di Franco Martina
Giovanni Bernardini condivise il destino della generazione degli anni 20. Era uno di quei giovani che si formarono interamente negli anni del fascismo e perciò investiti in pieno dalle conseguenze del proprio passato, delle presunte convinzioni e, non di rado, delle proprie scelte, a volte delle proprie azioni. Ripensare o giudicare quelle vite e quelle scelte, al netto degli elementi esterni che le condizionarono, può facilmente portare a conclusioni superficiali e quindi non solo sbagliate, ma ingiuste. Per quanto pesante sia stato quel passato, per quanto sia stato difficile affrontarne, poi, le conseguenze gravate su quei giovani che si affacciavano nuovamente alla vita, dopo aver visto e vissuto le atrocità della guerra, è esattamente quel passato che occorre sapere, per comprendere e giudicare le scelte successive di ognuno.
Il 21 aprile 1935 Giovanni frequenta la seconda classe del Liceo-Ginnasio ‘C.Rinaldini’ a Pescara, ha 13 anni. Deve trattare il tema in classe che la giornata impone: il ‘Natale di Roma’, che dal 1924 per volontà di Mussolini era diventata la festa del lavoro. Lì Giovanni mette in bell’italiano ciò che gli hanno insegnato.
“… il Duce, non appena assurto al potere, ha voluto ripristinare questa festa perché tutti gli italiani, ricordando la fondazione della città eterna, fossero orgogliosi di Roma imperiale, dominatrice del mondo allora conosciuto e maestra di civiltà a tutti”
Ma poi arrivava al nocciolo più politico della ricorrenza e anche qui mostrava la sua diligente applicazione: