“Testarde” di Caterina Caparello

Ma non un simbolo immobile, non un monumento muto, ma una figura che soffre e che si stanca, che suda e piange, e si infuria e gioisce e corre, nuota, salta e cavalca. E i muscoli si tendono, il cuore batte frenetico e queste atlete si sentono vive e fiere. “Le donne nel mondo dello sport hanno dovuto guadagnare, sempre da sole, il proprio spazio, la propria libertà di esprimersi, il dover dimostrare di essere degne” scrive Caparello nell’introduzione. Con un lavoro di accurata ricerca, l’autrice ha ricostruito di queste donne “l’infanzia, gli affetti e le avventure”, cercando di ripercorrere i passi che le hanno condotte non solo alla vittoria ma, soprattutto, alla realizzazione della propria libertà personale. E così Elvira, come impavida amazzone, cavalca libera alle Olimpiadi di Parigi; Ida “con la gonna lunga tirata su fino alle ginocchia”, studia nella palestra deserta le regole di un nuovo sport dal nome straniero, “Basket”; Rosetta Gagliardi, stringendo forte la racchetta da tennis, seduta ai piedi del letto, rivive a occhi chiusi la partita più emozionante della propria vita; Marina, rossa in viso, di fronte allo specchio, piange di rabbia per le ingiustizie rivolte alle donne nel mondo sportivo; Isaline e il golf che calma la sua natura “così istintiva, irruenta e rumorosa”; Rosetta la “moschettiera”, spadaccina che a fil di lama si fa strada tra uomini “spavaldi e boriosi”; le piccole ginnaste pavesi con la loro fede nella forza di essere unite (“prendendosi per mano e con gli occhi chiusi gridarono “Pavia, Pavia, Pavia”); e infine Hilde, la Sirena di Trieste: “Chi t’ha veduta nel mare ti dice/Sirena”. Si pensa che Umberto Saba abbia scritto questi versi per lei, dopo averla vista gareggiare all’Ausonia di Trieste. Perché solo creatura magica come sirena poteva essere quella campionessa che si muoveva sinuosa nell’azzurro della piscina.

Caterina Caparello rende giustizia e dona memoria a donne che non si sono arrese abbassando il capo in un mondo per e degli uomini, che non hanno accettato  di vestire gli unici panni che la società dell’epoca tollerasse – quelli della sposa, della madre – e hanno scelto di lasciarsi bruciare dal desiderio che le infiammava e allora, diventando esse stesse quel desiderio, indossare i panni della tennista o della ginnasta o della nuotatrice o della golfista. A chi ha scelto che la propria felicità fosse lo sport in quanto, come scrive Claudia Giordani, vicepresidente CONI argento,  “ bellezza che unisce”.    

                                                                        [“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 3 marzo 2023]

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