Come risulta evidente nell’opera “Dominus Mundi”, composta da un albero, rappresentato come una figura antropomorfa capovolta con la testa infossata nella terra, da cui si dipartono le proprie radici. Si tratta di un riferimento che trae le sue origini già nell’antica Grecia in Aristotele e in Platone, nel Timéo, anche se il trattato “Sulle piante”, incluso nel corpus aristotelico, è oggi sempre più attribuito al filosofo Nicola di Damasco, del I secolo a.C. Secondo questa fonte, che ha ispirato anche altri scrittori, come Luciana Repici (“Uomini Capovolti. Le piante nel pensiero dei Greci”), le radici sono nelle piante l’equivalente della bocca del mondo animale, in quanto assumono il nutrimento dalla terra. Claudio Rizzo riferisce di essersi ispirato anche al libro “Verde brillante” del botanico Stefano Mancuso (direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale). In particolare la teoria che attribuisce agli alberi almeno quindici sensi, ha fornito allo scultore lo spunto per rappresentare l’importanza delle piante e la loro collocazione nel pianeta Terra. A tal proposito egli ama citare un estratto significativo del libro in questione: “…Impera l’idea che l’uomo sia l’essere più importante che esista e che tutto ruoti intorno a lui: egli si è imposto sugli altri credendosi l’assoluto dominus della natura. Una visione affascinante e confortante… se solo le cose stessero in questo modo! (…) Invece… il regno vegetale rappresenta, da solo, oltre il 99,5 % della biomassa del pianeta, come dire, stimando 100 tutto ciò che è vivo sulla terra, una quota che varia, a seconda delle stime, fra il 99,5 e il 99,9 % è costituito da piante. Rovesciando la prospettiva diciamo che di tutto ciò che ha vita, gli animali -esseri umani compresi- rappresentano soltanto delle tracce! …” (da “Verde brillante” S. Mancuso -A. Viola). Un altro riferimento di natura figurativa viene all’artista dall’analisi dell’Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci, in cui l’uomo viene posto al centro dell’Universo ed in quanto simbolo di perfezione è capace di stabilire un legame tra dimensione divina e dimensione terrena. Superando la visione antropocentrica umanistico-rinascimentale Claudio Rizzo con la sua “Dominus Mundi” intende piuttosto mettere al centro la natura ed il mondo vegetale.
Il tema delle piante e degli alberi ricorre ancora nell’opera “Mirra e Adone”, dove l’artista rivisita il mito raccontato nelle “Metamorfosi” di Ovidio che rappresenta un erudito pretesto per inneggiare, con Charles Baudelaire, alla bellezza e riflettere al contempo sulle sue origini. Lacrime aromatiche stillano dai rami cadenti dell’albero in cui fu trasformata dagli dei Mirra, mentre incastonato nel suo grembo Adone, destinato a divenire il simbolo della bellezza, attende di venire alla luce. L’impostazione geniale della composizione sembra trovare compimento nel capo chino della giovane ragazza, indice della rassegnazione all’ineluttabilità del destino, in questo caso tragico epilogo della soddisfazione dell’insana passione della donna verso il padre Cinira, sovrano di Cipro. Ed appare singolare il fatto che da un evento oggettivamente negativo in quanto contronatura, possa alla fine originare un evento positivo come la bellezza, personificata nella figura di un incolpevole e inconsapevole Adone.
E sempre all’albero Claudio Rizzo dedica un’altra opera dal titolo “Parola all’albero”, citando in questo caso Francis Ponge – “Il partito preso delle cose:”“Quando in primavera stanchi di costringersi e non facendola più, lasciano sfuggire un flusso, un vomito di verde, e credono di intonare un cantico variato, di uscire da sé, di estendersi a tutta la natura, di abbracciarla, emettono ancora in migliaia di copie, la stessa nota, la stessa parola, la stessa foglia. Non si esce dall’albero con mezzi di albero.” In quest’opera così realistica l’artista riesce persino a rendere modesto il virtuosismo, mai ostentato, pur nella complessità di un lavoro elaborato, dove egli supera la tristezza pessimistica per esprimere, finalmente, l’esplosione vigorosa della vitalità della natura. L’albero allora ci parla con i mezzi che gli sono congeniali, con le foglie che infoltiscono la chioma e con i brindilli che si protendono nell’aria in direzioni le più varie e imprevedibili.
Un’altra linea tematica battuta da Claudio Rizzo è quella degli agglomerati urbani, spesso presenti nelle sue opere in pietra calcarea. A tal proposito dice l’artista: “Gli agglomerati rappresentano l’Umanità intera sia in senso antropologico che culturale. C’è poi un altro aspetto che è prettamente personale: l’idea creativa pura finisce nel pensiero dell’idea stessa. La realizzazione tecnica sarebbe
di una noia mortale se non ci fosse un atto creativo anche nel processo realizzativo ed io sono intrigato nell’essere, man mano, l’architetto, il muratore e il primo visitatore di un mondo inventato”.
Il tema della città in senso lato affonda le sue radici nel mito, quello dell’organizzazione sociale perfetta, celata dietro l’isola potente e leggendaria denominata Atlantide raccontata nel IV secolo a.C. da Platone nei dialoghi Timeo e Crizia, mito che ricorre nei secoli soprattutto in epoca rinascimentale, quando Thomas More pubblica nel 1516 la sua “Utopia”, anticipata per molti versi tre anni prima dal “Principe” di Machiavelli, tutte in definitiva descrizioni utopiche delle città viste come modelli perfetti di organizzazione sociale. Nel 1602 è poi il frate domenicano Tommaso Campanella a scrivere la “Città del Sole” sotto la forma dialogica platonica. Ma il riferimento cui si rifà Claudio Rizzo è inequivocabilmente Italo Calvino con “Le città invisibili” (1972), come traspare dal titolo “Ottavia” e dalla citazione con la quale l’artista accompagna la sua opera: “…Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti di Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge” (Italo Calvino). E in effetti la città di Claudio Rizzo appare sospesa e appesa, in senso antigravitazionale, ad una sorta di reticolo arboreo e le sue case non guardano verso il cielo bensì verso la terra.
In “Metropoli sul mare” l’agglomerato urbano colonizza la luna d’Oriente sognante e sospesa sul mare, prima di dover, in “Vànitas”, affondare per contro nella nuda terra ad opera di un piede femminile che inesorabilmente lo schiaccia sotto il metaforico peso della Vanitas vanitatum, frase che compare nel Qoelet o Ecclesiaste, testo della Bibbia Ebraica (Tanakh) e Cristiana:
“…. vanità delle vanità, tutto è vanità … Ho visto tutte le opere che si fanno sotto al sole, ed ecco: tutto è vanità e correre dietro il vento”.
Ancora la caducità della vita, anzi un riferimento esplicito alla morte capace di generare riflessioni sul suo significato, emerge nell’opera “I would prefer not to”, in cui la citazione colta e fonte d’ispirazione di Claudio Rizzo è “Bartleby lo scrivano” (1853) di Herman Melville: “(…) Bartleby era stato un impiegato subalterno nell’ufficio delle lettere smarrite (…) Lettere smarrite, lettere morte! Non suona come uomini morti? (…) Qualche volta dal foglio piegato il pallido impiegato estrae un anello – il dito al quale era destinato, forse, imputridisce nella tomba; una banconota inviata in un moto di pronta carità … e colui che ne avrebbe tratto sollievo non mangia più e non soffre più la fame; parole di perdono per coloro che morirono nello sconforto; di speranza per coloro che morirono disperati; buone nuove per coloro che morirono soffocati da sventure inconsolabili. Apportatrici di vita, queste lettere rovinarono verso la morte. O Bartleby! O umanità!”
Le scritture sacre vengono riproposte dall’artista con l’opera omonima tratta dal noto brano evangelico di Giovanni 1,1-6
“ In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. (…)”. Ironica ma non blasfema, per non dire geniale, la rappresentazione di un colapasta capace di filtrare le lettere dell’alfabeto ed il liquido di “cottura” piove sulla città alimentando la conoscenza e la saggezza degli abitanti.
La tematica mistica viene ripresa anche nella scultura che raffigura un derviscio con la città scolpita nella veste, che danza sul mondo mentre l’agglomerato urbano sembra non avere né inizio né fine, nella dimensione circolare e non più lineare del movimento roteante della veste, assumendo un significato interculturale, universale se non cosmico, capace di trascinare tutti i popoli sotto la luce comune della trascendenza e della spiritualità.
La suddivisione in linee tematiche non vuole essere riduttiva nei confronti di una produzione artistica vasta e variegata, dove sussistono ovviamente altri temi anche isolati, dal momento che non è certamente scopo dell’artista quello di costruire dei filoni d’indagine. È piuttosto la citazione colta, di natura storico-letteraria e filosofica l’elemento cardine capace di guidare l’ispirazione e la mano dell’artista.
La luce mistica accompagna anche la “Nave di Noè” che trasporta le case più che gli esseri viventi, scultura che rappresenta il trait d’union tra gli agglomerati urbani e la tematica del viaggio, che è presente invece
nella “ Nave di Ulisse ”, la “ Nave di Teseo ”, la “ Nave di Caronte ”, dove riemergono personaggi della mitologia greca e romana.
La “Nave di Ulisse”, per contro, rappresenta il trait d’union tra tema del viaggio e quello delle piante. Geniale è infatti l’idea dell’albero costruito a forma di imbarcazione con il ramo centrale che si erge verticale a rappresentare appunto l’albero della nave, il pennone, dove si erge il marinaio di vedetta a scrutare la nuova terra all’orizzonte. Puntuale la citazione di accompagnamento da parte dell’artista:
“… io nulla di più dolce di quella terra potrò mai vedere…” (Omero, Odissea, IX 27-28)
Imbarcazioni che cavalcano onde di pietra maestose e potenti che le trascinano verso una meta segnata dal destino e dagli dei, mentre gli uomini, se pur mitici eroi, appaiono come spettatori secondari di uno scenario già configurato. Non c’è dubbio che la mitologia affascina non poco l’artista e questo contribuisce a renderlo un “cantore dell’assenza”, dove con questo termine si
intende la rivisitazione dei modelli del passato siano essi appartenenti all’ambito delle arti figurative, alla letteratura, alla storia, alla filosofia, atteggiamento che dal punto di vista critico o estetico non è da considerarsi un elemento negativo ma semplicemente una scelta che nel proprio lavoro ogni artista decide di privilegiare. Anche De Chirico del resto era un grande visitatore dei miti della storia e della mitologia, così Claudio Rizzo visita Calvino, il quale, a sua volta, ha visitato Tommaso Campanella, il quale ancora ha visitato Tommaso Moro, e tutti hanno magari visitato Platone o Aristotele. Ma a volte l’artista si stacca dal mito e si immerge nel territorio della “presenza”, ed è così che lo scrivente lo ha conosciuto per la prima volta con il trittico dei “Pensieri”, rimanendone favorevolmente impressionato per la modernità della realizzazione e per l’attualità del messaggio, anche se ad un esame superficiale si potrebbe pensare all’ennesima rivisitazione o a un “d’après”, un omaggio riferibile in questo caso alla serie di portrait realizzata da Cèsar a cavallo degli anni sessanta-settanta nell’ambito del nouveau-réalisme. L’artista vi esplora le possibilità dei mezzi di comunicazione moderni, nel passaggio della tecnologia da meccanica ad elettronica e da elettronica analogica a quella digitale, in rapida trasformazione e come essi risultino capaci di condizionare persino i cambiamenti comportamentali nello stesso artefice della trasformazione, ossia l’uomo. Cambiamenti già preannunciati del resto da Marshall McLuhan con la celebre frase “Il medium è il messaggio”, che Claudio Rizzo assume in modo avveniristico rappresentando quelli che sono addirittura i cambiamenti fisici nel volto umano estemporanei rispetto alla variazione dei contenuti e delle modalità di comunicazione degli stessi.
NOTE BIOGRAFICHE
CLAUDIO RIZZO – S. Pietro in Lama (Le), 1956
Vive e lavora a Lecce
MOSTRE PERSONALI
2017 – Sculture – Chiesa della Madonna dei Fiori – S. Pietro in Lama (LE)
2017 – Sculture – Chiesa di San Vito – Surbo (LE)
2018 – Personale di Scultura – Fondazione Palmieri – Lecce
2020 – L’ altrove – Personale di scultura – Chiesa della Nova – Lecce
2022- Ombre emerse – Personale di Scultura – Fondazione Palmieri – Lecce
MOSTRE COLLETTIVE
2018 – Art’oiu – Allestimento diffuso – Cannole (LE)
2018 – Premio Internazionale “Michelangelo Buonarroti”, Villa Bertelli – Forte dei Marmi (LU)
2018 – Babele oggi – Palazzo Vernazza – Lecce
2019 – In… stabili – Palazzo Ducale – S. Cesario di Lecce
2019 – Immagini nel sacro – Chiostro del Museo Diocesano – Lecce
2019 – Premio Germinazioni, Concorso internazionale di scultura – Galleria Germinazioni – Lecce
2021 – B.I.Arte.N4-Biennale internazionale d’Arte dei Castelli Romani – Castello Ruspoli – Nemi, (Roma)
2021 – BIBART – Biennale internazionale d’Arte di Bari e area metropolitana – Bari
2021 – Libro D’ artista – Circuiti Dinamici - Milano
2021 – Festival dell’Immagine – Palazzo Ducale – Martina Franca (Ta)
2021 – I Mille Paradisi – Chiesa della Nova – Lecce
2022 – Innesto d’Arte – Associazione “Ritorno alla terra” – Arnesano (Le)
2022 – Festival dell’Immagine – Palazzo Ducale – Martina Franca (Ta)
2022 – Art Shopping LIVE – Galleria Germinazioni – Otranto (Le)
2022 – Premio Germinazioni – Galleria Germinazioni – Otranto (Le)