di Gianluca Virgilio
“ È la cosa migliore che ci sia toccata!” disse Frédéric.
“Già, forse è proprio così. È la cosa migliore che ci sia toccata!” disse Deslauriers.”
Gustave Flaubert, L’educazione sentimentale.
I più giovani oggi non lo sanno, ma ci fu un tempo in cui la naia era obbligatoria. Quando arrivava la cartolina-precetto, se non avevi diritto al rinvio, qualunque cosa stessi facendo, dovevi lasciarla a mezzo e partire per la caserma assegnata. A me toccò una caserma di Salerno, dove per un mese avrei ricevuto l’addestramento prima di esser inviato alla mia destinazione definitiva. L’addestramento: marce lunghe ed estenuanti, con soste interminabili all’impiedi, le orecchie rintronate da un caporale più potente di un generale di corpo d’armata, capace di punirti per un nonnulla, regalandoti una guardia notturna, un’esenzione dalla libera uscita, una pulizia dei bagni e delle camerate, ecc. Ricordo che, alla fine della giornata, l’ultimo esercizio consisteva nel recitare ad alta voce e con tono marziale, davanti al caporale, le proprie generalità: “Fante Gianluca Virgilio, decima compagnia, terzo battaglione…” e, al termine, stando sull’attenti, bisognava gridare: “Comandi!”.
Si facevano delle belle amicizie sotto la naia, indotte dalla sorte comune che ci era toccata. Così, la sera, uscivamo felici dalla caserma appena suonava l’ora della libera uscita e andavamo verso il centro cittadino, fermandoci ad ogni bar che incontravamo: in ogni bar c’era qualcuno di noi che offriva da bere; e siccome questo accadeva sia all’andata che al ritorno, di solito tornavamo in caserma più che brilli, sebbene sempre con le nostre gambe. Se si considera il ruolo che in ogni guerra gli alcolici hanno giocato nel tenere alto il morale degli eserciti, si può capire meglio come questa fu la parte più importante del mio addestramento militare.