di Gianluca Virgilio
Entrare nella casa di Gaetano Minafra è come entrare in un museo. A me è capitato di recente, in un pomeriggio di febbraio, durante il quale si è realizzato il nostro incontro, già da non poco tempo programmato e procrastinato per gli accidenti della vita – alludo alla pandemia e ai suoi strascichi -, che non sempre fanno andare le cose come vorremmo. Finalmente, salgo la scala della sua casa, una dimora antica sita nella città vecchia, ben restaurata dal sapiente gusto del maestro, tra sculture e oggetti d’arte ben disposti, e lui mi accoglie col sorriso bonario dell’ospite, grato della visita di un amico che non si vede da tempo e col quale si ha voglia di intrattenersi a lungo. Passeggiamo nelle sale c’egli ha allestito in quelli che un tempo erano forse i locali destinati a ricchi granai e depositi di derrate, ora divenuti sale ben illuminate della pinacoteca privata dell’artista, che qui ha esposto molte delle sue opere. Davanti a me sono raccolti e illustrati, in modo coerente e continuo, cinquant’anni di attività artistica. Ci fermiamo sui dettagli d’una figura, su una linea, un colore, un chiaroscuro, un materiale particolare e insolito di cui è fatta l’opera, a lungo prima sognato e poi ricercato, di cui egli è il solo a saper dire la provenienza. Che fortuna avere per guida il maestro, che d’ogni quadro conosce la storia, l’occasione in cui nacque, l’intenzione che vi volle esprimere, le modalità della sua costruzione! Potrei ripetere a parole quanto ho visto, ma la mia pagina apparirebbe inadeguata perché incapace di una traduzione così azzardata. Altri esperti estimatori di Minafra – Raffaele Gemma e Massimo Galiotta, per citare solo gli ultimi – ne hanno parlato con acume e competenza di critici d’arte.