La Via della Passione di Nello Sisinni

Inoltre Sisinni, nella sua costante e appassionata frequentazione di musei  e mostre e di visite a monumenti, si è ispirato spesso a opere d’arte del passato che ha cercato di ricreare, quasi per carpirne i segreti,  attraverso  una sterminata produzione di disegni. Una delle caratteristiche principali della sua arte è infatti la tendenza ad andare oltre la superficie delle cose, degli oggetti rappresentati, nel tentativo di coglierne l’essenza. Per questo la cifra inconfondibile dei suoi lavori, pittorici e plastici, è l’espressionismo che gli permette di superare fulmineamente il mero dato fenomenico e afferrare la sostanza nascosta  della realtà.  E, da questo punto di vista, fondamentale è stata la lezione di Oscar Kokoschka, uno dei maestri della pittura espressionista, da lui conosciuto personalmente e frequentato per un certo periodo, agli inizi degli anni Sessanta, nella sua residenza francese di Villeneuve.

         Nel campo della scultura, alla quale si è dedicato da poco più di due decenni, Sisinni ha realizzato, tra l’altro, una serie di busti e ritratti, un ciclo di “veneri messapiche” e alcuni bassorilievi che raffigurano episodi mitologici e storici. Con le quattordici stazioni della Via della Passione egli ha voluto confrontarsi ora con una ricca tradizione, senza rinunciare però a certe sue radicate convinzioni artistiche e ideologiche. A questo lavoro si è dedicato con un impegno totale, umano e artistico, come d’altronde il  tema richiede.

Lo dimostra anche una grossa agenda rilegata in pelle di colore marrone, di mm. 24,5 x 17 (contrassegnata dal  n. 51, scritto a mano dall’artista, con un pennarello,  in alto a destra sulla copertina), che contiene 211 schizzi, tutti numerati e spesso accompagnati da riflessioni e appunti, eseguiti tra il dicembre del 2011 e il mese di maggio dell’anno seguente. Quattordici di essi (quelli numerati dal n. 16 al n. 28) sono preparatori delle “stazioni” vere e proprie, delle quali riportano anche i titoli. A questi se ne aggiungono altri due, con l’indicazione “per la I [stazione]” (n. 35) e “per la X” (n. 50). Tutti gli altri sono ‘variazioni’ di alcuni episodi della Via della Passione, come la Crocifissione, la Deposizione e le cadute di Cristo, nonché studi di figure, di volti, di particolari anatomici. Questo materiale risulta, com’è facile capire, di estremo interesse per comprendere meglio le motivazioni che sono alla base del suo lavoro  e lo spirito con cui egli si è accinto ad esso.

Tra gli schizzi, realizzati con varie tecniche (penna, matita grassa, sanguigna, pastelli, acquerelli), spiccano quelli dedicati al tema della Crocifissione, che per i cristiani  rappresenta l’evento culminante dell’intera storia dell’umanità. Questo tema, per la sua eccezionale pregnanza, è stato  affrontato spesso da Sisinni,  anche in funzione dell’attuale lavoro sulla  Via della Passione. Nella figura di Cristo in croce, per l’artista, si riflette non solo la sofferenza dell’umanità, ma l’esistenza stessa dell’uomo in ogni suo aspetto. In un appunto recente, che mi ha inviato tramite e-mail, ha scritto infatti: “mi succede che quando mi trovo o penso alla crocefissione, non mi rassegno di essere davanti a due tavoloni di legno sistemati perpendicolarmente tra loro su cui è inchiodata una stupenda e commovente figura del Crocefisso. La croce non si compone di due stanghe lignee ma da infiniti percorsi a raggiera confluenti al centro di un costato sanguinante;  ognuna di queste vie, come tutte le strade della terra, ha un suo nome: sofferenza, carità, perdono, amore materno, passione per una donna, sorriso di un anziano, sguardo di un bambino affamato, un malato che soffre e che spera, ecc. ecc. La croce è la grande storia del verbo ‘essere’ che a tutt’oggi  nessuno, forse,  ha ancora scritto”.

Alcuni disegni di ‘crocifissioni’ ispirati al Pulpito di Nicola Pisano, che si trova nel Battistero di Pisa, e a quello di Giovanni Pisano, sono stati pubblicati, ad esempio, nel volume I miei “segni” di Pisa 2004-2005  (con una introduzione di  Mario Marti, Galatina, Edizioni Panico, 2006). Ma altre ‘variazioni’ sul tema sono quelle che figurano nella presente pubblicazione. In questi disegni Sisinni ‘ricrea’ alcune scultore del diciassettesimo secolo (non solo Crocifissioni, ma raffiguranti anche l’“Ecce Homo”, il Cristo alla colonna e il Cristo morto), opere  di anonimi maestri o di un artista insigne come Vespasiano Genuino, collocate nelle chiese di vari centri del Salento interpretandole a suo modo, con i suoi ‘segni’ e i suoi colori.  E qui, con  la consueta energia del tratto, rapsodico e predace,  sembra  quasi voler indagare sul mistero che si cela dietro a quella tragica figura di Uomo-Dio.

Nell’agenda n. 51  il Cristo in croce è presente poche volte da solo, mentre nella maggior parte dei casi la scena è sempre affollata di figure di soldati, ma anche di gente del popolo, donne soprattutto, che sembrano partecipare sgomente al tragico evento, in un clima di forte drammaticità, di tensione insopprimibile che si rivela dalle espressioni dei volti, dai gesti pieni di pathos. La partecipazione collettiva della gente, la coralità, è infatti il dato caratterizzante di tutta la Via della Passione di Sisinni, dalla quale peraltro mancano del tutto ammiccamenti a personaggi dell’attualità, come talvolta succede in questi casi.

Ma nell’agenda, come s’è detto, compaiono anche studi di figure, di volti, di particolari anatomici. Numerose sono, ad esempio, le figure di soldati, a piedi o a cavallo, da soli o a gruppi, quasi sempre dotati di elmi, lance e scudi, che costituiscono il “pianeta militare”, per usare una definizione del poeta dialettale magliese Nicola De Donno  citata affianco allo schizzo n. 74 e che è tratta dalla raccolta La guerra guerra, illustrata proprio da disegni di Sisinni (Fasano, Schena, 1987). Come pure numerose sono le figure di donne, spesso con bambini in braccio, le quali sono la testimonianza  della tenerezza e della commozione in un mondo arido e violento. Presenti ancora sono studi di volti, di mani, alle quali Sisinni affida spesso l’espressività di un’immagine, nonché di arti inferiori.

 Una sezione particolare è quella degli schizzi, a volte incollati sui fogli dell’agenda, che ritraggono i volti di alcuni degenti dell’ospedale di Scorrano, dove l’artista venne ricoverato nel febbraio-marzo del 2012. Si tratta di volti di vecchi ritratti durante il sonno che esprimono tutta la loro sofferenza nella contratta espressione dei lineamenti o, anche qui, di particolari delle loro mani rattrappite. E nella pagina accanto a quelle dove sono incollati gli schizzi n. 145 e n. 146 viene riportato un toccante  brano tratto da un libro dello scrittore salentino Giovanni Bernardini, dal titolo Ed io parlo, scrivo e fumo (Copertino, Lupo, 2010), in cui il sonno del “vecchio” è definito “una prefigurazione della morte”.

Non mancano nemmeno, tra gli schizzi presenti nell’agenda, riferimenti a capolavori dell’arte dei secoli passati, tra i quali segnaliamo il Cristo morto del Mantegna, conservato nella Pinacoteca di Brera di Milano  (n. 64) e la Pietà Rondanini di Michelangelo, collocata nel Castello Sforzesco del capoluogo lombardo  (n. 192, n. 193), a dimostrazione della funzione costante che svolge la ‘memoria’ nel lavoro dell’artista salentino.

         I disegni sono accompagnati spesso, come s’è detto, da brevi annotazioni di varia natura (da noi indicate qui con il numero dello schizzo posto tra parentesi), che permettono di entrare nel ‘laboratorio’ di Sisinni chiarendo il senso e la direzione del suo lavoro. Particolarmente significative sono, ad esempio, le riflessioni di carattere artistico, dalle quali emerge innanzitutto la volontà di liberarsi dagli schemi prefissati per raggiungere una propria originalità di espressione. Non a caso il primo appunto recita così: “Il valore artistico sta nella forza del linguaggio individuale che ogni artista possiede” (n. 1), mentre nel secondo si mette in rilievo l’importanza dell’interiorità nella creazione artistica: “Solo nell’intimità spirituale ed espressiva dell’uomo si trova il vero sentire. Un sentimento che è nell’uomo stesso” (n.2).

Ritornando sul concetto di originalità, si ribadisce:  “L’arte  è tanto maggiore quanto meno rientra in una scuola” (n. 75), e ancora: “Il linguaggio personale è tanto più espressivo quanto più marcata è la deformazione delle forme plastiche” (n. 132). In un’altra annotazione (n. 8), si esalta invece la carica esplosiva della “fantasia” che viene definita “l’enciclopedia dell’umanità”.

         In queste affermazioni è possibile notare proprio l’influenza decisiva esercitata su Sisinni dai grandi artisti espressionisti che hanno rivendicato l’assoluta libertà in campo creativo, volendo comunicare in modo diretto un sentimento, uno stato d’animo, senza controlli di sorta, anche a rischio di far sembrare sbrigativa e imperfetta la realizzazione di un dipinto o di un’opera plastica. E questo concetto infatti viene riaffermato ancora più chiaramente in un altro appunto: “È bene distruggere quasi sempre la forma per cercare un significato profondo” (n. 69).

         Anche per questo è proclamata la costante “ricerca dell’espressione” (n. 4), che bisogna cercare di “rendere più intensa. Aiutandosi – scrive ancora una volta Sisinni – ove possibile, con deformazioni e raggiungendo un maggior contrasto” (n. 62). Il fine del linguaggio espressionista, infatti, è quello di trovare una  ‘verità’  che va oltre la realtà visibile e che si può raggiungere soltanto attraverso la distruzione della forma (la “deformazione” appunto).

         Collegati al concetto di “deformazione” sono quelli di “rapidità” nell’esecuzione che permette di raggiungere l’obiettivo senza pentimenti e, al tempo stesso, quelli  di ‘semplicità’ e di ‘popolarità’: “Ogni figura deve essere composta in argilla con forme semplici e popolari” (n. 29).  Per questo “Il tutto deve essere modellato con  chiarezza, in modo da non confondere la percezione di chi guarderà il lavoro” (n. 30).

Non bisogna pensare però che l’arte, per Sisinni, sia il frutto di istinto e improvvisazione,  perché anzi tutto deve essere attentamente calcolato: dal rispetto delle “proporzioni” che devono essere sempre “effettive” (n. 41), alla cura dello “schema compositivo”  (n. 42), che “è sempre il punto di partenza di un’opera” (n.50), nonché dei “particolari”, i quali non devono essere “ ‘costruiti’  ma segni di contrasto percettivo come una messa a fuoco mentale” (n. 51).

         Ma le riflessioni, le note vergate sull’agenda riguardano anche l’uomo Sisinni, il suo vissuto, la sua storia familiare, che incidono sulla composizione dell’opera. In un appunto, ad esempio, c’è il riferimento all’esperienza artistica paterna: “Affronto ogni segno con il linguaggio e la ricerca del processo percettivo come esperimento di una passione arricchita da un continuo contatto con le opere di mie padre” (n. 5). In un altro emerge invece il ricordo della processione del Venerdì santo nel paese natio, Bagnolo del Salento, alla quale partecipava da ragazzo e che lo “porta a interpretare con maggiore forza drammatica ed espressiva il tema del ‘Crocifisso’“ (n.31).

         Ma, accanto alle riflessioni di tipo artistico, nell’agenda compaiono anche appunti riguardanti il significato che Sisinni attribuisce all’evento rappresentato. Ebbene, l’artista vede nella Via della Passione  il simbolo più alto del dolore, della sofferenza dell’umanità. Non a caso insiste più volte sul rapporto che vuole istituire con le sue opere tra il mondo degli uomini, la realtà terrena, e la sfera divina: “Cerco una linea comune tra l’umano e il divino senza trascurare la natura delle cose” (n. 3), e ancora: “Ogni personaggio deve raccontare la sua storia a Cristo (anche se Cristo la conosce già)” (n. 44).

D’altra parte, costante è anche il riferimento alla sofferenza quotidiana che è un mezzo per arrivare a Gesù: “Si può arrivare a Cristo solo se si riesce a conoscere la realtà quotidiana di ogni persona sofferente che è in mezzo a noi. È qui che si esperimenta l’emozione e l’‘argilla’. ‘Linee’ di argilla a quattro dimensioni. Un bassorilievo di sentimenti vibranti” (n. 28), dove è possibile notare anche il completo coinvolgimento emotivo di Sisinni durante la realizzazione di quest’opera.

E numerosi schizzi sono dedicati proprio, come s’è già detto, oltre che ai vecchi, ricoverati nell’ospedale di Scorrano, ai volti  “della gente semplice” (n. 139) che si incontra nelle strade, nelle piazze, perché – sostiene in un altro appunto – “la brulicante realtà della quotidianità deve essere sempre presente in ogni opera d’arte” (n. 122). Infatti la Crocifissione diventa, per l’artista, un simbolo e un esempio di apertura agli altri (“Il dolore della crocefissione è la legge dell’amore che impersona tutti noi e la gente che soffre. Il dolore ci insegna e ci aiuta ad amare e ad amarci”, n. 26), oltre a denotare un “concetto universale, uno scontro tra il bene e il male, tra la sofferenza e il perdono” (n. 11), dove emerge anche il significato salvifico della passione e morte del Redentore che egli riesce a cogliere.

Passando ora alla concreta realizzazione, si noterà che il comun denominatore delle quattordici formelle è costituito ancora una volta dal tratto fortemente espressionista che mira alla deformazione delle figure per dare ad esse un senso più profondo e una intensità maggiore, a costo anche di infrangere i canoni tradizionali nella rappresentazione della Via della Passione. Questa caratteristica emerge fin dal primo bassorilievo, con la figura di Cristo e quella di Pilato, saldamente inseriti all’interno di una struttura architettonica, di notevole rigore compositivo, rappresentata dalla sala del Pretorio, e circondati dai soldati, mentre in basso emerge di spalle una figura femminile che col suo gesto sembra quasi voler impedire l’ingiusta condanna.

Questo schema, senza più la figura di Pilato ovviamente, si ripete con qualche variazione nelle successive, fino alla decima formella. Anche in queste infatti la figura di Cristo, al centro della scena, è sempre accompagnata da una folla che partecipa da vicino  al tragico evento. Sono soprattutto le donne, spesso con bambini in braccio, raffigurate in preda a una profonda disperazione espressa da una  gestualità piuttosto accentuata, che danno il senso di una partecipazione collettiva alla vicenda. I soldati invece, che sembrano quasi ostentare i loro simboli guerreschi (“lu pianeta militare”, di Nicola De Donno),  rappresentano l’oppressione e la durezza del potere.

Meritano un’attenzione particolare le tre cadute di Cristo, nelle quali la croce viene come smaterializzata da Sisinni, tanto è vero che Gesù sembra non risentire del suo peso e anche quando è a terra, essa non lo schiaccia più di tanto. Qui il Cristo piegato sotto la croce  diventa, per l’artista, il simbolo dell’umanità debole e malata, come il Cireneo che aiuta il Salvatore a portare la croce, nella quinta formella, è l’emblema della solidarietà con i sofferenti e gli oppressi.

Dall’undicesima stazione ha inizio la parte più intensa e drammatica della Via della Passione. In questi ultimi quattro lavori  prende sempre più rilievo il corpo di Cristo che si staglia gigantesco sulle altre figure. Spariscono i soldati, che ormai non possono svolgere più alcuna funzione, mentre restano ancora le donne che nella Crocifissione sembrano sfiorare e quasi voler accarezzare il Redentore.  E accanto alla figura di Gesù nelle ultime tre “stazioni” spicca quella della Madonna che con la sua espressione tragica e severa sembra quasi racchiudere in sé il dolore universale.

[Introduzione a Sisinni, La Via della Passione, Galatina, Edizioni Panico, 2013]

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