Ma va comunque ricordato che la vicenda del frate di Pietrelcina si inserisce in un contesto di storia millenaria, già attestata da Strabone, e poi resa particolarmente visibile da un’attenta campagna giornalistica che ebbe all’inizio il suo epicentro ne “Il Mattino” di Napoli.
La ricostruzione di Luzzatto risulta tanto più efficace in quanto è condotta su fonti non solo archivistiche e giornalistiche ma anche di altra natura, come la fotografia, inserita come parte integrante della narrazione, o come la letteratura che svolge un ruolo insostituibile in sede argomentativa. Basti un solo esempio. Con notevole finezza Luzzatto affida alle pagine della Storia di Cristo di Papini il compito di rilevare l’umore profondo della psicologia collettiva nell’immediato dopoguerra. Dopo aver dato un contributo decisivo alla formazione del nazionalismo guerrafondaio dalla pagine di ‘Lacerba’, Papini aveva maturato, a partire dal ’16, una “disillusione” e una “repulsione” per la guerra, che doveva portarlo alla conversione al cristianesimo cattolico: “l’orrore ci ha insegnato quello che veramente siamo”, scriveva a Palazzeschi in una lettera del luglio del ’20, citata da Luzzatto. Un approdo di conoscenza individuale che aveva avuto qualche costo di vite umane.
Uno degli aspetti più interessanti del libro riguarda l’incontro/scontro tra padre Agostino Gemelli e padre Pio. Due storie personali e due forme di religiosità che più diverse non si può. Ma è riduttivo ricondurre tale diversità alla contrapposizione meccanica tra una religiosià settentrionale, pura e spirituale, e quella meridionale torbida e paganeggiante. E non solo perchè anche nel Mezzogiorno è possibile trovare esempi di spiritualità religiosa di grande fascino anche per i non credenti, ma soprattutto perchè quello scontro avveniva su un terreno ben più complesso e carico di implicazioni e conseguenze, e non tutte chiare o intuibili all’orizzonte. Per capire quale fosse tale terreno di scontro, occorre partire da ciò che essi ebbero in comune: l’interesse per la medicina e la creazione di gigantesche strutture ospedaliere d’avanguardia. Per entrambi era un modo di esercitare la carità e quindi di servire la Chiesa. Una comunanza di interessi e di propositi che era tuttavia la conseguenza di una visione religiosa lontanissima e a tratti conflittuale. Con una formazione medico-scientifica di stampo laico e positivistico, Gemelli aveva abbracciato il cristianesimo cattolico dopo la lettura della Vita di San Francesco, scritta nel 1894 dal pastore protestante Paul Sabatier. Un percorso sicuramente tormentato, che sfiorò la crisi modernista, per approdare alla definizione di un preciso progetto: sfidare il positivismo sul terreno suo proprio, quello della spiegazione scientifica, per mostrarne ingenuità e insufficienze e costrurie sulle sue macerie una forte presenza cattolica in campo scientifico e più generalmente culturale. Liberare la scienza dall’ipoteca materialistico-positivistica era il passaggio obbligato per metterla al servizio della Chiesa. Un progetto ben più ampio, rispetto a quello, coevo, dell’idealismo e per di più basato su un terreno, quello della scienza, lasciato interamente scoperto. In questo progetto il problema della santità si presentava come assolutamente centrale. Se il positivismo, in nome della scienza, aveva ricondotto la santità tra i fenomeni della psicopatologia, Gemelli vuole utilizzare gli strumenti della scienza da un lato per smascherare i “fenomeni inferiori” ma per mettere in evidenza dall’altro come la stessa scienza non è in grado di spiegare i “fenomeni superiori”, cioè quelli che consentono l’intuizione del divino. Una strada che avrebbe portato padre Gemelli in rotta di collisione con padre Pio.
Comunque, quali che siano stati i risultati e quale che sia il giudizio sull’esperienza di padre Gemelli, è innegabile che essa ha rappresentato un significativo tentativo di conciliare la Chiesa con la scienza cioè con uno dei caratteri fondamentali della modernità.
Di ben altro segno era il progetto di padre Pio. Come sottolinea Luzzatto, tradizionalemente i santi guaritori si affermavano in opposizione alla scienza medica, anche se poi fu la medicina di orientamento cattolico che si assunse il compito di “certificare”, di giustificare scientificamente il miracolo avvenuto. Scrive Luzzatto: “Con la Casa Sollievo della Sofferenza, padre Pio si assunse la responsabilità di percorrere un cammino inverso: non dalla scienza verso il miracolo, ma dal miracolo verso la scienza”.
Il rapporto stretto che c’era tra la Casa Sollievo della Sofferenza e la figura di padre Pio era stato sottolineato da Ernesto De Martino in un articolo del 1960 apparso su L’Espresso-Mese.
Quella notazione va ricordata: “la “Casa Sollievo della Sofferenza” nacque ubbidendo alle esigenze della tecnica ospedaliera e della scienza medica più avanzate, ma, al tempo stesso, attraverso il nome e il prestigio di Padre Pio continuò idealmente a partecipare a un ordine radicalmente diverso, cioè alla valutazione soprannaturale delle stimmate, alla virtù delle bende intrise di sangue miracoloso, ad una pratica della confessione auricolare che rischiava di ridurre il sacramento cattolico al rapporto magico con un guaritore”.
De Martino vedeva insomma in tutto ciò un segno delle contraddizioni in cui si impaniava l’azione della Chiesa che cercava di risolvere in et-et gli aut-aut che le imponeva l’avanzata della modernità. Un’osservazione che all’altezza degli anni sessanta era plausibile e condivisibile. De Martino non poteva conoscere l’incredibile accelerazione che, per volontà di Papa Wojtyla, la Chiesa avrebbe impresso al processo di legittimazione di padre Pio, al di là di ogni preoccupazione che poteva generare una figura che si presentava o era presentato come “alter Christus”. A questo punto l’alternativa non è quella indicata da De Martino. Bensì quella, più domestica, tra il modello Gemelli e quello offerto dalla Casa Sollievo della Sofferenza. Domandarsi perchè la Chiesa ha scelto quest’ultima via, significa dare una risposta anche alla ragione della diversa valutazione che la figura di padre Pio ha trovato non solo all’interno del mondo cattolico ma anche tra i suoi massimi rappresentanti. Basti pensare alla radicale opposizione che egli incontrò nella persona di Papa Giovanni XXIII e al forte sostegno che invece ebbe non solo in Papa Pacelli ma anche in PaoloVI (il fratello di Papa Montini ebbe un ruolo decisivo nel finanziamento della Casa Sollievo della Sofferenza).
Nessuno meglio del Papa polacco poteva sapere quali enormi spazi di evangelizzazione si aprivano con il crollo del comunismo. La fine del marxismo se seppelliva il mito della rivoluzione sociale, non cancellava il bisogno di speranza, che è inestirpabile dal cuore degli uomini. Figure come quelle di padre Pio offrivano, per il controllo di questo sentimento, strumenti ben più potenti di quanto non siano le corte armi di una ratio sia pure ancilla della fides.
Proprio mentre i progressi della scienza sembrano violare gli arcana imperii della vita, l’ombra di padre Pio che giganteggia sulla Casa Sollievo della Sofferenza, sembra ricordare alla scienza che essa non maneggia solo materia e che alla base della vita c’è un “mistero” che è a essa inaccessibile.
(2014)
Vorrei conoscere meglio la vita e la storia di Sergio Luzzatto io sono Paolo Matucci di Roma laureato in sociologia presso l’Università degli studi di Roma la Sapienza.