Ruini percorre a piedi via Umberto I, accompagnato dal Commissario al Comune Luigi Vallone. Lo segue una schiera di persone. Sale a fatica su un tavolo approntato alla buona nei pressi della Società operaia, saluta i presenti con una scappellata signorile e cortese, e parla ad essi per pochi minuti. E’ il primo comizio pubblico a Galatina nel postfascismo ed ha il calco di un’antitesi morale rispetto ai discorsi vuoti e retorici introdotti col saluto romano in nome di un vitalismo zoologico da uomini pettoruti in orbace di grosso tessuto di lana sarda ed in stivali che arrivano fin sotto il ginocchio.
Ed ecco altri padri della Repubblica che giungono in visita alla città: Ruggiero Grieco che ha combattuto nelle trincee di Mosca e si impegna nella soluzione comunista del problema agrario; Giuseppe Di Vittorio, che ha operato tutta la vita per redimere dall’oppressione e dallo sfruttamento il proletariato italiano.
E’ un pomeriggio di domenica autunnale tra nuvolo e sereno.
Di Vittorio è passato da piazzetta Santo Stefano, ora piazza della Libertà, luogo di raduno delle avanguardie proletarie contadine galatinesi, ed avanza per corso Garibaldi alla testa di un grosso corteo in direzione di piazza San Pietro. Parla dalla gradinata della Chiesa Madre, e ricorda a chi lo ascolta, in maggioranza braccianti e contadini dal viso rugoso e scavato dalla fatica, la morte del padre a guardia di greggi non sue, ma affidate dal padrone alla sua fedeltà, sotto uno dei diluvi sempre ricorrenti delle acque straripate dall’Ofanto in territorio foggiano. Ma il proprietario delle pecore non si sente in obbligo di venire in aiuto alla vedova, sia pure con un piccolo risarcimento. Questa mancanza di solidarietà che tocca la sfera del sopruso indigna il ragazzo e segna la sua vocazione.
E poi Sandro Pertini. Giovane e scattante come sempre, parla a braccio una domenica mattina dall’angolo di palazzo Nuzzo in piazza San Pietro, e centralizza le sue argomentazioni sulla necessità di liberare il Mezzogiorno dalle bardature del paternalismo, del centralismo e del monopolio, e mette in guardia gli operai dal pensar poco e dall’accettare culture addomesticate.
Ripensare a distanza di cinquant’anni e più a quei tempi, significa riattualizzare sul piano dello spirito luoghi e quartieri di Galatina. Scattano allora nella memoria reazioni diverse che inducono a riflettere sull’avvicendarsi di uomini e cose che si trasformano e trasformano la società. Ricordiamo allora che piazza della Libertà e piazzetta San Lorenzo, cui si affaccia la Camera del Lavoro che intanto si è riappropriata dei locali destinati a casa del Fascio durante il ventennio, diventano luoghi di riunione del proletariato galatinese, mentre il ceto borghese promuove i primi contatti aggregativi in un’aula del vecchio Liceo “Colonna”, posta a disposizione dal Preside del tempo, prof Pantaleo Duma. I primi convegni dei cattolici galatinesi, invece, si svolgono in un’altra sede, una camerata al piano superiore del Convitto “Colonna”. Li promuove il prof. Beniamino De Maria, affiancato da elementi della vecchia guardia del Partito popolare e da giovani dell’Azione Cattolica destinatari di una disciplina interna conforme alle direttive di Monsignor Salvatore Podo, per il quale vige il principio della Chiesa discente, come comunità di fedeli che, in quanto laici, sono sempre in condizione di soggezione.
Naturalmente queste pubbliche manifestazioni si diversificano per argomenti e per un modo di interpretare le vicende del tempo. Chi voglia farne oggetto di riflessione, vi rinviene elementi caratterizzanti l’arretratezza della cultura e del modo di essere meridionali.
Gli uomini che vengono alla ribalta presentano tra di loro differenze di rango, di costume, di cultura, di educazione.
Partiamo dal ceto borghese. Il suo delegato è Luigi Vallone. Ora con l’etichetta del Partito Liberale ed ora con quella della Democrazia del Lavoro, gli avvocati Pasquale Memmo, Luigi Fedele, Giuseppe Galluccio, e più tardi, quando si delinea all’orizzonte il referendum monarchia-repubblica, l’avvocato Oronzo Massari, propagandano programmi idonei a patrocinare gli interessi del ceto. I tempi sono cambiati e la borghesia comprende che non può più muoversi come al tempo dell’avvocato-paglietta corrotto e corruttore, che avvince l’uditorio con la peroratio e difende nel foro il cliente in modo pittoresco fino ad usare un gergo particolare ed un cifrario alfabetico che presenta, ad esempio, il Pubblico Ministero come un serpente. I temi nuovi, invece, sono lo sviluppo della tecnica, la concentrazione del capitale e la legittimazione del profitto come movente dell’attività economica. I mercati finanziari acquistano importanza sempre maggiore, le banche assicurano la circolazione del capitale e perciò deve prendere sempre maggior forza lo spirito borghese che promuove così la nuova concezione del lavoro come mezzo per l’arricchimento. L’elisir della borghesia galatinese segue i dibattiti domenicali che si svolgono al Liceo “Colonna” lungo queste linee che abbiamo indicato.
Al proletariato cittadino, invece, parlano uomini di estrazione popolare e di formazione differente: l’avvocato Carlo Mauro, l’operaio Andriani di Brindisi, Giuseppe Galasso, Guelfi Aramis, il barbiere Antonio Leccisi di Trepuzzi, Pietro Refolo di Maglie e, tra gli elementi locali, Umberto Ferrari, Angelo Colazzo, Giuseppe Antonica e Biagio Chirienti.
Al centro delle loro argomentazioni c’è l’evoluzione della civiltà umana, le conseguenze di vasta portata degli antagonismi di classe e l’aspirazione insopprimibile dell’uomo ad emanciparsi dalla tirannia, dall’ingiustizia e dalla fame. L’accento è posto sul tema del lavoro – inteso come obbligo del singolo verso la società, ma anche come obbligo della società verso il singolo – che costituisce il fondamento di ogni progresso umano. E si nota l’insistenza sulle epoche della rivoluzione sociale come essenziali per il progresso, ed infine l’idea che il Comunismo è per l’uomo ad un tempo un ideale che egli pone a sé stesso ed il movimento reale e storico del suo progresso.
2. Padre Guglielmo da Barletta
Come già si è detto, anche il partito dei cattolici, la Democrazia Cristiana, si organizza. Esso si sviluppa grazie ad una duplice propaganda: l’una di natura dottrinaria è rivolta alle classi superiori, e l’altra, invece, investendo problemi economici e sociali, si indirizza alle classi subalterne.
Ricordiamo che i cattolici italiani non hanno partecipato alle lotte elettorali e parlamentari dello Stato unitario, se non in forma evasiva ed incidentale, sicché il ripristino della libertà nel postfascismo disperde anche a Galatina il carattere chiuso ed esclusivista di quelle organizzazioni. Oltre al professor Beniamino De Maria, ricordiamo molto attiva durante le conferenze organizzate nel Convitto “Colonna” la professoressa Maria Sabato ed il professor Francesco Buccarella di Gallipoli, allora ordinario di Filosofia nel Liceo “Colonna”. Le conferenze si ispirano allo scolasticismo più ortodosso e sono periodicamente tenute da padre Guglielmo da Barletta, un cappuccino colto ed umano nonché dotato di un certo carisma personale, che vive il suo apostolato in maniera profonda e drammatica. Le conferenze sono vere e proprie lezioni che postulano il principio di un dominio filosofico nettamente separato da quello teologico, a patto che la filosofia elabori le sue dottrine uniformandosi alle esigenze della rivelazione soprannaturale. Nella dialettica dell’oratore il principio è fondato sulla differenza tra concetti irrazionali e concetti soprarazionali, e la ragione può così almeno dimostrare la vanità degli argomenti atti a scalzare dogmi come la Trinità, il peccato originale, la Resurrezione della carne. L’argomentazione di padre Guglielmo è sottile, ma il nucleo di essa può essere anche un punto di passaggio e di svolgimento per il pensiero, se è vero che alla ragione viene attribuito il potere di decidere in quali casi ed in quali condizioni il dogma viene confermato. Il ragionamento di padre Guglielmo diventa al contrario, in virtù di un’opzione fideistica, una sosta per il pensiero in generale ed in particolare per il suo uditorio, ed il conferenziere può così ribadire, in ordine alla sfera morale, che la decisione della volontà individuale è guidata da principi pratici che formano la legge naturale, emanazione della legge eterna di Dio, mentre, in ordine alla sfera politica, lo stato deve organizzarsi come una comunità in cui sono rispettate la giustizia naturale e quella divina, finalizzate entrambe al raggiungimento dell’ideale di felicità umana. Per questo motivo lo Stato deve ricevere rischiaramento spirituale dal magistero della Chiesa, che rimane sempre vindice e custode dei valori perenni della persona. Col consenso dell’uditorio, il Medio Evo a Galatina è ricominciato così.
Paralleli alle conferenze di padre Guglielmo da Barletta, la borghesia cattolica cittadina, mirando a subentrare nella gestione del potere locale alla classe dirigente liberale prefascista, ha tenuto in piazza San Pietro i suoi comizi al popolo. E qui troviamo molto attivi due esponenti del movimento cattolico salentino, il ragionier Fiocca e l’ingegnere Antonacci, che in quegli anni hanno divulgato da veri pionieri l’ideologia ruralistica e piccolo-proprietaria del mondo cattolico, funzionale allo sviluppo capitalistico della proviencia di Lecce. Si è trattato di un’azione paternalistica, ispirata e diretta dalla Chiesa attraverso le curie locali, che ha visto come protagonisti anche il professor Vincenzo Marotta, e gli avvocati Benedetto Leuzzi, Pietro Lecciso, Antonio Ciannamea e Francesco Petraroli. L’armatura ideologica di questa propaganda e fulcro di ogni comizio in quei primi approcci riorganizzativi è stata l’enciclica Rerum novarum pubblicata nel 1891 da Leone XIII. La scelta di quel documento a fine propagandistico ed ideologico è stata molto significativa.
In quel tempo era in piena espansione il movimento operaio organizzato che ha promosso le prime celebrazioni internazionali del I maggio ed ha intensificato i movimenti sindacali. L’enciclica mira da un lato a cementare in un sol blocco le forme sopravvissute di origine feudale e l’ala più conservatrice della borghesia, e dall’altro a fronteggiare il movimento operaio, organizzando la propria base di massa in associazioni sindacali e cooperativistiche in nome della dottrina sociale cristiana.
Negli anni 1942-1944-1945 a Galatina si è recuperata la libertà e si sono poste questioni concrete nel campo sociale. Come al tempo di Leone XIII, la Chiesa ha dato ai cattolici una direttiva precisa, e cioè quella di intervenire attivamente nel lavoro di organizzazione del ceto sociale moderato e conservatore. La Rerum novarum è servita allo scopo.
Quell’enciclica agli strati avanzati dei lavoratori cattolici può essere apparsa un domumento progressivo, mentre in realtà essa è profondamente conservatrice. Per essa, invero, l’intervento dei cattolici nel campo sociale deve avere essenzialmente lo scopo di contrastare l’azione dei socialisti ed in genere delle organizzazioni operaie di classe. Nei primi anni quaranta quel documento ha postulato, con la crociata anticomunista, l’arroccamento occidentale della Chiesa di Pio XII proprio in un momento in cui anche la religione diventa oggetto di indagine storica, antropologica, psicologica e sociologica che ne rivela il significato immanente nella vicenda e nella storia dell’uomo. D’altra parte fino ai primi mesi del 1943 una parte del clero ha continuato a dare appoggio morale allo sforzo bellico fascista perché interesse del Vaticano è stata la caduta del regime fascista per opera di forze conservatrici e non di forze rivoluzionarie od arditamente progressive.
E così si spiega che anche a Galatina attorno al vessillo dell’ideologia cattolica in quegli anni si sia raccolto tutto il moderatume borghese e piccolo borghese. In tal modo il movimento di base non è stato diretto dai comunisti e dai socialisti e nello stesso tempo è stata frenata la spinta rinnovatrice, e la struttura sociale esistente è stata intaccata il meno possibile.
A coronamento di questo sviluppo si giunge così nel 1948 alla scomunica papale di Pio XII contro socialisti e comunisti, la quale vanifica la possibilità di caratterizzare di valori laici lo Stato postfascista.
[Memorie di Galatina. Mezzosecolo di storia meridionalistica e d’Italia, Mario Congedo Editore, Galatina 1998, pp. 61-64]