Le immigrazioni e il costo del nostro egoismo

La posizione della Destra sul tema è radicalmente sbagliata. L’economia italiana ha bisogno di un’ampia platea di immigrati, per numerose ragioni. Le principali sono queste.1) L’Italia (e ancor più il Mezzogiorno) è in piena denatalità. I Paesi poveri, soprattutto in Africa, dalla quale importiamo forza-lavoro, hanno tassi di crescita della popolazione molto alti. L’integrazione di questi individui consente la sostenibilità del sistema pensionistico, che diversamente sarebbe messa a rischio dall’eccessiva incidenza sulla popolazione residente di individui in età non lavorativa nati in Italia e, dunque, dal peso delle pensioni.2) Gli immigrati sono in media giovani e di età inferiore alla media dei cittadini residenti di nazionalità italiana. Contribuiscono alla crescita economica, dunque, sia attraverso un’alta produttività del lavoro (si pensi, a titolo esemplificativo, alla necessità della forza fisica per il lavoro manuale), sia attraverso l’elevata propensione al consumo.3) È un dato poco noto il fatto che gli immigrati, in Italia come nel resto dei Paesi ricchi, sono anche imprenditori e, dunque, tengono elevato il Pil italiano attraverso i loro investimenti. In Italia, il numero di imprese di proprietà di individui di nazionalità non italiana – con esclusione delle attività Made in China – sono in costante crescita. Pur a fronte di queste evidenze, la tesi oggi dominante a Destra è che gli immigrati fanno concorrenza ai nativi nel mercato del lavoro. Ciò può essere vero per alcuni segmenti del mercato del lavoro, laddove si richiedono basse qualifiche, dal momento che molti immigrati o non hanno titoli di studio elevati o i titoli di studio conseguiti nei Paesi d’origine non vengono riconosciuti in Italia. Occorre ammettere, però, che, in prospettiva, le tensioni nel mercato del lavoro per la pressione migratoria possono crescere. Ciò a ragione del fatto che l’Italia – e ancora più il Mezzogiorno – ha intrapreso una traiettoria di forte de-industrializzazione, con perdita di domanda di lavoro qualificato. I nostri giovani meritoriamente continuano a istruirsi, imbattendosi in occasioni di lavoro (quelle coerenti con il titolo di studio acquisito) via via meno numerose. Vi è già oggi – e da decenni – in Italia un enorme problema di eccesso di offerta di lavoro qualificato, con conseguenti imponenti flussi migratori di giovani laureati in altri Paesi o al Nord. In questo scenario, si può prevedere un decremento dell’occupazione poco qualificata e, dunque, un intensificarsi della concorrenza fra immigrati e nativi. Ma anche in questa condizione, da scongiurare, il rimedio non sta nei respingimenti, che peraltro sono costosissimi per il bilancio dello Stato, bensì in politiche pubbliche che facciano crescere l’intensità tecnologica delle produzioni italiane. Queste politiche sono necessarie per l’obiettivo di assorbire la forza-lavoro italiana con titolo di studio elevata, garantendo una buona occupazione e contrastando le emigrazioni dei nostri giovani, mettendo le basi per uno sviluppo economico stabile e trainato da incrementi di produttività, ma anche per l’obiettivo di integrare pienamente chi arriva sulle nostre coste. Va, infatti, considerato che non ci sono alternative: gli spostamenti internazionali di forza-lavoro sono infatti inarrestabili.

[“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 4 marzo 2023]

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