di Antonio Errico
Una volta, il Nobel Iosif Brodskij ha detto che il fine dell’evoluzione è la bellezza, che sopravvive a tutto e genera la verità per il semplice fatto di essere una fusione di ciò che mentale e di ciò che è sensuale.
Inevitabilmente ritornano alla memoria quei due versi con i quali John Keat chiude Ode on a Grecian Urn: «Beauty is truth, truth beauty’, – thats is all / ye know on earth, and all ye need to know»; la bellezza è verità, la verità è bellezza – che è tutto / quanto sappiamo e dobbiamo sapere sulla terra.
Allora, il fine dell’evoluzione è la bellezza; la verità coincide con la bellezza e la bellezza con la verità; la bellezza genera, produce verità anche quando si fa di tutto per mortificare la bellezza e, di conseguenza, per impedire il manifestarsi della verità.
Ma in ogni caso, l’evoluzione protende verso la bellezza. Di tutto: del tempo, dei luoghi, delle storie, delle arti, dei sentimenti, delle passioni, delle relazioni, delle visioni del mondo e della vita, dell’immaginario, delle fantasie, della realtà. Fuori dai contesti e senza le espressioni della bellezza, si distende un universo grigio, opaco, disarmonico, spento, senza modulazioni, piatto, informe. Ma anche in un universo così fatto, la bellezza sopravvive e si rigenera e rigenera verità. Sopravvive in ogni condizione, come un filone d’oro che scorre anche nella ganga più ignobile. Così dice l’imperatore Adriano nello splendido romanzo di Marguerite Yourcenar.