Fiore ovviamente era ben consapevole delle difficoltà che avrebbe incontrato, accettando questo nuovo incarico. In un articolo del marzo del ‘44 non usava mezzi termini per descrivere il degrado dell’istituzione scolastica, dopo vent’anni di dittatura: “Povera scuola, a che cosa è ridotta! È difficile ora trovare un giovane che salvi la decenza della grammatica”. Si mise perciò subito al lavoro, portando uno stile nuovo rispetto ai suoi predecessori, almeno sul piano della comunicazione, come scrive Semeraro: “Parlava da uomo di scuola a uomini di scuola, ma senza falsi pudori politici e aborrendo gli stilemi burocratici”.
Un primo esempio di questo stile antiburocratico è costituito dalla circolare di “saluto” del 15 maggio 1944, rivolta a tutti gli insegnanti e ai dipendenti, nella quale emerge l’alta coscienza civile di Fiore: “Questo vuoi dire che bisogna al più presto metter mano a risollevare la scuola dai colpi che un nazionalismo beota e perverso le ha inferto, a non dar retta se non alla propria coscienza, a rinnovare se stessi e i giovani nel culto del bene. Ognuno deve servire la patria nel proprio campo. Da quest’oggi una gara di nobiltà è aperta per tutti”.
Nelle circolari seguenti Fiore manifesta un costante impegno nell’affrontare le situazioni più difficili, invitando, ad esempio, gli organi dipendenti a procedere nell’opera di “defascistizzazione”, a segnalare “casi di persecuzione, ingiustizia e soprusi sofferti durante il passato regime da insegnanti antifascisti, a causa dei loro sentimenti politici”, a favorire nell’insegnamento della religione “giovani sacerdoti pieni di carità cristiana, possibilmente poveri e con carico grave di famiglia”. Ma anche quando tocca argomenti apparentemente più futili, come il divieto del trucco per le insegnanti e del fumo in classe, dimostra sempre una concezione ‘alta’ della scuola, e della funzione educativa.
Non manca mai, nelle sue lettere, la nota personale, che si rivela in un giro di frase, in un’espressione colorita, in un commento più acceso, come nel brano seguente relativo alla “piaga delle raccomandazioni”: “I professori che ricevono raccomandazioni le segnalino ai Presidi con maggiore rigore. Questi ultimi mi segnalino i nomi, che passerò alla stampa, perché siano oggetto di ludibrio e di riprovazione da parte del pubblico. Il Paese anela a rinnovarsi”.
Un tratto inconfondibile è presente anche in quelle circolari nelle quali si limita a trasmettere disposizioni di legge, come il divieto del cumulo di impieghi per gli insegnanti: “Molto c’è da rifare, da modificare, da risanare perché la scuola torni ad essere veramente fucina di libere coscienze e per questa ardua opera essa deve poter contare sull’appassionato apporto dei suoi docenti e sulla loro completa dedizione a sì nobile causa”.
L’azione di rinnovamento della scuola pugliese intrapresa dal provveditore Fiore incontrò però forti resistenze sia all’esterno che all’interno dello stesso partito d’Azione, nel quale militava. La sua battaglia per la laicità della scuola e dello stato urtava infatti contro precisi interessi, come quelli clericali. Anche per questo non si riuscì a realizzare quel programma di autogoverno della scuola, che, secondo l’autore del libro, “fu forse l’aspetto più originale tra le idee educative diffuse dall’azionismo” e che avrebbe dato i suoi frutti solo molto più tardi.
Nel 1947, intanto, per la scuola italiana incominciava un periodo di ‘normalizzazione’ e si concludeva anche l’esperienza di Tommaso Fiore provveditore, del quale in fondo, più che i singoli atti, resta soprattutto l’esempio di coerenza e di rigore morale che egli seppe dare, anche in, questa insolita veste, in una fase assai delicata della nostra storia recente.
[«Quotidiano di Lecce», 27 ottobre 2000; poi in A. L. Giannone, Le scritture del testo, Lecce, Milella, 2004]