Carlo Serafini, Giovanni Presicce, Carluccio Senape, Pietro Maffei: ecco i nomi degli operai scrupolosi e laboriosi che componevano il giornale con l’aiuto di qualche ragazzo apprendista.
Certamente chi scorra oggi quelle pagine, vi rinviene un’impostazione ideologica che a distanza di cinquant’anni il corpo redazionale, se si potesse ricostituire contro le leggi della vita e della natura, o almeno qualcuno dei suoi componenti, non confermerebbe né riconoscerebbe più. Emergono da quei fogli una non raggiunta maturazione intellettuale ed una incompletezza conoscitiva, anche per il fatto che gli intellettuali si sviluppano molto più lentamente di qualsiasi altro gruppo sociale per la loro stessa natura e funzione storica che li fa rappresentanti di tutta la tradizione culturale della società.
E tuttavia per l’epoca in cui quelle pagine furono scritte e la funzione che assolsero, esse consevano una validità storica. Bisognava stimolare la pigrizia mentale, risvegliare le buone energie, bisognava irrobustire il carattere morale e far crollare le sedimentazioni di idee fisse e di pregiudizi che non mancavano nella nostra comunità cittadina. Fu logico quindi e naturale ricordare ai lettori chi era vissuto ed aveva pensato prima di noi ed aveva fatto scoccare scintille di luce dall’urto delle sue passioni e delle sue idee, e per questo era divenuto parte integrante del nostro spirito. Gioacchino Toma, Antonio Vallone, Fedele Albanese, Giustiniano Gorgoni, Pasquale Cafaro, Pietro Cavoti, Luigi Viola, Pietro Colonna rivissero nei medaglioni rievocativi di Aldo Vallone il primo, di Domenico Marra il secondo e il terzo, di Michele Montinari gli altri.
2. I temi di fondo
Due furono i temi di fondo dibattuti nel periodico: la cultura e la disoccupazione. Al primo posto troviamo il problema della scuola.
“L’Italia ha bisogno – da tempo, ma oggi più che mai – che dalle sue scuole escano dei costruttori, degli uomini capaci di svolgere un’attività positiva in tutti i campi della produzione, dall’azienda agricola al cantiere, dalla fabbrica al laboratorio, ed in tutti i gradi delle varie branche del lavoro […]. Occorrono intanto nuove esperienze: tra queste […] una legge che imponga ad ogni grande azienda il mantenimento agli studi di una certa percentuale dei suoi dipendenti, o la riduzione dell’orario di lavoro senza diminuzione del salario per un certo numero di studenti-operai. L’ammissione degli studenti a queste scuole speciali avverrebbe non tanto sulla base di un esame solito, accademico, quanto in base alle qualità dimostrate nel lavoro”.
Così scriveva nel n. 12 del 17 novembre 1946 Giovanni Colella che con Saverio La Sorsa ed Enzo Esposito dirigeva la rivista “Antico e Nuovo” nata nel novembre-dicembre 1945 con amministrazione e redazione a Galatina e che durò soltanto per tre numeri apparsi in periodi diversi tra il 1945 e il 1947.
Sul n. 10 del 17 ottobre 1946 “La Voce di Galatina” presentava una delle più interessanti iniziative di rinascita umanistica nella nostra città, rimasta poi deprecabilmente senza svolgimento e che si vorrebbe veder ripristinata a cura del nostro più antico istituto culturale, il Liceo “Colonna”. Si allude ad un’opera promossa dagli “Amici del libro” ed ispirata da “Antico e Nuovo”, che era un ideale incontro di uomini di studio. Pochi animosi non soltanto raccolsero i fondi e provvidero a pubblicare sotto gli auspici del Liceo classico opere di Salvatore Gaetani, Mario Marti, Aldo Vallone, Arturo Farinelli e Giuseppe Gabrieli, facendole stampare nelle tipografie locali, ma al fine di far conoscere i volumi sull’ampio mercato nazionale, crearono depositi ad Asti presso la casa editrice Arethusa, a Pisa presso la libreria Vallerini, a Roma presso Hoepli, a Napoli presso l’Internazionale, a Bari presso Laterza, e poi a Foggia, a Potenza, a Maglie ed a Nardò.
3. La terza pagina
Nella terza pagina apparivano di tanto in tanto note di critica letteraria di Enzo Esposito, piuttosto suggestive e stimolanti come “Falqui a Lecce”, e specialmente “Torniamo all’epica?” che, aggressiva e mordace come un epigramma, fiaccò per sempre la vocazione sbagliata di un poetastro in erba di Galatina. Inoltre erano molto attese e lette con interesse le novelle di Michele Montinari dedicate alla rappresentazione degli umili del Salento, e quelle di Renato Tondi, un avvocato umanista di Zollino, nelle quali lo scrittore dimostrava di possedere una grande capacità di rievocazione intimistica, contenuta sempre in una linea di misura del patetico, al di là della quale sarebbe scaduta nel lacrimevole. Qualche novella del Tondi attingeva la sua ispirazione al mondo della cronaca giudiziaria.
L’altro tema dibattuto quasi in ogni numero del periodico fu quello della disoccupazione. V’era allora a Galatina, come del resto in tutt’Italia, un’enorme sovrappopolazione agricola, in condizioni di miseria e di fame. La massa dei disoccupati era alimentata non soltanto dal bracciantato tradizionale, ma anche da una larga schiera di senza mestiere, uomini che la guerra aveva strappato alle loro case in ancor giovane età e prima che si fossero procurati un’occupazione stabile, e quindi si riversavano nella massa di braccianti agricoli non specializzati, alla ricerca di un qualsiasi lavoro. La schiera era inoltre ingrossata da tutti coloro che avevano trovato facilità di guadagno col mercato nero, ed erano poi rimasti, con la partenza delle truppe alleate, senza mezzi di sussistenza. Si aggiungano coloni e mezzadri che trovavano modo di iscriversi nelle liste dei disoccupati agricoli, poiché l’ingaggio non avveniva tramite l’Ufficio del lavoro, organo di controllo che cominciò a funzionare successivamente, bensì attraverso una commissione paritetica di datori di lavoro e prestatori d’opera.
Il periodico mantenne una linea di democrazia e di moderatismo nella difesa dei valori contadini. Il problema della disoccupazione non poteva essere risolto sul piano dell’iniziativa privata, bensì con interventi governativi mercé l’assegnazione di terre incolte o mal coltivate a contadini ed a cooperative di contadini. Nel quindicinale sono documentati tumulti, disordini, scioperi, occupazioni di terre, il sequestro effettuato il 28 dicembre 1946 di otto capi bovini alla masseria S. Anna di proprietà Licci, in conto del pagamento di alcune giornate di lavoro, e quant’altro costituisce la storia di quel periodo veramente eccezionale, che si auspicava dover essere di rinnovamento delle nostre strutture sociali.
4. Mezzogiorno e agricoltura
Il periodico costituisce un patrimonio, anche se ex adverso, di notizie che documentano il contributo dato dal movimento contadino, mezzadrile e bracciantile, alla storia recente del Mezzogiorno. Non c’era e non poteva esserci nel periodico la postulazione di un certo tipo di riforma agraria che si collegasse alla necessità del rinnovamento generale dell’economia italiana, istanza questa che in provincia veniva rivendicata dal “Tribuno salentino”, organo del Partito socialista, diretto da Luigi Rella ed ispirato dalla veneranda figura socialista di Vito Mario Stampacchia; ma c’era inequivocabile il richiamo alla giustizia sociale e la difesa della proprietà coltivatrice rispetto alla rendita parassitaria.
Chi studierà le cause per cui dalla metà degli anni Cinquanta ha avuto inizio il grande esodo e la fuga disperata dalle campagne e dal Mezzogiorno, potrà rinvenire nelle pagine de “La voce di Galatina” i documenti giustificativi della caduta di ogni speranza di riforma e di trasformazione dell’agricoltura. Questi documenti sono costituiti da resoconti di sedute del Consiglio Comunale di Galatina, da brevi note di cronaca, da appelli all’autorità prefettizia per dirimere le lotte del lavoro, da ordini del giorno dell’associazione degli agricoltori e della lega dei contadini. Prende così corpo, ripetiamo ancora, ex adverso, una esperienza storica fatta di lotte intermittenti che hanno suscitato legami di solidarietà nel ceto rurale, hanno creato un mondo spirituale che via via è andato affermandosi in forme ed istituti sociali permanenti e dinamici.
Emerge allora con chiarezza estrema il fallimento della politica rurale nel Mezzogiorno, o meglio, la scelta politica sbagliata di un certo tipo di sviluppo dell’economia e della società italiana. Questa scelta non ha previsto la trasformazione del nostro paese perché ha strozzato la democrazia contadina ed ha favorito l’industria pubblica, il sistema bancario e la fonte del sottogoverno, delle clientele e della corruzione, cioè gli enti di riforma. Il risultato è che si è conservata nel Sud una condizione di grande disgregazione sociale che ha investito tutta la classe rurale. Questa classe è diventata dapprima una massa di disorientati nelle scuole e dopo di deracinés dalla terra.
5. Ricordo di protagonisti
Al corpo redazionale non sfuggiva che, dopo il naufragio del fascismo, la storia avrebbe sviluppato valori nuovi che avrebbero disgregato gli istituti feudali ancora emergenti nella nostra società ed avrebbe creato nuove gerarchie spirituali. Perciò “La Voce di Galatina” appoggiò senza riserve l’istituzione da parte di Giuseppe Grassi, ministro guardasigilli, della Corte d’Appello di Lecce, nella prospettiva quanto mai realizzabile allora di elevare il Salento a Regione.
Inoltre, nel periodico si possono leggere pagine dedicate con rispetto, nell’ora del trapasso, ad uomini che hanno onorato il Salento e Galatina in tempi piuttosto recenti: l’avvocato Rodolfo D’Ambrosio di Taviano che in anni lontani commemorò a Galatina il filantropo Paolo Vernaleone, fondatore e direttore de “Il Salento”, il primo giornale socialista della provincia di Lecce; l’avvocato Gaetano Cesari, nobile rappresentante delle vecchie generazioni del socialismo salentino; ed il più alto e nobile di tutti, l’avvocato Carlo Mauro.
L’ultimo numero de “La Voce di Galatina”, il trentesimo della serie, fu pubblicato il 24 marzo 1948. Il 18 aprile di quello stesso anno aveva segnato il trionfo della Democrazia Cristiana. Il periodico era stato senza alcun dubbio un esemplare di stampa borghese, ma di una borghesia che aveva sempre cercato il contatto con l’elemento popolare. Dopo il 18 aprile quel contatto non era più possibile, perché da più di un anno era stata consumata la discriminazione di una delle componenti storiche della società italiana: il proletariato di sinistra. “La Voce di Galatina” non aveva più la sua ragion d’essere. Ad ognuno dei collaboratori si imponeva una scelta.
Da più di un anno Mario Pannunzio pubblicava “Il Mondo” che resta un’irripetibile stagione del giornalismo e della cultura italiana. Qualcuno dei redattori seguì quell’indirizzo, e nelle pagine de “Il Mondo” capì quanto incompleta ed imperfetta fosse stata l’esperienza de “La Voce di Galatina”. Incompleta ed imperfetta, ma non inutile. Essa resta come documento di una generazione che ha giudicato i fatti di un periodo storico eccezionale. Ognuno dei collaboratori, attraverso quell’esperienza, ha conosciuto se stesso, si è distinto, è uscito dal caos, è diventato un elemento di ordine, ma del proprio ordine e della propria disciplina ad un ideale.
[Memorie di Galatina. Mezzosecolo di storia meridionalistica e d’Italia, Mario Congedo Editore, Galatina 1998, pp. 65-68]