Il Premio Nobel Paul Krugman ha messo in luce il fatto che, soprattutto nei settori più innovativi dell’economia statunitense, si formano lobby della finanza, che chiedono e ottengono sempre maggiore deregolamentazione.
La crisi finanziaria attuale è causata, in ultima analisi, dai seguenti fattori: 1) la caduta della domanda aggregata su scala globale. Si tratta di un effetto della globalizzazione, alla quale il reshoring (la de-globalizzazione) non ha posto, al momento, adeguato rimedio. La caduta della domanda aggregata si manifesta nella contrazione dei consumi su scala globale – a sua volta dipendente dalla riduzione della quota dei salari sul Pil – e dalla contrazione degli investimenti, derivante dalla crescente incertezza (per effetto soprattutto della guerra in Ucraina) e dall’aumento dei tassi di interesse Fed e BCE. A ciò si aggiunge la riduzione della spesa pubblica, con la sola accezione delle spese militari. È perciò evidente che se cade la domanda aggregata, consumatori e imprese domandano meno credito a ragione di aspettative pessimistiche sull’andamento dei guadagni e, al tempo stesso, aumentano le insolvenze, per il fatto che le imprese vendono meno e i consumatori guadagnano meno (come conseguenza dell’inflazione); 2) la deregolamentazione dei mercati finanziari. Questa linea di policy spinge gli Istituti di credito ad assumere rischi crescenti, secondo uno schema Ponzi di alternanza di euforia e panico. Si spezza, cioè, il legame con la cosiddetta economia reale e aumenta il peso del debito che grava sulle banche, fino a portarle in perdita e nella necessità di avvalersi di aiuti da parte dello Stato.
Questo schema interpretativo mette in evidenza l’errore logico e fattuale che sta alla base di molte teorie economiche neoliberiste che hanno provato a dimostrare (senza tuttavia riuscirci) che la finanza deregolamentata è necessaria per un buon funzionamento delle economie di mercato. L’economista Fama, in particolare, ha elaborato un teorema stando al quale l’emissione di azioni, e il loro acquisto, in un mercato privo di norme, consente alle imprese di accrescere e diversificare le fonti di finanziamento, contribuendo, per questa via, a finanziare gli investimenti, l’attività produttiva e la crescita economica.
Hanno per contro ragione gli economisti keynesiani quando rilevano che la finanza risente dell’economia reale – nel senso che al fondo dei fallimenti bancari di questi giorni vanno rintracciate le dinamiche della domanda di beni di consumo e di investimenti – e che, dunque, è la domanda di credito a determinarne l’offerta.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 25 marzo 2023]