di Antonio Lucio Giannone
I giovani narratori meridionali si stanno liberando completamente da stereotipi e luoghi comuni legati alla rappresentazione del Sud, quali l’atteggiamento vittimistico o il tono di denuncia, tipici di autori delle generazioni precedenti. Ciò è dovuto anche, ovviamente, al profondo mutamento avvenuto in questi ultimi decenni nella realtà economica e sociale del Mezzogiorno, che va sempre più omologandosi, nel bene e nel male, al resto della nazione. Non fa eccezione a questa regola pugliese Annalucia Lomunno, che nella sua ‘opera prima’, Rosa sospirosa (Torino, Piemme, 2001), narra una storia ambientata nel Sud, ma che potrebbe svolgersi benissimo in qualsiasi altra parte d’Italia, talmente diffusi sono ormai certi comportamenti, mentalità, modi vita. D’altronde, anche i luoghi del romanzo (villa marini, localini alla moda, cinema, palatour, ristoranti cinesi) non hanno quasi mai una connotazione regionale, ad eccezione forse dell’immancabile piazza del paese. Tutto sommato, perciò, l’unico elemento, che rimanda a una realtà geografica precisa, è il dialetto usato peraltro soltanto da uno dei personaggi.
Rosa sospirosa narra dunque le vicende di un gruppo di giovani, universitari e no, che si svolgono in cittadina meridionale nell’arco di dodici mesi (da giugno a giugno dell’anno seguente). Protagonista è la diciannovenne Rosa, innamorata di uno sfuggente, “Amico del cuore”, di qualche anno più grande, iscritto a giurisprudenza senza molta convinzione e ancor meno impegno. Intorno a lei, romantica e sognatrice, ruotano amiche e amici, designati spesso con un soprannome in latino, che ne indica la principale caratteristica. Ci sono quelle, eccessivamente truccate, che si atteggiano a intellettuali, ma in realtà sono arriviste ad ogni costo (le “Pictae”); quelli amanti della buona tavola e perennemente in cerca di donne (gli “Zampognoni”); la disinibita (“Summa Frigens Polyporum”); le timorate (le “Virgines”); la sfrontata rivale in amore (Mariella).