di Jurij Karlovič Oleša
Šuvalov attendeva Lelja nel parco. Era un caldo mezzogiorno. Sopra un sasso apparve una lucertola. Šuvalov pensò: sopra questo sasso una lucertola è vulnerabile, è facile vederla. «Mimicry» – pensò. Il pensiero del mimetismo gli fece venire in mente un camaleonte.
«Buona notte!» – disse Šuvalov. «Ci mancava solo il camaleonte!»
La lucertola fuggì.
Šuvalov, in preda ad irritazione, si alzò dalla panchina e si diresse a passo spedito lungo la stradina. Era stato sopraffatto dalla stizza, sentiva il desiderio d’opporsi a qualcosa. Si fermò bruscamente e, a voce piuttosto alta, disse: «Accidenti! Come mai sto pensando ai camaleonti e al mimetismo? Non so, decisamente, che fare di questi pensieri!»
Giunse ad un praticello e si sedette su un ceppo d’albero abbattuto. Volavano gli insetti. Trasalivano gli steli delle piante. L’architettura del volo d’uccelli, mosche, scarabei, maggiolini era illusoria, tuttavia si poteva captare qualcosa di una linea tratteggiata di contorni e sagome d’archi, ponti, torri, terrazze d’una misteriosissima città, in continua, istantanea trasformazione e velocissimo spostamento.
«Comincio a non essere più padrone di me stesso» – pensò Šuvalov. «L’ambito della mia attenzione è inesorabilmente intaccato. Divento un eclettico! Mi sento d’essere gestito, ma da chi, da che cosa? Sto iniziando a vedere quello che non esiste!»