La sfida della scienza per la comprensione dell’universo

Il 25 per cento, quindi. Materia oscura. Particelle misteriose e  profondità del mistero. Testo indecifrato. In quanto tale attraente, fascinoso. Oscura vuol dire che non è stata ancora decodificata dal pensiero, assorbita dalla conoscenza. In quella materia oscura ci potrebbe essere ogni cosa: forse ogni definitiva risposta; forse interrogazioni ulteriori. Forse l’origine e la conclusione. L’incipit e l’explicit  di quello stupendo racconto senza nessuna trama e dall’inestricabile intreccio che è l’universo.

Ancora Fabiola Gianotti: in un’altra occasione disse che noi conosciamo soltanto il cinque per cento dell’universo. Il novantacinque per cento è un punto interrogativo.  Pensiamo che abbia avuto origine da una grande esplosione iniziale, il Big Bang, ma non ne conosciamo i dettagli.

Soltanto il cinque per cento. Per conquistare questa percentuale si è dovuto lavorare per tutto il tempo che va dal primo agli ultimi uomini, che siamo noi, per cui ci si deve anche domandare quanto altro tempo sarà necessario ancora per rivelare il novantacinque per cento che manca. Allora ritorna alla memoria quello che dice  l’Amleto di Shakespeare: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia”.

Ogni volta che una forma e un significato del mondo si concedono alla nostra conoscenza, si ripresenta, prepotentemente, il sospetto che esistano altre forme e altri significati che risultano inaccessibili alla nostra intelligenza.  

E’ a quel punto che la sfida ricomincia, che l’umano provoca il sovrumano, i suoi segreti meravigliosi e oscuri; è a quel punto che l’immaginazione si confronta con l’inimmaginato, che la scienza pretende di trasformare in visibile quello che per natura è invisibile, di ricondurre in formule il tempo e lo spazio,  di dare spiegazione dei sovrumani silenzi, o del caos originario o del boato di un  Big Bang, o delle vibrazioni di energia, della musica dell’universo, della Particella di Dio. E’ a quel punto che l’ansia di razionalizzare, di categorizzare la bellezza, la dismisura, la metamorfosi, di rivelare il senso nascosto, di definire l’indefinibile,  prende il sopravvento. Ma la scienza è la conseguenza proprio di quest’ansia che prende il sopravvento e coinvolge e costringe alla ricerca del senso profondo, profondissimo, abissale, o altissimo, vertiginoso, dei fenomeni e delle cose. Ma è quest’ansia rigorosamente governata, impulso e movente della ricerca, ricondotta a metodo, a sistema di pensiero, che autorizza un uomo  ad affermare l’intenzione, la pretesa ad un tempo umile e presuntuosa di rendere chiara la materia oscura,  di penetrare il pensiero di Dio, di comprendere come Dio abbia fatto a creare il mondo. Non per ripetere la Sua opera. Ma soltanto e semplicemente per capire. Poi qualcuno potrebbe anche sostenere che il mondo non si comprende con una formula ma con un sentimento, che di conseguenza è assolutamente  soggettivo e assolutamente relativo. Oppure, semplicemente, che non si comprende mai completamente, definitivamente. Forse la bellezza dell’universo consiste in  questa impossibilità di definitiva comprensione. 

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 12 febbraio 2022]

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