La memoria culturale forse non è più condizione strutturale della civiltà. Certo, le civiltà cambiano, si trasformano, si confrontano con orizzonti di senso sempre cangianti. Certo, si può dire che alcune perplessità, alcuni interrogativi, a volte anche alcune paure appartengano a tempi di svolte epocali, di mutazioni antropologiche, che sia anche normale la diffidenza nei confronti di nuovi strumenti, di nuovi processi di decodifica, comprensione e interpretazione del mondo. Si può dire e non senza ragione. La resistenza verso le nuove forme di cultura è una vecchia storia, in fondo, che si ripete ad ogni sopraggiungere di concetti, significati e saperi nuovi, e trova una sintesi e un’anticipazione nel “ Fedro” di Platone.
Quando Theuth inventò la scrittura, il re Thamous disse che quelle lettere avrebbero prodotto solo dimenticanza, che avrebbero generato la dimenticanza nelle anime di chi le impara, per incuria della memoria, in quanto fidando sulla scrittura avrebbero imparato dal di fuori, per segni estranei, non di dentro, da se stessi, e sarebbero stati uditori di molte cose senza impararle, sarebbero diventati saccenti invece di saggi.
Ma Thamous non aveva ragione. Senza la scrittura non avremmo mai potuto avere quella cattedrale alla memoria che è la “Recherche” di Proust. Ma è solo un esempio. Perché tutta la letteratura non è altro che uno sprofondamento nella memoria.
I mutamenti culturali non sono mai bene o male. Sono, in modo semplice e in modo complesso allo stesso tempo, trasformazioni con cui occorre fare i conti e che bisogna imparare a governare.
Quello che non si deve fare è perdere o trascurare la relazione con la storia, perché significherebbe lacerare il tessuto della civiltà.
La storia è memoria dell’esistere degli uomini nel tempo e nei luoghi, con le loro fortune e le loro sfortune, con le loro nobiltà e le loro miserie.
Storia e memoria dicono chi siamo noi, perché siamo qui e perché il qui è nel modo in cui lo vediamo, perché siamo così come siamo, perché ora è diverso da allora e perché chi c’è ora è diverso da chi c’era allora, che cosa ha provocato il cambiamento di noi, del qui, del così.
Senza storia e senza memoria si vive in un presente assoluto e lineare, senza profondità, senza prospettiva, sospeso, che viene dal niente e va verso il niente
Senza storia e senza memoria non si può conoscere quello che è stato, per cui si ricomincia sempre tutto daccapo, si improvvisa in continuazione.
La vita personale di ciascuno ha dietro di sé un tesoro, dice Maria Zambrano. Allora bisogna imparare – imparare di nuovo – a guardarsi indietro, a riconoscere i volti, a richiamare alla mente il passato vicino attraverso il ricordo e quello lontano attraverso la storia. Probabilmente non esiste nessuna cosa che si possa pensare, nessun comportamento, nessuna espressione della nostra personalità che non abbia un legame con la memoria, che ad essa non faccia, implicitamente o esplicitamente, riferimento. Probabilmente non esiste neppure una sola parola pronunciata che non si leghi in qualche modo ad un’altra parola percepita magari anche in un tempo lontano. Perfino la nostra immaginazione si fonda sulla memoria. Qualsiasi fantastica configurazione, qualsiasi costruzione immaginaria, trova il proprio impulso nel filamento di una radice della memoria. Poi la si trasforma, la si proietta in un altrove semantico, ma l’impulso è nel fondo della memoria.
Storia e memoria configurano la nostra esistenza, il nostro modo di confrontarci con gli esseri, le storie, i paesaggi, il presente, il passato, il futuro.
Se gli strumenti nuovi che arrivano, se la tecnologia che evolve con rapidità vertiginosa saranno funzionali alla scoperta di quel tesoro che ognuno ha dietro di sé, alla cognizione del motivo, del movente, delle cause e degli effetti di quello che accade, alla decifrazione della nostra realtà e del nostro immaginario, alla comprensione del perché noi siamo qui, ora, così, allora è davvero perfetto. Se non dovessero esserlo, allora, forse, sarebbe il caso di soffermarsi qualche secondo a fare il conto di quello che si vince e di quello che si perde.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 12 marzo 2023]