Ed ecco che il 2 giugno viene l’ordine di sciogliere tutte le organizzazioni giovanili che non facciano direttamente capo al P.N.F. o all’O.N.B.. E’ il caso del circolo cattolico di Galatina. Don Salvatore Podo, nella sua qualità di assistente diocesano delle organizzazioni giovanili cattoliche, è in prima linea contro coloro che anche a Galatina vogliono educare i giovani all’odio, alla violenza ed all’irriverenza verso la stessa persona del papa. Il presule fa in tempo a convocare alcune concitate riunioni nella sede di via Caracciolo e comunica ai convenuti le ultime disposizioni di Pio XI. E’ consentito a chi ha la tesssera fascista ed è costretto a giurare per elementari ragioni di sussistenza e di sopravvivenza per sé e per la propria famiglia, di fare davanti a Dio ed alla propria coscienza la riserva mentale “salve le leggi di Dio e della Chiesa” oppure “salvi i doveri di buon cristiano”. Quindi il circolo viene definitivamente chiuso dall’autorità costituita. E’ il primo ed ultimo atto di un embrionale antifascismo dei cattolici galatinesi.
Nel 1935 muore il canonico Tondi. La gerarchia a Galatina è ora rappresentata da un comitato parrocchiale, che dura in carica fino al 1940, di cui è animatore don Giuseppe Sambati. Venuto meno lo spirito democratico, peraltro assai blando, il clero ed i cattolici militanti diventano l’elemento dinamico e costitutivo del regime fascista a Galatina. Essi prendono aperta posizione a favore dell’impresa fascista d’Etiopia ed appoggiano la guerra di Spagna come una crociata contro il bolscevismo. Il Congresso cattolico diocesano del giugno del 1938, coll’intervento dell’arcivescovo di Napoli, cardinale Alessio Ascalesi, segna l’apoteosi della fascistizzazione del clero locale. La città viene messa a nuovo, si scialbano le case, si applicano i canoni del tridentinismo religioso più coerente, con l’apparato esteriore dei tappeti e dei damaschi al balcone, ma non si propone una sola iniziativa feconda di un nuovo o rinnovato sentimento cristiano. Il Congresso esprime soltanto un carattere amministrativo e corporativo, a tutto beneficio ed esaltazione del podestà del tempo, comm. Angelo Ancora. Eppure in quello stesso anno al clero di Galatina non è mancata l’occasione per giustificare un certo distacco dal regime, ma l’occasione non è stata colta, perché è mancata la volontà e la preparazione. Pio XI, difatti, ha pronunciato l’enciclica Mit brennender Sorge sulle condizioni della Chiesa cattolica in Germania. In quel documento v’è la condanna dell’ideologia nazista imperniata sul concetto della superiorità della razza ariana e, quando anche in Italia viene adottata una politica antisemita e viene pubblicato il 14 luglio 1938 un manifesto razzista da parte di alcuni studiosi, più volte Pio XI ribadisce la condanna del razzismo, senza che nessuna eco di tutto questo si riscontri nel clero e nei cattolici di Galatina cui, proprio la mancanza di una cultura vivamente democratica, ha impedito di ravvisare nell’antisemitismo una motivazione profondamente anticristiana. E così nel 1940 viene nominato parroco della Chiesa Madre Mons. Salvatore Podo.
Siamo in presenza di un uomo diverso rispetto al giovane assistente diocesano del 1931. Con lui il clero e le organizzazioni cattoliche, mediante l’appoggio morale dato allo sforzo bellico, hanno rinnovato un valido e diretto sostegno alla stabilizzazione del regime fascista, consolidando una seconda linea di difesa del regime medesimo in città. Con Mons. Podo la saldatura tra posizioni anticomuniste e fiancheggiamento del fascismo al potere diventa a Galatina un fatto compiuto. Le conseguenze di questo legame si rinvengono al crollo del fascismo, quando vengono restaurati i partiti ed il filone cattolico a Galatina trova la sua più valida rappresentanza nella famiglia De Maria. Se la disgregazione della base di massa del fascismo avviene a Galatina con molta lentezza, si deve proprio all’opera efficace di mons. Podo e del clero che lo circonda, i quali la ritardano con tutti i mezzi, perché, dietro la caduta del fascismo hanno intuito un mondo ignoto e grave di incubi, lo spettro di sovversioni, di persecuzioni, di massacri e di scandalo. Nel ceto medio di Galatina, nelle campagne, fra i giovani e fra le donne, l’anticomunismo cattolico è diventato così una forza. La “barbarie rossa” in Spagna e “gli orrori” del bolscevismo in Russia hanno operato con straordinaria efficacia, perché sono stati propagandati con spirito non fascista, ma cattolico.
5. Elementi cattolici di subcultura
Attraverso queste vicende, a Galatina è nato e si è consolidato un modo di pensare cattolico quale guida ideologica volta al consolidamento del potere nei vari settori della vita civile. Esso ha però ignorato presenze rilevanti nell’orizzonte filosofico contemporaneo, le sole che avrebbero consentito la sprovincializzazione della cultura. Alludiamo, ad esempio, al pensiero del cattolico G. Capograssi che respinge qualsiasi irrigidimento metafisico e teologico, per conservare una problematicità storicistica grazie alla quale è possibile la ricerca di vie teoricamente corrette alla compatibilità del marxismo con la religiosità cattolica, in quanto anche per il cattolico potrebbe essere vero che non può darsi autentica rivoluzione religiosa senza rivoluzione politica, allo stesso modo che, come ha asserito Hegel, non può darsi autentica rivoluzione politica senza rivoluzione religiosa. E pensiamo anche a Felice Balbo che ha denunciato contemporaneamente l’inquinamento ideologico della religione, che toglie all’uomo la serietà drammatica della scelta morale, e l’inquinamento del marxismo che ha imprigionato l’uomo in una nuova metafisica.
Invano cercheresti, spogliando L’Eco idruntina (bollettino ufficiale degli atti dell’Arcivescovo e della Curia) degli anni sessanta, almeno a titolo informativo, riferimenti alla teologia della liberazione con cui alcuni settori di avanguardia del cattolicesimo francese hanno concorso alla formazione dell’atmosfera spirituale in cui è maturato il maggio del 1968. Ciò significa che la teologia del bollettino è scarsamente storicizzata in quanto i contenuti sono volti più agli aspetti della natura che alla condizione dell’uomo, col risultato che la concezione magica del mondo e sopravvivenze superstiziose rimangono inalterate.
Si difende ancora, in quelle pagine, una religiosità arretrata e primitiva, e si mantiene col popolo un rapporto di tipo pedagogico e repressivo, fatto di ossequio formale e di rinuncia ad un effettivo superamento dello stadio della superstizione.
6. Il fumo di satana alla radice dell’associazionismo cattolico
Se noi ora torniamo al mondo cattolico galatinese per analizzarne strutture e comportamenti, vi rinveniamo riflessa la medesima arretratezza culturale, intesa, oltre tutto, come una serie di orientamenti dovuti più ad interessi extra-ecclesiastici che ad esigenze evangeliche.
Omettiamo le crociate contro la cultura laica e progressista in questioni delicate come il matrimonio e l’amore coniugale, per le quali il clero di Galatina ha fatto propria l’antropologia androcentrica di S. Agostino e S. Tommaso, e ricordiamo, dopo il giugno 1972, la vasta risonanza che è stata data alle parole di Paolo VI dubbioso che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio.
Intorno a questa apocalittica prospettiva si è saldata l’unità politica dei cattolici galatinesi. E’ stata così impedita la formazione del dissenso cattolico e non si è giunti all’analisi critica del principio dello sfruttamento di classe, ed anzi è stato mantenuto il collateralismo dei cattolici nella dialettica politica. Le organizzazioni di ispirazione cattolica a Galatina, come le ACLI, la CISL ed anche la Coltivatori diretti, non hanno mai avuto una loro reale autonomia, e sono state sempre un braccio della parrocchia.
La Chiesa galatinese ha sempre idealizzato la povertà e non si è mai volta alla comprensione della natura del capitalismo e delle vie per superare i suoi squilibri e le sue ingiustizie e non ha mai rifiutato il compromesso e la collaborazione con la classe dominante. Esistono a Galatina gruppi sociali – tra loro differenziati – di cattolicesimo laico, i quali consolidano il moderatismo del clero. Alludiamo, ad esempio, al comitato che organizza in autonomia dal clero i festeggiamenti in onore dei patroni SS. Pietro e Paolo. Esso ha avuto una tradizione di matrice rurale che poi si è venuta sempre più urbanizzando. Ad una tradizione urbana, invece, si ispira una religiosità di tipo pietistico che si esprime in confraternite come quelle del Carmine e dell’Addolorata, un tempo ristrette ad artigiani o ad elementi di piccolissima borghesia mercantile, ed ora allargate all borghesia terziaria; o quella dei Battenti, che ha aggregato nei decenni trascorsi gli artigiani del cuoio e dei pellami, ed ora è inattiva da molti anni. Infine il terz’ordine francescano presso la parrocchia Santa Caterina si configura come gruppo di adorazione.
Vi sono inoltre i gruppi aggregati nelle parrocchie rionali radicate in una base contadina negli anni Sessanta inurbatasi e divenuta operaia.
Man mano, però, che il modello di sviluppo si è andato orientando decisamente verso i consumi, e la fascia piccolo-borghese ha trovato accesso a modelli di vita mondani, il cattolicesimo laico subculturale a Galatina ha incominciato a cedere di fronte agli impulsi del mondo moderno e profano. La congiunzione società civile-societa religiosa ha dato qualche segnale di venire a poco a poco dissociandosi di fronte al modello antagonista del mondo profano-laico. Si è trattato però di segnali molto tenui.
L’Azione cattolica, strutturata soprattutto secondo il modello geddiano, è stata l’organizzazione che a Galatina ha maggiormente accresciuto la diffidenza per il mondo e la sottovalutazione di esso da parte del clero locale. L’Azione Cattolica femminile viene organizzata dal 1925-1928 fino al 1970 in Circoli cattolici Santa Giovanna d’Arco, ed è divisa in A.C. Giovanile, alla cui presidenza si sono succedute Iole ed Antonietta Galluccio, Francesca Congedo, Palmina De Maria, Maria Campa, Maria Pasanisi e Marta Lazari, tutte casalinghe, ed in Unione Donne di A.C. che ha avuto come presidenti Giulia Antonaci, casalinga, Maria Balena, ostetrica, Ada Polimeno, insegnante, Maria Pasanisi e Giuseppina De Giorgi, casalinghe. Nel 1970 è avvenuta l’unificazione. L’A.C. Maschile, nata nel 1923 col nome di Circolo Don Bosco, ha avuto come primo assistente D. Salvatore Podo e come presidenti Giovanni Lazari, perito agrario, Raffaele Gizzi, tipografo, Giuseppe Ippolito, agricoltore, Giuseppe Mengoli e Giovanni Cito, impiegati, ed Antonio Zamboi, proprietario terriero.
Caratteristiche dell’organizzazione, sviluppatasi come riserva e supplenza del clero, sono state un’insistenza ossessiva su problemi di morale sessuale e familiare secondo canoni di inibizione, un devozionismo individuale, contraddistinto da modeste prerogative culturali. Inoltre, tramite i comitati civici, durante le tornate elettorali il fine apostolico è stato completamente obliterato. Vale la pena di rilevare che le linee operative dell’A.C. galatinese non sono cambiate dopo l’approvazione del nuovo statuto triennale fissato con lettera del 10 ottobre 1969 di Paolo VI all’assistente ecclesiastico generale per l’attuazione del Concilio. Il ruolo di supplenza, la concezione integralista e la compromissione politica sono rimasti inalterati, anche se i militanti cattolici hanno trovato dopo il 1968 nelle scuole e nei luoghi di lavoro un terreno più propizio per il loro impegno e testimonianza e per la dialettica della liberazione.
Non ci risulta nel mondo cattolico locale la presenza di circoli di Mario Fani, nati nel 1970 ad opera di Luigi Gedda, in nome del fondatore della Gioventù cattolica, né la presenza di Comunione e liberazione, un fenomeno di regressione che rinnova l’intransigentismo cattolico della fine del secolo scorso con la sua formazione cristocentrica.
Il ristretto nucleo delle ACLI, inoltre, sempre oscillante tra liberismo classico e collettivismo socialista, si caratterizza a Galatina, come del resto in tutto il Mezzogiorno, soltanto per ingenuità e premodernità moralistica, in quanto nel Sud d’Italia le ACLI non sono passate attraverso l’esperienza nazionale e popolare della Resistenza e della prima ricostruzione.
Esiste anche a Galatina una sezione dell’UCIIM, l’Unione cattolica italiana insegnanti medi fondata nel 1944 da Gesualdo Nosengo per sostenere princìpi e metodi educativi conformi al pensiero ed alla morale cristiana. Nessuno tra i suoi componenti, per lo più donne, ha avuto un ruolo nella riforma della scuola media inferiore del 1963 che ha fatto perdere all’UCIIM molti iscritti sulla questione del ridimensionamento del latino. Nel 1971, poco prima del XII Congresso, nonostante che il Consiglio centrale dell’Unione abbia dichiarato chiusa l’epoca del collateralismo coi Sacerdoti autonomi, gli insegnanti di Galatina aderenti all’Unione concepiscono la scuola come un prolungamento od una proiezione della Chiesa stessa, nel senso che la trasmissione del sapere fa tutt’uno con la trasmissione della grazia, e continuano a trascurare l’impegno sindacale unitario.
Assai ristretta è la rappresentanza scoutistica locale. La spiegazione è che lo scoutismo impone una scelta politica, volta a respingere, nel rispetto delle scelte democratiche ed antifasciste, ogni forma liberticida di violenza palese ed occulta, e tutto ciò a partire dalla realtà locale, di quartiere e di territorio. Di qui la prudenza che suggerisce di non venire mai allo scoperto.
In conclusione, il mondo cattolico galatinese è rimasto per lunghi anni immobile e non si è lasciato scalfire dal momento conciliare e postconciliare, ingabbiato in un limite subculturale consistente nel mancato arricchimento di temi propri della transizione verso una società più moderna e più emancipata. E’ restata in piedi la concezione medievalistica della vita ed una sotterranea ostilità al pensiero moderno come diffidenza antilluministica di origine ottocentesca. Nel militante cattolico galatinese è prevalso il convincimento che le due culture, quella liberale e quella marxista, discendono da uno stesso nucleo ideologico areligioso, ed in quanto esaltano nel momento educativo i principi di autonomia e di libertà di pensiero, sono responsabili di aver operato e di operare a danno del senso religioso della società. Il cattolico galatinese non ha concepito l’antifascismo come valore, poichè ha visto in chi vi ha aderito una cultura laica, illuministica, radicale ed infine marxista. Per questo il mondo cattolico galatinese è rimasto arroccato sul valore irrinunciabile della fede e sul piedistallo di una cultura totalizzante e senza dialogo. Non molto diversa ci appare la cultura diocesana idruntina.
[Memorie di Galatina. Mezzosecolo di storia meridionalistica e d’Italia, Mario Congedo Editore, Galatina 1998, pp. 87-96]