di Antonio Prete

Tra gli anfratti degli scogli il fiore del cardo sbandiera il suo ocra. L’acqua si addormenta sulla striscia di sabbia.
Dinanzi al muro della masseria l’eucalipto, e i cavalli nell’ombra.
La spada del Gigante, la notte, accende gli occhi dei cani, li popola di figure in fuga tra gli alberi. Il grido della civetta serpeggia nel buio volo : è un fulmine nero che si spegne sulla strada.
L’ ulivo s’infoglia di pensieri, spalancato nel vento. Gli anni, ai suoi piedi : spolverio di zolle.
Gallerie di luminarie, arabeschi su frontali di luce, la musica dei clarinetti nell’aria della sera e l’odore di caramello bruciato, di mandorle tostate. Fazzoletti neri che incorniciano occhi profondi. Lampi delle passanti.
La pietra gialla, il suo ricamo: efflorescenza di cariatidi, di sirene. Nella controra l’ombra è giardino, la luce percuote le facciate, le infiora di statue, di grappoli, di uccelli.
Agavi squarciate, il fiore alto, morente, si bevono fino a sera tutta la luce. Bambini corrono nel sole, si inseguono entrando e uscendo dall’ombra.
Non c’è ritorno. Ogni lettera dell’alfabeto è un solco vuoto nel cielo del ritorno.