La passione e l’entusiasmo: cosa insegnano i veri maestri

Forse il pensiero critico non matura da solo. Forse ha bisogno di qualcuno che insegni a pensare. Ha bisogno di maestri. Ma questo è un tempo che non ha o che non riconosce maestri. Forse questo è brutto, forse è bello. E’ brutto quando si cancella tutto quello che è accaduto prima, quando non si tiene conto delle esperienze fatte da altri, quando si ritiene, presuntuosamente, arrogantemente, sfrontatamente, di essere i primi a pensare qualcosa, a costruire qualcosa. Quasi che nell’istante di vita concesso ad ognuno cominci ogni opera di pittura e di scultura,  di meccanica e di poesia, di falegnameria e di filosofia,  l’interpretazione dei sogni e il gioco  del pallone. Quasi che in quell’istante nasca l’arte del narrare, l’arte d’insegnare, quella di coltivare,  la musica, l’architettura, la tecnica della regia. Come se il mondo si stia creando  in quel momento, che in quel momento abbia inizio l’avvicendarsi  del giorno e della notte, che si debba provvedere a dare un nome agli esseri e alle cose,  senza tenere in considerazione la circostanza che il mondo è cominciato già da qualche tempo, che il nome agli esseri e alle cose è già stato dato, che una volta un uomo partendo dalla terra è arrivato sulla luna. Senza tenere in conto tutto questo.  Si pensa che il passato sia un prodotto scaduto.

E’ bello non riconoscere maestri in assoluto quando si aspira a superarli con umiltà, con consapevolezza, quando si cerca di  sviluppare il loro insegnamento, di oltrepassare la soglia sulla quale si sono fermati. In fondo, la suprema ambizione di ogni maestro, di ogni vero maestro, è proprio il superamento da parte del suo discepolo.

Il tempo che attraversiamo non vuole maestri. Quello che c’è stato prima non conta. Chi c’è stato prima non conta. La Storia non conta. Pensiamo che nessuno sia in grado di insegnarci qualcosa. Sappiamo già tutto oppure pensiamo che quel poco che non sappiamo non abbia rilevanza e che comunque lo si possa apprendere da soli, con strumenti  evoluti  che magari colui che ha fatto la stessa arte prima di noi non ha conosciuto. La supponenza, la tracotanza, la presunzione, sono concentrate in questo pensiero, nella fantasia che non si abbia niente da imparare o che nessuno possa insegnarci quello che dobbiamo imparare.

Molte condizioni contribuiscono a determinare questa vanagloria. Per esempio, la trasformazione rapidissima di ogni cosa, soprattutto degli strumenti con cui si agisce in  qualsiasi settore, oppure, più profondamente, dei concetti che costituiscono gli elementi fondamentali di un’arte, di un sapere, oppure, ancora più profondamente, la consapevole o inconsapevole rimozione dei riferimenti.

Ma il maestro non è soltanto colui che insegna un’arte, un mestiere. Maestro è soprattutto colui che insegna ad avere entusiasmo, passione per un’arte, un mestiere. Forse, in questo  tempo nostro, abbiamo un bisogno, più o meno consapevole, di apprendere l’entusiasmo, la passione per quello che facciamo, o che pensiamo di fare domani, domani l’altro. Così era, una volta. La perfezione tecnica importa, sì, ma relativamente. Gli errori importano, relativamente. La cosa che importa – assolutamente – è credere che le cose che si fanno possano cambiare in meglio quelle che si hanno. Importa consegnare un senso ulteriore alle proprie storie, alle storie degli altri. Scoprire significati sempre nuovi in ogni faccenda. Tentare la profondità, non restare in superficie.  Considerare ogni conoscenza come un’avventura irripetibile, straordinaria. Esattamente come l’esistenza.  

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 9 aprile 2023]

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