A Milano frequenta il Bar Giamaica,rivede Lucio Fontana, conosce Piero Manzoni, entra in contatto con molti dei protagonisti dell’arte programmata e cinetica. In occasione del “IX Premio Silvestro Lega” di Modigliana del 1967, riservato ad opere di quest’ultimo genere, solo e in mezzo a “gruppi artistici” già consolidati, riesce a spuntarla nei loro confronti. Si accosta alla Galleria del Cenobio dove espone opere “povere” in cartone intrecciato, ma fondamentale è per lui l’incontro con il gallerista di origini pugliesi Guido Le Noci, fondatore della storica Galleria Apollinaire, dove hanno esposto i Nouveaux Réalistes di Pierre Restany. Il critico francese conosce Marrocco, rispetta la sua indipendenza creativa, intuisce l’importanza delle sue ricerche in ambito comportamentale e nell’environment, ne analizza il messaggio profondo spesso orientato verso il binomio uomo-natura, ammira la maestria con cui l’artista pugliese manipola il fuoco, come in occasione delle storiche celebrazioni milanesi del “X Anniversario della Nascita del Nouveau Réalisme”, al fianco di Jean Tinguely. Alla fine non ha dubbio alcuno nell’individuare in lui il degno successore di uno degli artisti fondatori del gruppo, prematuramente scomparso alcuni anni prima, vale a dire Yves Klein, cogliendo delle straordinarie analogie nel percorso filosofico-artistico e intravedendo proprio nella solitudine del cammino una delle doti che renderebbero l’opera di Marrocco esemplare, al punto da farne “uno dei più potenti manifesti vitalisti della nostra epoca”.
Il vitalismo di cui parla Restany è ovviamente quello di tipo “bergsoniano”, dove l’artista si pone nei confronti della natura in generale e della materia in particolare in un atteggiamento d’indagine non certo basato sulla scienza, bensì sull’intuizione, alla ricerca costante di una sintonia o meglio di una simpatia capace di ridurre la distanza dall’oggetto e consentire una perfetta compenetrazione spirituale. Che questo procedimento avvenga in Marrocco, come del resto anche in Klein, attraverso un “atto di fede alchemica”, un “sincretismo animista”, oppure ancora riferimenti di tipo “sciamanico” , o infine un vero e proprio cammino di “ascesi spirituale”, di altro non si tratterebbe se non di una varietà di disposizioni indirizzate verso la medesima finalità profonda. Sotto questa luce l’approccio estetico di Marrocco non ci appare neanche troppo distante dalle speculazioni di un altro filosofo post-kantiano, vale a dire Schelling, quanto meno nel tentativo di raggiungimento della “realtà delle cose”, allorché l’artista pone in atto con efficacia quel superamento dell’antinomia tra natura, che è spirito visibile e spirito che è natura invisibile.
Marrocco non delude le aspettative di Restany. Così negli anni ’60 indugia sull’accostamento di materiali naturali e tecnologico-industriali, dai sassi “simili ma non uguali” al libro d’artista in plexiglas con un “formicaio reale e leggibile” in luogo delle pagine, fino al “giardino di molle sonore” oscillanti tra i rami del parco, ed inizia poi a trattare con padronanza le tele emulsionate, pioniere tra pochi altri pionieri, come Mimmo Rotella, Gianni Bertini, Mario Schifano.
Negli anni ’70 continua a consumare i suoi riti collettivi, bruciando fumogeni colorati in giganteschi teloni, sì da trasformarli in “sudari di stelle” sulle tracce alchemiche del big-bang dell’universo, esegue innumerevoli performances d’interesse sociologico-ambientale, progetta di trasformare la bocca del Vesuvio in una sorta di “bruciatore” di rottami d’auto, esplora tutte le potenzialità del mezzo filmico e fotografico, arrivando a rimpicciolire all’inverosimile la sua immagine nel tentativo di tramutarsi in un lillipuziano e compiere un “viaggioall’interno della percezione”.
Persevera inoltre nelle sue “esplorazioni materiche” e, affascinato dalle rotte di esploratori ed antropologi, non disdegna di prendere a prestito dalle più antiche culture del Mediterraneo i procedimenti arcaici di mummificazione che egli destina ad assi e bastoni in legno, immergendo a mani nude vecchi stracci in barili colmi di colla, resina e colori ed assaporando ancora oggi parte di quel fanciullesco piacere manuale, depositario di un metodo personale di indagine costantemente e coerentemente fondato sulla ricerca dei germi della memoria ancestrale.
[in “Armando Marrocco – Incipit Persistente – opere 1959-1979) Catalogo della mostra , Bari 2010 Stampa P&S, Modugno]