Gli Atti del Convegno su Sigismondo Castromediano

Dopo un trentennio di silenzio, l’occasione per una nuova stagione di studi viene offerta dal centenario dell’Unità d’Italia, che stimola una ricerca ultradecennale, caratterizzata da apporti originali: spiccano, fra questi, la ricezione da parte del mondo accademico, che pubblica su un periodico dell’Università leccese un saggio storico del Castromediano e, soprattutto, l’apporto dello storico della letteratura Aldo Vallone, che oltre a valorizzarne scritti giovanili, propone un’antologia delle Memorie del duca ad uso scolastico. Nel medesimo periodo, notevoli anche i contributi dell’archivista Michela Doria Pastore e di Michele Paone (noto storico dell’arte, e non solo) che fra l’altro richiama l’attenzione sull’impegno profuso dal duca come promotore e organizzatore di cultura. Il filo viene ripreso, per rimanere ininterrotto sino ad oggi, in occasione del primo centenario della morte del Nostro (1995): al costante interesse per le Memorie, che attirano ben tre esperte rivisitazioni critiche e filologiche (fra di esse, si ricorda l’edizione di Pier Fausto Palumbo per il Centro Studi Salentini), si affianca la scoperta degli scritti storiografici del duca, e la sistemazione organica del ricchissimo epistolario (anche in forma di regesti), dovuta alla paziente cura di Fabio D’Astore. Dobbiamo infine all’appassionata competenza di Antonio Lucio Giannone, docente di Letteratura italiana contemporanea presso l’Ateneo salentino, il lavoro di contestualizzazione delle opere del Castromediano, nell’ambito della sua indagine sul rapporto tra i centri e le periferie della produzione letteraria italiana.

Ma oltre all’impegno di studiosi di tale vaglia, vanno doverosamente menzionati altri motivi della fortuna degli studi (quasi esclusivamente condotti da autori salentini) sul Castromediano. Fattore decisivo della ricchezza del materiale bibliografico e documentario oggi disponibile sul patriota è costituito dalla generosa apertura dell’archivio della famiglia Castromediano-Lymburg da parte del suo erede, Gaetano Gorgoni, che ha operato, e continua ad operare, anche in veste di amministratore locale. Altrettanta sensibilità è stata dimostrata, senza soluzione di continuità, dall’Amministrazione comunale di Cavallino, cittadina natale del duca, che da sempre lo ha intelligentemente identificato come un patrimonio municipale da tutelare, atteggiamento questo non sempre riscontrabile in tutti gli Enti pubblici. A smentire, tuttavia, ogni possibile equivoco campanilistico, lo stesso Comune di Cavallino ha poco prima organizzato un altro convegno nazionale a carattere più generale sul Risorgimento (I linguaggi risorgimentali per la Nazione). Infine, da sottolineare la determinazione di diverse case editrici, anche non salentine, nell’intraprendere operazioni non prive di incognite sul piano strettamente commerciale, a testimonianza dell’attenzione verso il personaggio.

Le celebrazioni dell’Unità, e il conseguente ritorno d’interesse sulle figure patriottiche salentine, hanno trovato in fervida attività i già menzionati Giannone e D’Astore, per i quali il presente volume rappresenta una significativa messa a punto del lavoro svolto nell’ultimo ventennio e l’apertura di nuove piste investigative. È lo stesso Giannone a ribadire, nella Prefazione, che il principale compito rimasto agli studiosi del Castromediano è quello di lavorare per collocarlo nella dimensione nazionale che gli appartiene a buon diritto e dalla quale è rimasto ingiustificatamente escluso. La storiografia nazionale, infatti, non ha preso nella dovuta considerazione il patriota salentino come memorialista o come uomo attento al bene comune: lungi dall’assumere atteggiamenti vittimistici e di circostanza, il Convegno si è piuttosto impegnato in una serena individuazione, diretta o indiretta, dei possibili motivi di tale conventio ad excludendum, che replica il silenzio delle istituzioni accademiche (persino l’Università salentina in molti casi) e della storia ufficiale su altri importanti fatti storici dell’antica Terra d’Otranto, raramente considerati di valenza nazionale. In merito, alcune risposte sono state date, altre sono rimaste implicite o in penombra. In generale, esse hanno fatto riferimento alla negligenza della storia e dei protagonisti del Mezzogiorno d’Italia: si tenderebbe a trascurare l’importanza di movimenti patriottici autoctoni del Sud d’Italia. Nella fattispecie, Giannone sostiene che uno dei motivi principali del mancato riconoscimento del valore storico del Castromediano può essere individuato nella collocazione periferica della tipografia responsabile della prima edizione. Più che allo spazio, D’Astore attribuisce all’eccessivo ritardo dell’uscita la sottovalutazione immediata delle Memorie, perché non più consono ai mutati gusti del lettore; ma lo stesso studioso ritiene, alla luce dei documenti recentemente acquisiti, che a determinare l’incomprensione del valore letterario dell’opera potrebbe essere stata la dispersione di alcune sue parti. D’Astore presenta, proprio nell’ottica del recupero e di una interpretazione più completa, una parte inedita delle Memorie, dando particolare rilievo alla descrizione poco convenzionale che il duca compila della capitale francese.

Il volume è articolato su tre assi, corrispondenti alle fasi fondamentali in cui può essere distinta la vicenda esistenziale del duca: il dovere di patriota, il fine memorialista, in particolare della propria esperienza carceraria, l’organizzatore e l’animatore della vita culturale. Ad essi sono riferite le dodici relazioni presentate nel corso del Convegno, che ha visto la partecipazione di esperti di vari settori (con una decisa prevalenza degli storici della Letteratura), dall’Italianistica alla Storia dell’Arte, dalla Storia politica e sociale fino all’Archivistica e alla Bibliotecaria. Fra questi vanno doverosamente citati per primi, per dovere di ospitalità, i relatori provenienti extra moenia, ossia Ermanno Paccagnini, docente di Letteratura italiana presso l’Università Cattolica di Milano e Maria Alessandra Morcellan, studiosa della gender history in particolare nel Risorgimento piemontese. Proprio all’illustrazione dello sfondo storico-culturale si dedicano questi due autori: a Paccagnini spetta il compito di presentare lo stato attuale degli studi sulla memorialistica risorgimentale, un genere letterario frequentato da moltissimi patrioti fra i quali spiccano Pellico, Settembrini, Garibaldi, d’Azeglio, molto diversi tra loro per matrice ideologica e per vicende politico-personali, ma accomunati da una sofferta necessità di fissare momenti eccezionali di vita privata e di storia nazionale per lasciarne una traccia durevole, con valore di messaggio per i posteri. Passando in rassegna molti dei titoli, Paccagnini presenta una sintetica panoramica sulla sterminata produzione memorialistica di quel periodo, molto complessa ed eterogenea, in cui si possono cogliere alcuni nuclei fondamentali: i momenti storici oggetto della narrazione, corrispondenti alle successive ondate rivoluzionarie (e le corrispondenti fasi repressive) che investirono la nostra penisola; le tematiche più ricorrenti negli scritti; il rapporto tra “esperienza vissuta” e “esperienza rivisitata” e quindi il tempo intercorso tra la stesura e l’edizione; le scelte stilistiche e le finalità dichiarate dagli autori. Indirettamente si delinea il confronto con le memorie del Nostro, che in effetti si avvicina alle altre soprattutto per il tema, quello dell’esperienza della durissima detenzione, mentre se ne discosta per alcune peculiarità, prima fra tutte la distanza tra le esperienze vissute e la data di edizione delle memorie autobiografiche.

Morcellan, da parte sua, pone la sua attenzione ai luoghi elettivi della sociabilità pubblica risorgimentale, quali i salotti e i caffè della Torino di metà Ottocento (illustrati anche attraverso preziose riproduzioni fotografiche), dove si progettavano i destini futuri della Nazione italiana: fu proprio nel salotto dell’aristocratica famiglia Savio (descritto con notevole capacità di analisi da Morcellan) che il Nostro allacciò relazioni significative, fra cui quella con Adele, figlia della padrona di casa, destinata alla romantica impossibilità della realizzazione matrimoniale.

Sempre al tema della memorialistica si ricollega l’intervento di Giannone, che restringe lo sguardo agli scritti degli autori meridionali, nei quali individua tratti comuni sia a livello delle finalità, sia nella descrizione di alcuni episodi. Ne emerge un’epopea risorgimentale, intesa nel duplice senso di narrazione di fatti oggettivi (res gestae) e della loro narrazione dal punto di vista soggettivo (historia rerum gestarum), entrambi tendenti alla rappresentazione degli eroi e dei martiri.

A lumeggiare le battaglie civili del duca concorrono gli interventi di Salvatore Coppola (tra i più attrezzati contemporaneisti salentini, specializzato nell’area politico-sociale), di Emilio Filieri, docente di Letteratura italiana presso l’Università di Bari, molto attento al rapporto Nazione-Regione, di Paolo Agostino Vetrugno (studioso di Storia dell’Arte) e di Andrea Scardicchio, ricercatore di Letteratura italiana presso l’Università del Salento. Coppola esamina la breve parentesi del mandato parlamentare del Castromediano, espletato nella prima legislatura unitaria. Servendosi degli atti parlamentari e di articoli giornalistici scritti dallo stesso, mostra la trasparenza a cui il deputato salentino informò la sua azione. I resoconti inviati ad un periodico leccese, infatti, dovevano tenere aggiornata la cittadinanza non solo sull’attività del loro rappresentante, ma anche creare un’abitudine alla dialettica politica e ad accorciare le distanze tra i centri della decisione politica e le periferie. I documenti presentati da Coppola sono utilissimi per comprendere meglio i criteri di comportamento del Duca che, deputato della Destra storica, appoggia provvedimenti anche di dicasteri tenuti da altri esponenti, se ritenuti conformi all’interesse comune e alla sua visione liberale e liberistica. Alla parentesi parlamentare è riferito anche l’articolo di Filieri, che focalizza sulla vexata quaestio delle decime, ultimo residuo della feudalità sopravvissuta nel Mezzogiorno post-unitario. La visuale scelta è quella di una lunga polemica, politica e personale, che vide contrapposti Castromediano e Beniamino Rossi, legale dei proprietari terrieri non disposti a perdere i loro introiti fiscali; ancora una volta è la figura del Duca a uscirne vincente dal punto di vista morale, per la coerenza con la quale difende le rivendicazioni dei contadini contro i propri interessi di possidente e riesce a comporre in un equilibrato disegno di legge l’annosa vertenza.

Vetrugno ripercorre l’impegno profuso dal duca per la valorizzazione dei monumenti locali e per l’istituzione di centri di cultura (biblioteca e museo in primis), volani, a suo avviso, di un rilancio dell’identità locale non contrapposta a quella nazionale ma ad essa complementare. Il Castromediano propone pertanto un uso pubblico della storia per elevare una coscienza civile in senso unitario. Allo scopo egli non scrive monografie a carattere pedagogico, quanto si spende, come rileva acutamente Scardicchio, piuttosto sul piano del fare e della sensibilizzazione dei poteri rispetto alle emergenze educative dell’Italia post-unitaria. La sua visione viene pertanto ricostruita attraverso lettere e articoli giornalistici che ci fanno ascoltare l’autorevole voce del duca nel dibattito post-unitario sulla scuola e sull’educazione, cui il ceto intellettuale affidava le speranze del riscatto sociale. Ne emerge una visione laica dell’istruzione pubblica, senza cadute nell’anticlericalismo: non va dimenticato in proposito che il Castromediano, proprio in virtù della sua storia personale e del suo profilo culturale, venne proposto per la carica di Ministro della Pubblica Istruzione, carica da lui rifiutata per modestia. Tra i principali meriti del Nostro, Scardicchio si sofferma sul felice esito dell’opera di persuasione esercitata nei confronti di una delle più accreditate intellettuali e pedagoghe del tempo, la milanese Luisa Amalia Paladini, che venne a Lecce per assumere l’incarico direttivo di un Istituto educativo. Anche il lavoro di volgarizzazione di una novella del Boccaccio in dialetto leccese, preso in considerazione da Marco Leone (ricercatore confermato di Letteratura presso l’Università del Salento) rientra nella prospettiva di una “società educante” e rivela un altro aspetto dell’impegno del Castromediano: l’attenzione verso la cultura popolare. Leone, con la perizia che gli è propria, inquadra tale scritto (inserito in un’antologia dell’epoca sui dialetti locali) nel dibattito nazionale sviluppatosi negli anni settanta dell’Ottocento, teso a chiarire i rapporti tra l’idioma nazionale e i linguaggi vernacolari. Pur con alcuni limiti tecnici, questo scritto – pochissimo studiato in precedenza – rivela la sensibilità dell’intellettuale verso tutte le espressioni della salentinità, anche quelle ritenute minori.

Ad animare ulteriormente la discussione e l’approfondimento sulla figura del duca di Cavallino contribuisce la scoperta di alcuni inediti: a quelli cui si è prima accennato, illustrati da D’Astore, si aggiunge un manoscritto messo a disposizione da Luigi Montonato, cultore di un Risorgimento critico e appassionato al tempo stesso. Si tratta di un manoscritto delle Memorie, parte autografo e parte idiografo, sul quale lo studioso avanza credibili ipotesi per spiegarne lacune e parti di problematica interpretazione. Il punto sulla situazione dell’archivio di famiglia dei Castromediano-Lymburg viene effettuato con molta chiarezza espositiva da Rosellina D’Arpe, da anni dedita alla sistemazione di questo patrimonio tanto immenso quanto disordinato e in parte disperso. La ricercatrice offre in particolare uno spaccato della corrispondenza di Sigismondo, testimonianza dello sguardo con cui questi seguiva lo svolgersi degli avvenimenti della sua epoca. Completa la ricerca archivistica, sia pure in modo virtuale, un tentativo di ricomposizione della biblioteca del Nostro, operato dal direttore della Biblioteca Provinciale di Lecce, Alessandro Laporta, sul quale si riferisce nella recensione successiva.

A tre anni dalle celebrazioni della ricorrenza unitaria, in sede di consuntivo possiamo ritenere che i risultati più notevoli dal punto di vista scientifico siano stati conseguiti proprio intorno ai due protagonisti del Risorgimento salentino sui quali  più si è dibattuto, ossia lo stesso Castromediano e l’uomo politico che ne è considerato – almeno secondo una vulgata consolidatasi nel tempo – l’antitesi umana e politica, il ministro borbonico Liborio Romano: pure su questo personaggio è stata gettata una luce nuova, intesa a tirarlo fuori dalle secche del “maestro del doppio gioco”, con cui era connotato e nelle quali era arenato. Il presente volume rappresenta pertanto il risultato di un’operazione inedita per la storiografia sul Castromediano, la quale acquisisce infatti il pregio di aver messo per la prima volta a confronto diretto, e in rapporto sinergico, punti di osservazione diversi ma complementari: ne è conseguita una ricomposizione tendente al tutto tondo (anche dal punto di vista iconografico, data la presenza di numerose riproduzioni a colori dei ritratti oggi esistenti) della figura oggetto di studio e dello sfondo in cui ha operato. Un personaggio meritorio della cultura e della politica, dalla coerenza e dall’integrità morale di cui oggi entrambe avvertono un improcastinabile bisogno.

(2015)

Recensione a Antonio Lucio Giannone – Fabio D’Astore (a cura di), Sigismondo Castromediano: il patriota, lo scrittore, il promotoredi cultura, Atti del Convegno Nazionale di Studi (Cavallino di Lecce, 30 novembre – 1 dicembre 2012), Centro Studi “Sigismondo Castromediano e Gino Rizzo”, Galatina, Mario Congedo  Editore, 2014, pp. 374.

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