Andare incontro al mondo

“Sono entrata nella vostra vita

condividendo tutti i sentimenti,

confusa nel magico grigiore

di una realtà di misere dimore.

Ho cercato di sorridere con voi,

ma i vostri volti scolpiti dal dolore,

ricamati dai solchi delle rughe,

rivelati sotto i raggi del sole,

sono rimasti immobili, lontani,

con lo sguardo di ghiaccio,

insensibili ad ogni esortazione,

con gli occhi spenti di rassegnazione.

Ho rischiato di fermarmi anch’io,

accettando una vita rassegnata,

dalla quale poi sono fuggita,

forse per egoismo, per viltà,

per non restare per sempre soffocata

da quel grigiore senza la speranza

che colpisce chi non ha la forza

di lottare, e si lascia andare

e piega il capo all’assurda tolleranza.”

E’ qui dichiarata una sorta di dissociazione tra la poetessa e gli altri, tutti gli altri, indistintamente, rei di indifferenza, rassegnazione, immobilismo, di insensibilità “ad ogni esortazione”, e a cui pure si riconosce, come un’attenuante, la valida motivazione del dolore. La “fuga” della poetessa è un distacco altrettanto doloroso, ma necessario per sopravvivere e non far morire la speranza. Tutto ciò però ha un prezzo, leggibile quasi in ogni pagina: un senso penoso di solitudine, che Portaccio Grimaldi porta con sé nel tempo presente, anche nel sogno:

“Sogno che ci sia qualcuno

nell’altra stanza ancora

ad aspettarmi,

nel dormiveglia corro

per abbracciarlo.

Ma non c’è nessuno;

son tutti andati via,

mi sveglio e sono sola.

E’ pura fantasia.

Tutt’intorno è silenzio,

c’è una pace infinita,

io non volevo questo,

questa non è la vita.

Ho bisogno dell’altro,

voglio ascoltarlo ancora,

non so vivere al buio,

cerco sempre l’aurora.”

E’ la poesia incipitaria, “Aurora”, che dà il la all’intera raccolta. Il sogno, il senso del distacco dall’altro (da chi? il proprio padre? un altro uomo? un’amica?), di cui non si può fare a meno, l’altro assente, la solitudine che diventa parola, con la quale si dichiara la propria “Sete d’amore”, come recita il titolo della poesia a p. 23: sembrerebbe quasi una poesia dei buoni sentimenti, quella della Portaccio Grimaldi, ed in effetti lo è (si legga, nella poesia appena citata questa dichiarazione: “Ho bisogno d’amore, / ho bisogno di vedere / due amici che si abbracciano, / due amanti che si baciano, / una madre con un figlio, / due fratelli che si guardano negli occhi”); ma ciò non toglie che essa sia pervasa anche di un sentimento meno tenero nei confronti degli uomini: si veda “Maratoneta” (p. 25), dove la poetessa mette in guardia da quegli uomini che “aspettano con pazienza / per applaudire la tua caduta / con gioia, con veemenza”, oppure in “Non tarpatemi le ali”, l’ultimo verso, in cui si stigmatizza l’ ”egoismo degli altri” (p. 31), anche di coloro che fanno violenza alle donne (cfr. “Se la donna subisce violenza”, che è un invito, rivolto alle donne, alla ribellione, al riscatto), o “Perdona”, dove si legge: “E’ duro scoprire che un amico / diventa traditore” (p. 113). E poi c’è la rievocazione della figura paterna, del padre a cui è dedicata l’intera raccolta, e in particolare “Mio padre e io”: “Lungo un sentiero tortuoso / camminavamo insieme, / sempre insieme, tu e io…” (p. 37), figura di cui si avverte la presenza, citata espressamente o allusa, in quasi tutta la raccolta (è il padre il qualcuno di “Nel sogno ho sempre / accanto a me qualcuno”?, “Nel sogno”, p. 117). La poesia di Portaccio Grimaldi racconta un distacco, una perdita e un tentativo, innumerevoli volte reiterato, di raggiungere l’altro, l’assente, il per sempre perduto. Non rimane che affidarsi alla trascendenza, al divino, al non mai perduto, a Dio, nella consapevolezza che “che ogni cosa, ogni pensiero / sono doni del Signore / che regala solo Amore” ( “Ed io chi sono”, p. 39). Si legga, in particolare, “Che tenerezza” (p. 67):

“Che tenerezza se guardiamo l’uomo,

che si afferma, si illude, anela a tutto,

si sente poi vincente e si convince

di condurre da solo la sua vita.

Non sa l’uomo

che ha intorno la natura

forte, lontana,

che degli affanni umani

prende cura

e va diritta per il suo cammino,

spinta da un Creatore

che la vuole amabile creatura.”

E’ la pars construens della raccolta poetica, il messaggio di speranza che la poetessa manda al lettore, superando d’un balzo rimpianti, crucci, solitudine e dolore. Con questo bagaglio di certezze l’autrice ha ragione di dire: “… e vado incontro al mondo…” In “Quando mi sento triste” (p. 75), diventa chiara la disposizione d’animo di Portaccio Grimaldi:

“Quando mi sento triste,

immagino un paesaggio.

Quando non va il presente,

m’invento un’altra storia.

Quando sono angosciata,

mi basta una preghiera.

Ringrazio ancora il cielo

che aiuta la mia mente,

sempre pronta a volare

con gran vitalità,

l’amica che dà vita,

che accompagna l’anima,

verso la giusta strada,

verso l’eternità.”

Immaginazione di paesaggi (per es. “il viale d’un giardino antico” di “Care vecchie colonne sentinelle”, p. 149), invenzione di un’altra storia (leggi Inventa la vita a p. 105), ricorso alla preghiera (“Questa sera ho bisogno di pregare” in Questa sera, p. 133), rifugio nel pensiero dell’eternità (“ L’uomo non sa pensare / nel suo grande dolore / che è solo dell’anima / la vera eternità” in Quando la terra trema p. 137); in questo modo, dunque, Portaccio Grimaldi avanza incontro al mondo, portando con sé le delusioni e i dolori di una vita, ma anche una grande speranza, che si traduce nella preghiera finale, in una vera e propria implorazione, che dà senso all’intera sua ricerca, e conclude il racconto, intridendolo di una forte connotazione religiosa: “Dio sii vicino a noi! “ (p. 181):

“Dio sii vicino a noi,

quando l’uomo uccide suo fratello,

quando l’altro vuole il male altrui,

quando il mare sovrasta la terra,

quando intorno a noi

c’è tanta guerra.

Dio sii vicino a noi,

quando la donna è oggetto di violenza,

quando il cielo non ci vede più,

quando al bambino si toglie l’innocenza,

allora Ti imploriamo, sii vicino.”

Leggere un libro di poesia non è affatto facile, perché si ha a che fare non solo con quel libro, ma con l’intera tradizione poetica plurisecolare che gli sta dietro, e lo sorveglia, e sentenzia se esso è un ramoscello florido del suo grande albero oppure un ramo secco e caduco – intendiamoci: questo vale anche per la prosa, quando essa ambisce a dignità d’arte -; sicché chi voglia parlare di un libro di poesia rischia sempre di fare la parte del saccente custode della tradizione, che dà i voti, autorizzato da non si sa chi. Non è il mio caso, naturalmente. A me basta aver letto una storia ben precisa nella poesia di Marisa Grimaldi Portaccio, la storia di un distacco e di un dolore, che l’autrice ha sublimato nella fede (cfr. “Libertà”, a p. 147: “Cielo! Rinforza la mia fede”), esito ultimo della sua ricerca, compendio della sua vita tradotta in parola poetica.

[ Incontro al mondo!(recensione a Marisa Portaccio Grimaldi, … e vado incontro al mondo… Poesie, Galatina, Congedo Editore, 2009), “Il Paese Nuovo” di mercoledì 23 settembre 2009, p. 6.]

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