di Guglielmo Forges Davanzati
L’insediamento del governo di Destra ha aperto la strada alla rivisitazione della questione meridionale, rilanciando le tesi leghiste per le quali il Sud avrebbe bisogno di minori trasferimenti pubblici ed eventualmente di un ritorno alle cosiddette gabbie salariali, ovvero a salari fissati per legge e un valore più basso nelle regioni del Sud. Le esternazioni, poi ritirate, del Ministro Valditara rappresentano un sentire comune in quell’area politica, così come gli studi del gruppo di economisti della Voce.info che, anche di recente, hanno di nuovo proposto l’allineamento dei salari dei lavoratori meridionali (considerati troppo alti) alla più bassa produttività del lavoro nel Mezzogiorno. Indagini autorevoli e recenti segnalano, però, che i differenziali salariali fra Nord e Sud del Paese già esistono e sono di dimensioni rilevanti. Fra queste, quella dell’Osservatorio Job Pricing che elabora un Geography index, dal quale risulta un differenziale retributivo a danno del Mezzogiorno nell’ordine del 17%. Si raggiunge addirittura la percentuale del 52% su base provinciale nella differenza fra Milano (l’area nella quale i salari sono più alti) a Ragusa (nella quale sono i più bassi). A confermare questo scenario interviene un recente Report della Banca d’Italia, stando al quale al Sud persiste una differenza del 9% in media, imputabile soprattutto al fatto che, di rado, vi è contrattazione integrativa in azienda. In ogni caso, c’è del vero nel fatto che la produttività del lavoro è inferiore al Sud e che, per molti beni (a partire dalle abitazioni), i prezzi sono più bassi nel Mezzogiorno.