Sull’arco della porta isolata si legge con qualche difficoltà: N 81; sull’architrave di sinistra di una delle due porte contigue si legge: N. 82 (Fig. 2). Si tratta, banalmente, dell’antica numerazione civica del palazzo, quale si osserva analoga in numerosi edifici del centro storico.
Senza entrare in dettagli paleografici, osserviamo che i caratteri della numerazione civica differiscono notevolmente da quelli che si osservano nella iscrizione sull’architrave destro, di ben altro rilievo. Quella sull’architrave destro è da ritenersi l’iscrizione più antica, mentre la numerazione risale all’epoca in cui, nella seconda metà dell’Ottocento, sugli edifici cittadini è stata collocata la numerazione civica stradale.
Le affinità paleografiche che abbiamo riscontrato fra alcune lettere dell’iscrizione sull’architrave destro (in particolare: la A con tratto mediano non diritto ma a cuneo; la esile T), e le analoghe lettere nella iscrizione di fondazione, datata 1508, sul muro esterno della chiesa di Santa Maria delle Grazie (o dell’Immacolata)[3], come pure in altre iscrizioni galatinesi cinquecentesche, consentono di ritenere che l’iscrizione sull’architrave destro possa essere databile nel primo Cinquecento (è pur vero che le iscrizioni medievali e tardo-medievali hanno generalmente la A ha con tratto mediano diritto, ma non mancano casi di A con tratto mediano a cuneo[4]). La datazione paleografica dell’iscrizione sull’architrave destro all’incirca nel primo Cinquecento può essere indicativa della cronologia dello stesso palazzo o del suo corpo centrale.
Sull’architrave destro è incisa l’iscrizione cosiddetta del SATOR (Fig. 3):
S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S
L’iscrizione presenta alcune particolarità grafiche: la lettera S in SATOR e ROTAS, che a prima vista appare come una Z; la forma inversa della N in TENET. Inoltre, essa presenta straordinarie affinità paleografiche con la analoga iscrizione proveniente dal villaggio medievale di Oppède-le-Vieux nella Provenza francese (Fig. 4[5]).
L’iscrizione di via Mory, come ha intuito Stefania Giannini osservando la foto, raffigura il cosiddetto “quadrato magico” o “quadrato del SATOR”.
Tenendo per ora a parte le attestazioni più antiche di età imperiale romana della iscrizione, osserviamo che nel Cinquecento magia e occultismo sono alle origini della definizione del “quadrato magico”. Nel trattato del filosofo, medico, alchimista, esoterista tedesco Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim (1486-1535), De occulta Philosophia sive de Magia (dove la magia è elevata a dignità di vera e perfetta scienza), e in trattati analoghi, il “quadrato magico” indica quei giochi numerici formati con i numeri inseriti in caselle che formano un quadrato in modo che la somma di ogni linea o colonna o diagonale sia costante, la cosiddetta “costante magica”. Ogni numero era considerato simbolo di un pianeta e le combinazioni numeriche del quadrato davano luogo a interpretazioni magiche, esoteriche e astrologiche, o a pratiche occulte[6].
Nel nostro caso si tratta non di un “quadrato magico” numerico ma di un quadrato alfabetico di tutt’altra origine, il “quadrato del SATOR”, formato da 5 lettere per ogni linea per un totale di 25 lettere, secondo un testo e uno schema enigmatico formatosi già nell’antichità romana e poi ampiamente documentato nel Medioevo e oltre, in Italia, in Francia e in Europa. L’area geografica di diffusione e la lingua latina inducono a ritenere che il quadrato abbia avuto una origine occidentale. Quello del SATOR non è il solo crittogramma alfabetico attestato nel mondo antico. Fra i più degni di nota (benché la sua conoscenza sia limitata agli ambienti accademici) è la cosiddetta “stele enigmistica di Moschione”, studiata dalla grande egittologa e demotista Edda Bresciani. Si tratta di una complessa iscrizione bilingue, in greco e in demotico, proveniente dall’Egitto romano-imperiale (II-III secolo d.C.), che prende la forma di un grande quadrato diviso in scacchieri nei quali sono distribuiti i testi che formano due cruciverba, uno in greco e uno in demotico, e che contengono in varie formulazioni enigmatiche le indicazioni per risolvere i cruciverba[7].
Tornando al quadrato del SATOR, esso è costituito da lettere ordinatamente allineate e incolonnate che formano parole che si possono leggere in tutte le direzioni (tranne che in diagonale): sia orizzontalmente che verticalmente, sia da sinistra che da destra; sia in un senso costante di lettura da sinistra a destra o da destra a sinistra; sia in un senso alternato e inverso di lettura per linea, cominciando da destra a sinistra o da sinistra a destra nella prima linea e proseguendo con una inversione di lettura per ognuna delle linee successive. Quest’ultimo tipo di lettura si chiama “bustrofedico”, termine che deriva dal vocabolario agricolo e designa l’andamento alterno e inverso di ogni linea di scrittura nelle iscrizioni greche arcaiche dell’VIII-VI secolo a.C. Il termine ricalca l’avverbio greco antico βουστροφηδόν (composto da βοῦς, «bue» e στρέφειν, «voltare»), che significa: «secondo come voltano i buoi» nell’aratura.
Se poi la disposizione delle parole nel quadrato del SATOR debba essere definita un “palindromo” (dal greco antico πάλιν, «nuovamente» e δραμεῖν, «correre»; il termine indica una parola che rimane uguale a sé stessa leggendola sia da sinistra che da destra, sia dall’alto in basso che dal basso in alto) o un “bifronte”, è discussione che non tocca la sostanza delle cose. In realtà, la sola parola palindroma è TENET che costituisce il centro e il cardine dell’iscrizione, e con la sua centralità in senso verticale e in senso orizzontale prende la forma di una croce.
Il testo rimane, nel suo complesso, criptico e misterioso; su di esso si sono esercitate infinite diatribe, spesso le più fantasiose, per il disvelamento dei significati letterali e reconditi dell’enigma. Quello che è importante sottolineare è che l’iscrizione del SATOR costituisce un unicum nell’epigrafia di Galatina e del Salento. Le attestazioni più vicine si trovano in chiese medievali di Acquaviva Collecroce (Campobasso) in Molise, di Capestrano e di Magliana dei Marsi (L’Aquila) in Abruzzo (l’esemplare di Ascoli Satriano/Foggia è molto più tardo), ecc.[8]; ma c’è da aspettarsi che qualche altra attestazione del quadrato del SATOR emerga dal Salento e dalla Puglia. Inoltre, a differenza della maggior parte degli altri esemplari, il “quadrato del SATOR” di Galatina è inciso direttamente sull’architrave della porta del palazzo e non su una lastra di pietra applicata sulla muratura.
Dal punto di vista storico, le più antiche attestazioni dell’iscrizione del SATOR sono state rinvenute dagli archeologi in località situate ai quattro angoli dell’impero romano: a Pompei (quindi esse si datano a prima del 79 d.C., anno della distruttiva eruzione del Vesuvio); in ambienti destinati ai soldati nella città carovaniera e militare romana di Doura Europos in Siria (II-III secolo d.C.), ai confini orientali dell’impero romano; in varie località caratterizzate da forte presenza militare romana ai confini occidentali dell’impero (Britannia/Inghilterra, Helvetia/Svizzera, Germania, Pannonia/Ungheria, ecc.). Gli studiosi più accreditati (Matteo Della Corte per Pompei e Michail Rostovtzeff per Doura Europos[9]) hanno inteso questi primi documenti come dei crittogrammi da mettere in relazione con il Cristianesimo e con la necessità dei Cristiani di celare dietro scritture enigmatiche la loro identità in tempi di persecuzione; ma non è stata neppure esclusa la matrice pagana del quadrato, dato che i soldati orientali arruolati nell’esercito romano introdussero nell’impero i loro culti pagani, fra cui quello di Mitra, una divinità solare di antica origine indo-iranica che entrò in competizione con il Cristianesimo nell’impero romano. M. Rostovtzeff ha inoltre scoperto a Doura Europos un graffito con la traslitterazione greca del quadrato latino: ΡΟΤΑϹ / ΟΠΕΡA / ΤΕΝΕΤ / AΡEPO / CATOΡ (altri esemplari della formula latina trascritta in lettere greche sono attestati in Egitto, Etiopia, ecc.). Il radicamento dell’enigma nel Cristianesimo è stato ulteriormente avvalorato dal ritrovamento in alcune chiese rupestri bizantine (IX-X secolo) della Cappadocia (Turchia) di dipinti raffiguranti la Natività, nei quali i nomi Sator, Arepo, Teneton che si leggono in corrispondenza dei pastori evangelici o dei re Magi ricalcano con tutta evidenza le parole del quadrato[10].
Nelle attestazioni di età romana, il quadrato inizia indifferentemente con il termine ROTAS e termina con SATOR (forse la versione più antica), oppure inizia con SATOR e termina con ROTAS. Quella incisa in via Mory è la versione medievale prevalente del quadrato, con il termine SATOR all’inizio e ROTAS alla fine. Vasta è stata la diffusione e numerose sono le attestazioni del quadrato del SATOR dopo l’età romana: dal Medioevo fino al Cinque-Seicento, con qualche esempio ancora nel Settecento, in Francia, in Italia, in Spagna, in Germania, ecc.; lo si trova inciso in chiese, conventi, castelli, palazzi, case private, amuleti, ecc.[11]. Sarebbe impresa quanto mai estenuante e vana anche solo accennare alle infinite proposte che si sono susseguite sul significato dell’enigma, che via via evolvono dal significato originario agricolo e cristiano ai significati medievali e cinquecenteschi metaforici, magici, astrologici, cabalistici, esoterici, apotropaici e perfino satanici. Ci limitiamo ad osservare che l’unico termine sul cui significato letterale non si registrano dissensi è il termine sator, attestato molte volte nella letteratura latina[12] sia nel significato letterale di «seminatore» che feconda il terreno, sia nel senso metaforico di «padre, creatore»[13]. Faremmo grave torto a chi legge se aggiungessimo anche solo una parola sull’universo interpretativo che si apre con il termine «seminatore» o «padre, creatore» nella tradizione evangelica cristiana e nella vasta letteratura esegetica dei Padri della Chiesa.
È invece controversa l’ipotesi di una origine del quadrato nella Gallia romana, proposta da Jérôme Carcopino sulla base della folta presenza del quadrato cristiano del SATOR nella Francia medievale, oltre ad altre argomentazioni. Carcopino muove dalla traduzione greca ἄροτρον, «aratro», del termine arepo in un manoscritto biblico greco della fine del XIV secolo, nel quale, accanto al quadrato del SATOR trascritto in lettere greche, è stata annotata la seguente traduzione in greco: ὁ σπείρων ἄροτρον κρατεῖ ἔργα τρόχους[14], che, termine dopo termine, letteralmente significa: «il seminatore governa (o domina) aratro, opere (o con fatica, con cura), ruote». Da ciò Carcopino ha dedotto che il termine arepo del quadrato significhi «aratro» e che esso ricalchi il termine gallico latinizzato arepennis con il quale, secondo la testimonianza di Columella, scrittore latino di agricoltura del I secolo d.C., i Galli indicano il semiiugero romano[15], il “mezzo iugero”, ossia una misura di superficie della terra pari a circa 1.260 m2, calcolata in rapporto alla capacità giornaliera di una coppia di buoi di arare un’area di terra detta iugero dal “giogo” dei buoi (iugum).
Nel lessico settecentesco del latino medievale di Du Cange e nel Thesaurus Linguae Latinae (TLL), edito a partire dal 1894 e tuttora in corso di pubblicazione, sono registrati alcuni termini che possono avere attinenza con arepo. Nel lessico di Du Cange, alla voce aripus (I, col. 692), è dato il significato di: gladius falcatus, «spada falcata», incurvata a forma di falce; alla voce harpa (2) (III, col. 1066), è dato il significato di: falx, «falce», e harpigeri (III, col. 1067) erano detti «i soldati armati di harpa, ossia di falci» (milites harpis seu falcibus instructi). Nel TLL sono registrate le voci aripus, arpa, arpe e tutte rimandano alla voce harpe (gr. ἅρπη). Qui, ad arpe è attribuito il significato di falcastrum, «roncone, falce», e ad aripus il significato di gladius falcatus, come già nel lessico di Du Cange. È opportuno inoltre ricordare che la falce è anche simbolo del dio pagano Saturno,protettore dell’agricoltura, equivalente nel pantheon greco a Crono che, nel mito, con una harpe evirò il padre Urano.
Gli altri termini del quadrato: tenet opera rotas, «tiene» o «regge» o «guida», «opere» o «con fatica», «ruote», sono singolarmente grosso modo significanti, ma presi nel loro insieme appaiono difficilmente combinabili al fine di ottenere un significato che abbia un senso compiuto; salvo a ritenerli, secondo le interpretazioni più ricorrenti, metaforicamente significativi di Cristo, del Sole, di Mitra, del corso del destino o della storia, ecc.
In definitiva, il quadrato si può leggere: Sator arepo tenet opera rotas, che, secondo la interpretazione letterale, approssimativa e ambigua, sarebbe: «Il seminatore con l’aratro (o con la falce) tiene con cura le ruote.» Con tutti gli infiniti significati metaforici che quei termini richiamano.
Oppure, se il termine sator evoca il cammino “bustrofedico”, avanti e indietro alternativamente, del seminatore nei campi per la semina o l’aratura, la lettura bustrofedica del quadrato in due spezzoni, con la parola TENET come fulcro, già prospettata in passato e ripresa da Gioachino Chiarini, sarebbe: Sator opera tenet / Tenet opera sator[16].
Sulla scia di una ipotesi ricorrente, lo stesso Chiarini accenna alla relazione fra il quadrato del SATOR e i Templari nel Medioevo: «… Lo troviamo inciso soprattutto in chiese e magioni legate all’ordine dei Templari …[17]». Senza addentrarci nella folta bibliografia (di altalenante valore) che insiste sulla associazione del quadrato del SATOR ai Templari, l’accenno ai Templari fatto da uno studioso rigoroso come G. Chiarini è da prendere in considerazione, ed è suggestivo di una questione galatinese controversa.
Una antica chiesa dedicata a Santa Maria del Tempio a Galatina è indicata in elenco da Michele Montinari, che la colloca in Piazza Vecchia[18]. Ora, Piazza Vecchia è luogo diverso e distante da via Mory, dove la nostra iscrizione si trova. La localizzazione della chiesa in Piazza Vecchia è stata contestata da Giovanni Vincenti, che cita la relazione della visita pastorale del 1538 nella quale la chiesa in questione figura provvista di un patrono, di un cappellano, di un orto annesso alla chiesa, di tre orti e di un piccolo uliveto nel feudo di Sogliano (è probabile che la chiesa fosse stata censita anche nei fogli mancanti della visita pastorale del 1522[19]). G. Vincenti cita anche la relazione della visita pastorale dell’Arcivescovo idruntino Lucio De Morra nel 1607 e osserva che nella relazione la chiesa è compresa fra quelle extra moenia, ossia all’esterno della cinta delle mura cittadine dell’epoca. Vincenti non ha reso esplicite tutte le conseguenze che si traggono dalle indicazioni offerte dal testo latino della relazione. Dalla citazione testuale che Vincenti fa della relazione si evince che nel 1607 la chiesa è ormai diruta, «in rovina», non ha più un cappellano e non possiede più alcun bene, e, soprattutto, che essa risulta sita iuxta castrum[20], «situata vicino al castello» o, meglio, «situata vicino alla città (fortificata)» (secondo i significati di castrum registrati nel lessico settecentesco del latino medievale di Du Cange, vol. II, coll. 398-399). La chiesa era dunque localizzata «fuori le mura» e «vicino alla città (fortificata)»: precisazioni che sembrano definitive per la localizzazione dell’antica chiesa galatinese di Santa Maria del Tempio.
Aggiungiamo che una iscrizione inedita, da noi letta e interpretata a fatica per il grave stato di erosione della pietra, attesta invece in Piazza Vecchia l’antica presenza di una chiesetta dedicata ai Santi Nicola e Leucio, poi inglobata (nel Cinquecento ?) in una casa privata: Divis Nic̣ọḷao [et L]ẹụcio iam [di]catum sạc̣ellum hoc̣ vetu[s] / staṭ [in] ḍoṃ[o no]ṣ[tra ?] _ _ _ nota devoto genio _ _ _ («Già dedicata ai Santi Nicola e Leucio, questa antica cappella / sta nella nostra (?) casa _ _ _ nota a un devoto genio _ _ _ »). Non una sola chiesa intestata ai due santi, bensì una chiesa di San Nicola e una di San Leucio sono attestate a Galatina nella visita pastorale del 1538, e probabilmente le due chiese erano registrate anche nei fogli mancanti della visita pastorale del 1522[21].
Le due visite pastorali citate da Vincenti documentano la parabola della fortuna e del declino della chiesa galatinese di S. Maria del Tempio. Quella di Galatina è considerata da alcuni una delle quattro chiese del Salento meridionale intestate a S. Maria del Tempio (oltre a quella, meglio nota e documentata, di Lecce), ritenute risalenti al Medioevo, all’epoca dei Cavalieri Templari, poi dismesse o abbattute nel Cinque-Seicento[22].
Ricordiamo, in termini generali, che l’arco cronologico entro il quale i Templari furono attivi come ordine religioso combattente in Terra Santa e come potentissima corporazione economico-finanziaria si colloca fra la ufficializzazione dell’ordine nel 1119-1120 (l’ordine esisteva già da un decennio) e la eliminazione sistematica dei Templari mediante la confisca dei beni, i processi e la esecuzione di numerose condanne al rogo in Francia fra il 1307 e il 1314. A questo contesto finale della esistenza dei Templari appartengono due documenti angioini, datati 25 e 31 marzo 1308, che attestano gli arresti e le confische dei beni mobili e immobili dei Cavalieri Templari in Terra d’Otranto e in Terra di Bari[23].
Sui Templari e i loro beni nel regno di Sicilia e in Puglia, dall’età normanna all’età sveva e alla prima età angioina, si possono utilmente consultare studi critici, rigorosamente documentati, che mettono in risalto la forte presenza dei Templari (in particolare nella Puglia foggiana e barese, per la presenza dei porti adriatici verso la Terra Santa), con la efficiente organizzazione delle precettorie dell’ordine, distinte in grandi circoscrizioni: Sicilia-Calabria, Apulia-Capitanata, Terra d’Otranto, e con un magister Templi provinciale[24].
Se la chiesa galatinese di Santa Maria del Tempio, documentata come florida e attiva nel 1538 e «in rovina» nel 1607, possa risalire all’epoca dei Templari è questione impossibile da risolvere in assenza di documentazione. La intestazione della chiesa da sola non basta a provarlo. Tra l’altro, all’epoca dei Templari, il Due-Trecento, a Galatina erano dominanti la cultura e il clero greco, che renderebbero o improbabile o problematica la compresenza “latina’ dei Templari.
Le questioni da porre con estrema cautela e in via del tutto ipotetica sono: se l’iscrizione del SATOR in via Mory sia da intendere come un enigma criptico e linguistico nel solco della tradizione romana e medievale, inciso con lo scopo di attirare la curiosità dei passanti; oppure come una sopravvivenza dell’enigma ormai privo dei significati antichi e medievali e inciso sull’architrave con finalità per così dire decorative o di portafortuna; oppure (è questa la questione più ardua) se nell’iscrizione si possa cogliere una tardiva allusione, una qualche reminiscenza cinquecentesca dei Cavalieri Templari medievali.
Concludiamo
osservando che, quale che sia l’interpretazione che si voglia, si possa o si
sappia escogitare, il “quadrato del SATOR” ha avuto senz’altro ruoli e funzioni
proprie dall’antichità al Medioevo e oltre, per rimanere infine, venute meno le
sue funzioni originarie, un esercizio o un gioco d’intelligenza che, se è capace
di stimolare l’acume e l’ingegno altrui, «trasmette anche la sensazione di un labirinto con mille entrate
e uscite, nel quale è facile perdersi[25].»
[Una edizione ridotta di questo articolo è apparsa ne «Il Galatino» 56.2, 27 gennaio 2023, p. 4 e in «Iuncturae» 8 febbraio 2023.]
[1] La famiglia è attestata a Galatina dal primo Cinquecento. Cf. genealogia in G. Vallone, Feudi e città. Studi di storia giuridica e istituzionale pugliese, Galatina 1993, p. 204.
[2] M. Cazzato, Palazzi e famiglie. Architettura civile a Galatina tra XVI e XVIII secolo, Galatina 2002, pp. 81-82.
[3] Cf. foto in P. Giannini – B. Virgilio, Tre iscrizioni dal Museo “P. Cavoti” di Galatina, «Iuncturae» 22 dicembre 2021, on line: https://www.iuncturae.eu/2021/12/22/tre-iscrizioni-dal-museo-p-cavoti-di-galatina/.
[4] Cf., per esempio, R. Jurlaro, Epigrafi medievali salentine, «Studi Salentini» 31-32 (1968), pp. 231-277 (p. 247 n° 6, un esempio di A medievale con tratto mediano a cuneo).
[5] Dalla foto on line: https://www.sagaphoto.com/photo.asp?from=liste&id=84PF0102#.Y_j_xC3uaRs.
[6] R. Cammilleri, Il quadrato magico, Milano 1999, pp. 13-16.
[7] E. Bresciani, I testi demotici della stele “enigmistica” di Moschione e il bilinguismo culturale nell’Egitto greco-romano, «Egitto e Vicino Oriente» 3 (1980), pp. 117-145; Ead., Letteratura e poesia dell’antico Egitto. Cultura e società attraverso i testi, Torino 20073, pp. 999-1002.
[8] Vd. R. Granatelli, Del latercolo pompeiano. Il SATOR di Pompei, Macerata 2010; ecc.
[9] M. Della Corte, Le iscrizioni della “Grande Palestra” ad occidente dell’anfiteatro, in «Notizie degli Scavi» 15 (1939), pp. 263-264 (cf. R. Granatelli, op. cit.); M. Rostovtzeff, Il rebus Sator, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia», s. II, vol. III.1 (1934), pp. 103-105.
[10] G. De Jerphanion, La formule magique SATOR AREPO ou ROTAS OPERA. Vieilles théories et faits nouveaux, «Recherches de Science Religieuse» 25 (1935), pp. 188-225, on line: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1245323/f186.item.
[11] G. De Jerphanion, art. cit., pp. 206-215.
[12] Per esempio: Cicerone, Sulla natura degli dei, II, 86.
[13] Cicerone, Tusculanae Disputationes, II, 20 (traducendo liberamente da Le Trachinie di Sofocle), fa dire ad Ercole che Zeus (Giove) è caelestum sator, «padre, genitore dei Celesti». Senza alcun intento di cercare impossibili corrispondenze fra il testo greco di Sofocle (vv. 1046-1111) e la traduzione o trasposizione latina di Cicerone, osserviamo che, nel testo di Sofocle, Eracle invoca il padre Zeus con gli appellativi: ὦναξ … πάτερ («signore … padre», vv. 1087-1088), ὁ κατ’ ἄστρα («il signore degli astri», v. 1106).
[14] G. De Jerphanion, art. cit., pp. 195-196.
[15] Columella, De re rustica, V, 1.6: Galli … semiiugerum quoque arepennem vocant. J. Carcopino, Le Christianisme secret du «carré magique», «Museum Helveticum» 5 (1948), pp. 11-59; Id., Études d’histoire Chrétienne. Les fouilles de Saint-Pierre et la tradition. Le Christianisme secret du «carré magique», Paris 19632, pp. 9-102. Cf. M. Guarducci, Il misterioso “Quadrato Magico”, l’interpretazione di Jérôme Carcopino e documenti nuovi, «Archeologia Classica» 17 (1965), pp. 219-270.
[16] G. De Jerphanion, art. cit., p. 220; G. Chiarini, Il Sator e il duomo di Siena, Siena 2017, pp. 20-22.
[17] G. Chiarini, op. cit., p. 145.
[18] M. Montinari, Storia di Galatina, a cura di A. Antonaci, Galatina 1972, p. 212. Da qui S. Fiori, I Templari in Terra d’Otranto. Tracce e testimonianze nell’architettura del Basso Salento, Lecce 2010, pp. 111-114, riprende la localizzazione della chiesa in Piazza Vecchia.
[19] V. Boccadamo, Terra d’Otranto nel Cinquecento. La visita pastorale dell’archidiocesi di Otranto del 1522, Galatina 1990, p. 114.
[20] G. Vincenti, Santa Maria del Tempio non è mai stata in Piazza Vecchia. Lo dimostrano i documenti, in «Il filo di Aracne», a. VII, n. 4, settembre/ottobre 2013, pp. 24-25, on line: https://www.galatina.it/santa-maria-del-tempio-non-%C3%A8-mai-stata-piazza-vecchia-lo-dimostrano-i-documenti#_edn.2.
[21] V. Boccadamo, op. cit., p. 114. Cf. V. Boccadamo, Visitatio Hydruntinae Dioeceseos facta anno 1538, «Brundisii Res» 15 (1983), pp. 173-180, on line.
[22] S. Fiori, op. cit., pp. 101-114.
[23] H. Prutz, Entwicklung und Untergang des Tempelherrenordens, Berlin 1888, pp. 357-364, on line: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k991180b.texteImage.
[24] Per esempio: G. Guerrieri, I Cavalieri Templari nel Regno di Sicilia, Trani 1909; C. D. Poso, Puglia medievale. Politica, istituzioni, territorio tra XI e XV scolo, Galatina 2000, pp. 139-152; H. Houben, Templari e Teutonici nel Mezzogiorno normanno-svevo, in G. Musca (ed.), Il Mezzogiorno normanno-svevo e le Crociate, Bari 2002, pp. 253-288; K. Toomaspoeg, Templari e Ospitalieri nella Sicilia Medievale, Bari 2003; L. Petracca, L’Ordine dei Templari in Capitanata. Storia, sviluppi, aspetti e problematiche, «Mélanges de l’École Française de Rome. Moyen Âge» 128.2 (2016), on line: https://journals.openedition.org/mefrm/3380; ecc.
[25] Cf. R. Cammilleri, op. cit., p. 221.