La scuola del merito: incenso, pece o manna? Un’ipotesi progressista

di Anna Rita Cancelli

Il Ministero dell’Istruzione, nell’anno 2022, cambia ufficialmente denominazione e diventa Ministero dell’Istruzione e del Merito.

Presupposto della seguente argomentazione è il fatto che al nome con cui chiamiamo le cose occorre sempre attribuire un senso, pena un pericoloso disorientamento. 

In un contesto particolare come quello scolastico, “merito” è un termine fortemente evocativo. Ne parla la nostra Costituzione all’art. 34 e adesso tutti se lo ricordano, ma i Padri Costituenti avevano memoria di qualcosa che, al momento, non impatta come dovrebbe l’opinione pubblica, smemorata, disattenta, superficiale, condizionata.

Merito è un termine da suggestione olfattiva. L’olfatto segue due scie: da una parte odore di santità, e dall’altra odore di zolfo. Paradiso o Inferno. Siamo pur sempre sotto il cielo di una cultura permeata di cristianità! Beatitudine o mestizia. Premio o punizione. Gioia o dolore. Incenso o pece. Profumo o lezzo.

In una cornice come quella italiana, dove pare ormai strutturale l’idea che l’ascesa sociale sia prevalentemente appannaggio degli amici degli amici che contano, l’idea di meritocrazia è seducente. Lo è ancora di più se si aggancia alla percezione di un’urgenza: quella di avere persone qualificate nei diversi ruoli e funzioni sociali. C’è da considerare, inoltre, l’evoluzione dell’idea di successo nei diversi ambiti, verificatasi negli ultimi anni. Ha maggiore successo chi guadagna di più e, spesso, non importa come.

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