Rosa Sospirosa di Annalucia Lomunno

La loro vita è fatta di passeggiate, incontri, lunghe telefonate, sagre estive, festicciole, concerti rock, alternati a cenette in ristoranti, come certe antiche masserie ristrutturate, dove anche i cibi sono globalizzati e “soltanto le olive al pepone e le focaccine al vincotto hanno preservato l’identità suclita” (p. 23). Le loro conversazioni, intessute di citazioni di canzonette, film e programmi televisivi, vertono sempre sugli stessi argomenti: innamoramenti, pettegolezzi, tradimenti, gelosie, ripicche. Solo di tanto in tanto qualcuno di loro è costretto a spostarsi a Bari o a Urbino per sostenere gli esami all’università.

A un certo punto, però, le loro storie s’intrecciano con quelle di due adulti. Nel corso del romanzo, infatti, si scopre gradualmente che alcune amiche di Rosa hanno delle relazioni con un maturo dentista e con un ricco avvocato, con i quali, insieme all’”Amico del cuore” e ad altre donne del paese, finiscono in un losco giro di soldi prestati a usura e di filmini a luce rossa destinati al mercato straniero. Questa vicenda ha una conclusione tragica, perché termina col suicidio della moglie del dentista che passa tra l’indifferenza generale. Insomma, una sorta di tranche de vie dei nostri giorni, osservata dall’autrice senza moralismi di sorta, attraverso gli occhi smaliziati degli stessi protagonisti, anche se dietro l’apparente distacco s’intravede ugualmente un giudizio nella contrapposizione di Rosa al mondo volgare e squallido che la circonda.

Strutturato a frammenti staccati, quasi dei siparietti di uno spettacolo più ampio, ognuno con un suo titolo, il romanzo, vivace e brioso, ma con un sottofondo malinconico, si basa sui continui dialoghi tra i protagonisti. Rarissime ed estremamente sintetiche sono descrizioni, nelle quali pure emerge la capacità della Lomunno di saper cogliere acutamente situazioni e atteggiamenti, come in quelle, assai pungenti, di una mostra di pittura o del funerale della moglie del dentista. Altrettanto telegrafici sono i ritrattini dei personaggi, che delineano non tanto le caratteristiche fisiche psicologiche, quanto i gusti, le preferenze in fatto di marche di abbigliamento, auto, gioielli, com’è normale in una società in cui l’apparire conta più dell’essere.

Sul piano stilistico, di contro all’essenzialità de struttura sintattica, caratterizzata da periodi brevi, tipo paratattico, e frequenti frasi nominali, sta un ininterrotto e scintillante gioco verbale, che si manifesta a verso alcuni espedienti retorici, basati sull’accostamento delle parole per affinità foniche. Si tratta, in particolare di figure, le quali hanno la funzione di commentare ironicamente una situazione, produrre un effetto comico o veicolare un’intenzione satirica, come allitterazioni (“solita sopportabile solitaria serata”, p.15; “appenappena appannato” p. 37; “tradita trasalita trucidata”, p. 81; “una specie di spinacine senza spinaci”, p. 152; “sventola svenevole”, p. 188, ecc.); paronomasie (“con sforzo e con sfarzo”, p. 37; “fiocchi di fiacca” p. 50; “facilità e felicità”, p. 112; “grevi e gravi”, p. 146; “la degusta con disgusto”, p. 152; “maschi mosche e Moschino parfume”, p. 158; “scoraggianti e scorreggianti”, p. 162; “virile vinile”, p. 180, ecc.); omeoteleuti (“annuncia e rinuncia”, p. 12; “fiocchetti pacchetti confetti”, p. 54; “il saggio messaggio”, p. 62; “surclassa smargiassa”, p. 106; “Ramata di mèches, Dotata di cash. E di trench molto trash”, p. 175, ecc.); figure etimologiche (“un minorato minorenne”, p. 42; “maestria di un maestro”, p. 62; “si riapposta al suo posto”, p. 99; “piazzate in piazza”, p. 106; “sformati senza forma”, p. 160; “parafulmine fulminato”, p.157, “la sciampista sciampa”, p. 175, ecc.).

Da segnalare ancora l’uso di espressioni latine, spesso a conclusione di un episodio e in stridente contrasto con le situazioni trattate (“L’amicitia pretiosus thesaurus est”, p.17; “pro consolatione afflictorum”, p. 39; “Fax non facta est”, p. 97; “iniquum certamen”, p.187, ecc.), la parodia del linguaggio colto nelle parole della “Lionessa” e il dialetto pugliese mangiucchiato di “Voracissimus”. L’esile trama narrativa s’innesta insomma su un’elaborata tessitura verbale, che costituisce l’aspetto più convincente del libro, insieme all’efficace delineazione di una serie di caratteri, primo fra tutti quello della sognante e sospirosa (fino alla fine) protagonista.

[In «L’immaginazione», a. XIX, n. 184, febbraio 2002, poi in A. L. Giannone, Le scritture del testo, Lecce, Milella, 2004]

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