Conoscenza e stupore per la bellezza di ogni tempo

La bellezza sopravvive in ogni tempo. Anche in quelli più oscuri della Storia. Talvolta  si  inabissa ma poi  riemerge.  Sopravvive alle turbolenze, alle tempeste, alle contraddizioni che i tempi portano nel loro divenire, contrastando le brutture, le alterazioni, proponendosi come approdo per una salvezza, dicendo che probabilmente il mondo non riesce a salvarlo, ma un’esistenza soltanto forse sì. Un’esistenza soltanto: che vale quanto il mondo per intero. Scrive  Ghiannis Ritzos in “Crisotemi”, uno dei suoi poemetti: “Soltanto l’amore –come dicono – e la bellezza – resistono un poco al tempo”.

La bellezza sopravvive in ogni luogo. Anche quando i luoghi si corrompono, si deformano, quando diventano irriconoscibili, si trasformano in non luoghi, anche quando perdono l’identità, le connotazioni, quando si depriva di significati quella stratificazione di cultura che James Hillman ha definito anima dei luoghi. Quando questo accade, la bellezza volge lo sguardo verso le forme che provengono dal passato, quelle espressioni che  sono in grado di rappresentare com’erano quei luoghi e com’erano le creature che li abitavano, consentendo le comparazioni, le valutazioni. Spesso anche le nostalgie. Spesso è dalle nostalgie dei luoghi che derivano le storie sulla bellezza.

La bellezza sopravvive a tutto, dice Brodskij, dunque.

Ma per poter sopravvivere, la bellezza ha bisogno della conoscenza. Senza conoscenza, perde ogni possibilità di significato. Se sopravvive senza che sia riconosciuta, non può produrre verità. Allora bisogna avere gli strumenti per collocarla nella storia alla quale essa appartiene, per connetterla alle esperienze culturali del tempo dal quale proviene, per correlarla alle esistenze che l’hanno vista maturare. Certo, ci sono bellezze che dimostrano il loro valore anche se non si conosce la loro storia.

Per esempio: davanti a una tela di Caravaggio si resta storditi di bellezza, anche se non si conosce nulla di Michelangelo Merisi, e nulla del suo tempo e dei significati di quello che ha fatto.

Non si conosce nulla ma ci si chiede come abbia fatto a creare quella luce che è più vera della vera luce.  

Esistono bellezze assolute, che sono senza tempo e forse anche senza spazio.

La verità generata dalla bellezza, a volte si rivela spontanea e inaspettata, a volte si deve cercarla. Poi, però,  quando accade che nella bellezza si trovi la verità cercata, ci si accorge che non è una sola, ma che sono molte le verità che contiene e propone. Innumerevoli, forse.  Perché la verità che si è scoperta si fa diversa in relazione alla condizione continuamente cangiante della propria esistenza, dell’istante in cui con essa ci si confronta.

Forse questa relazione tra l’esistenza e le verità offerte dalla bellezza,  si potrebbe chiamare bellezza delle verità dei sentimenti, delle passioni.

D’altra parte, a che cosa potrebbe mai servire la  bellezza, se non ad autenticare i sentimenti, le passioni, se non a farsi specchio della loro unicità, della loro irripetibilità. Chissà se la bellezza della Commedia di Dante non consista proprio in questo, per esempio. Se per esempio non consista in questo la bellezza di Giotto, Beethoven, Cervantes, Omero,  Shakesperare, Canova,  Michelangelo, la bellezza della notte stellata di van Gogh, della teoria di Darwin, del pensiero di  Einstein, del Nabucco di Verdi, della Recherche di Proust.

La bellezza ha bisogno di conoscenza per rivelare le sue verità, senza dubbio. Però a volte quelle verità prorompono  comunque.   Basta soltanto consegnarsi senza condizioni allo stupore.  

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 2 aprile 2023]

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