Manco p’a capa 137. Sulla valutazione universitaria

di Ferdinando Boero

Leggo degli studenti che si suicidano. Come ogni fesso che si rispetti, dico: smidollati, ai miei tempi queste cose non succedevano. In effetti non successero a me, ed è pratica comune ritenere che il proprio vissuto rappresenti “la storia”. A partire dalla prima media sono sempre stato rimandato e al liceo (scientifico) sono stato bocciato due volte. Nessun senso di inadeguatezza, insicurezza o fallimento. All’università ho capito che studiare è bellissimo e non mi sono più fermato. Ho affrontato molti insuccessi, ma ogni botta mi ha reso più forte.
Scrivo questo pistolotto, e un caro amico torna dal passato: si è suicidato proprio per questi motivi, quando eravamo così giovani. Tubo di gomma nello scappamento dell’auto, l’altro capo nell’abitacolo. Un altro finse di aver dato tutti gli esami senza averne dato uno. Lasciato dalla moglie. All’epoca gli amici erano pochi, e non erano virtuali. Due casi nella mia cerchia di amicizie degli anni 70-80 sono molti ma, “ai miei tempi”, queste cose non erano amplificate dai media. C’era anche il bullismo, solo che i bulli non si filmavano con il cellulare, postando poi i video delle loro imprese. Nessuno parlava di pedofilia, perché “stava male”. Questi casi ci sono sempre stati, temo. E ora stiamo passando da un estremo (ignorarli) all’altro (farli diventare la regola).

Ho fatto esami per 40 anni. Una delle tante riforme dell’università decretò che se gli studenti non sono in regola con gli esami, e vanno fuori corso o abbandonano, noi non facciamo bene il nostro mestiere: devono passare tutti, e in tempo, pena la riduzione dei fondi assegnati. Ci chiesero che l’università diventasse un liceo: mi adeguai. Feci una lista di centinaia di domande che coprivano tutto il programma e le diedi agli studenti.

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