Memorie di Galatina. Mezzosecolo di storia meridionalistica e d’Italia 3. Vito Vallone e la transizione al fascismo

1. Nazionale e non nazionalista

Con suffragio quasi plebiscitario dal 1920 è sindaco di Galatina il dott. Vito Vallone, a capo di un’amministrazione popolare che dura in carica fino all’estate del 1923, allorché il Sindaco rassegna le dimissioni al Prefetto della Provincia. Ne viene data comunicazione alla cittadinanza con un pubblico manifesto firmato dal Sindaco dimissionario. In esso si legge: “[…] E mossi appunto da questo interesse cittadino ed ancor più dal supremo interesse della Patria che in questo momento ha bisogno della concordia, della pace e del lavoro fecondo dei suoi figli, per poter assurgere a quella grandezza cui la sospinge con spirito di abnegazione e di sacrificio l’Uomo che per fortuna ne ha in mano i destini, vi esortiamo tutti a cooperare ed a seguire con lealtà di propositi le direttive dell’attuale Governo Fascista […]”.

L’ultima amministrazione prefascista cessa per dimissione dal suo ruolo tre anni prima che sia abolita l’elettività delle amministrazioni comunali (1926) e quattro anni prima che vengano istituiti i podestà nei medi e grandi comuni (1927). Chi poi guardi anche ai dettagli crittografici del manifesto, per esempio all’uso della maiuscola (Uomo, Governo Fascista), potrebbe davvero rinvenirvi le radici del fascismo galatinese, anche se l’aggettivo “attuale”, nell’ultima parte del brano citato, dica una forma di reticenza, provvisorietà ed interlocutorietà, e sia un ingorgo di sottintesi per chi sappia leggere con intelligenza. Ad ogni modo la critica storica ci ammonisce che il fascismo è stato una forza idonea ad assecondare la logica particolare di chi lo ha usato. Nasce di qui il problema di capire il ruolo che hanno avuto l’opera e la persona di Vito Vallone in quegli anni a Galatina.

Chi legga i suoi discorsi pronunciati in occasione di pubbliche cerimonie, come il saluto ai coscritti in partenza per la guerra 1915-1918 o quello del 4 novembre del 1921 per la festa del Fante e la glorificazione del Milite Ignoto, ha dinanzi un lessico che sembra indulgere ad un processo di enucleazione e di formazione del nazionalismo che si condensa e precipita nei suoi termini ideali (martirologio, olocausto, martiri, grande potenza, il genio ed il braccio, osare, eroe, leggendario ecc.), ma questa interpretazione non sarebbe affatto conforme alla storia. Non dobbiamo dimenticare che, per il modo stesso in cui è stata conquistata l’unità nazionale, la coscienza democratica è stata maggiormente diffusa nella società civile, nella piccola e media borghesia e negli strati urbani dei centri popolari, che non nella classe dirigente o politica in buona parte attestata su posizioni di rigida conservazione sociale e di chiusa fedeltà ad una monarchia, la cui conciliazione con gli interessi popolari non è mai apparsa risolta in Italia né in linea di fatto né in linea di diritto. Si aggiunga inoltre che anche nella sua prima fase di incubazione, il nazionalismo è già una rivolta antidemocratica contro la sconfitta coloniale subita dallo borghesia italiana nell’epoca crispina.

Vito Vallone è nato nel 1856 e non è stato nazionalista, se nazionalismo in Italia ha significato disprezzo, resistenza ed avversione nei confronti di quella riscossa democratica che in un certo senso si è sviluppata in Italia dal 1896 al 1898 ed ha trionfato dal 1898 al 1900, destando nell’uomo lo spirito democratico e popolare. In Vito Vallone è stata sempre viva la coscienza critica del problema dell’emigrazione (emigrano in America pochi nuclei di galatinesi: i Duma, i De Giorgi, i Masciullo, i Serra, ecc., proprio durante il suo sindacato nel primo decennio del secolo), e la consapevolezza dei limiti e delle contraddizioni del sistema politico e produttivo italiano.

Il nazionalismo non è stato altro che una versione italiana del prussiano culto dello Stato, cioè uno stato deificato come ente assoluto di fronte al quale i diritti individuali non contano nulla e perciò ha stimolato e teorizzato la creazione di uno spirito guerriero nelle giovani generazioni italiane. Il nazionalismo inoltre ha sostenuto l’autarchia economica, da raggiungersi mediante elevate tariffe doganali, come mezzo indispensabile per preparare la guerra. Tuttavia il fatto che la popolarità di Vito Vallone a Galatina, già grande, sia divenuta poi veramente eccezionale proprio durante la prima guerra mondiale, non significa che egli sia stato un nazionalista. Egli invece ha espresso un carattere nazionale il quale è tale quando è contemporaneo ad un determinato livello mondiale ed europeo di cultura e quando ha raggiunto questo livello. In quel particolare momento storico come uomo pubblico Vito Vallone ha espresso un carattere nazionale perché al di là delle virtù e capacità personali, ha saputo dar prova di un autentico spirito di abnegazione, promuovendo ed animando l’organizzazione di comitati di assistenza a favore del popolo e delle famiglie meno abbienti, incrementando la lavorazione degli indumenti di lana a favore dei soldati concittadini in trincea, istituendo il ricreatorio scolastico, la scuola estiva e l’asilo infantile per i figli dei richiamati e dei cittadini bisognosi e vigilando con zelo sulle requisizioni generali e sulla confezione del pane di Stato. Perciò il carattere nazionale di Vito Vallone va cercato nel fatto che egli, democratico e repubblicano, magna pars del blocco popolare insieme col fratello Antonio e con l’avv. Carlo Mauro, sa che il collegamento delle diverse classi rurali, che a Galatina è realizzato in un blocco reazionario, attraverso i diversi ceti intellettuali e borghesi legittimisti e clericali, può essere dissolto, per addivenire ad una nuova formazione liberale-nazionale, soltanto se si fa forza in due direzioni: sui contadini di base e sui ceti formatisi negli studi medi e inferiori.

Nei suoi discorsi non sono chiamati in causa elementi superficiali del patriottismo tradizionale, ovvero lo sciovinismo frenetico che in Italia si è accompagnato da una parte ad una popolaresca xenofobia, e dall’altra si è collegata all’enfasi delle glorie romane e delle repubbliche marinare e delle fioriture individuali di artisti e di letterati e di scienziati di fama mondiale. La verità è che la società civile in Italia è rimasta qualcosa di informe e caotico e lo Stato ha potuto dominarla in quanto ne ha potuto superare i conflitti manifestatisi in forma sporadica, localistica e senza nesso e simultaneità nazionale.

Uomini illuminati come Vito Vallone si sono fatti carico del netto distacco tra la legalità formale, cioè lo Stato, e la realtà di fatto, cioè la società civile, e poiché società civile, e non Stato, tradizionalmente è stato considerato il Comune, nell’area municipale Vito Vallone ha inteso ridurre la distanza esistente tra i due ordinamenti. Si tenga conto che a Galatina né il clericalismo ha espresso la società civile, perché non è riuscito a darle un’organizzazione forte e formalmente composta, in quanto non è stato politicamente omogeneo ed ha avuto paura delle masse che in parte ha controllato, né la società civile ha potuto esprimere lo spirito retrivo del blocco conservatore il quale ha creduto che sola ricchezza sicura sia la proprietà fondiaria.

2. Scuola e fascistizzazione

In ogni momento della storia il tipo di cittadino fissato dal diritto pubblico è superiore alla media degli uomini viventi in una determinata comunità. Questo distacco si accentua nei momenti di crisi, sia perché si abbassa il livello di moralità e sia perché la mèta da raggiungere è posta più in alto in una nuova legge ed in una nuova moralità. Così è stato per Vito Vallone durante la prima guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra.

All’uomo non è sfuggito che lo Stato moderno sostituisce al blocco meccanico dei gruppi sociali una loro subordinazione all’egemonia attiva del gruppo dirigente e dominante e quindi abolisce alcune autonomie. In uno stato democratico però queste autonomie risorgono in altra forma come partiti, sindacati, associazioni di cultura. E’ insomma l’autonomia della prassi liberale nella vita del Comune. Perciò dal 1920 al 1923 Vito Vallone resta a capo dell’amministrazione cittadina, anche se sul piano nazionale la direzione dello Stato e l’apparato amministrativo subiscono i contraccolpi del movimento e del partito fascista. In quegli anni lo Stato non è neutrale, perché il principale sostegno di esso è il movimento fascista che nella guerriglia civile è in linea con lo Stato, non contro lo Stato. Quando ormai appare chiaro che il gruppo dominante diventa totalitario e si va verso l’accentramento legale di tutta la vita nazionale, e legalmente vengono abolite le nuove forme di autonomia ed incorporate nell’attività statale, Vito Vallone rassegna le dimissioni. E’ il tramonto ventennale della nostra libertà cittadina e – per usare alla rovescia un epigramma manzoniano, quello delle cappe che si inchinano ai farsetti – ha inizio il tempo di un altro epigramma, per il quale all’orbace s’inchina la lana di pecora. A questo punto però un fatto importante va registrato.

Il processo di fascistizzazione a Galatina, dopo il sindacato Vallone, ha inizio dalla scuola, ed in particolare dalla scuola elementare, e non a caso. Galatina, difatti, riflette la condizione di tutta l’Italia, di un paese che, dopo la guerra e la crisi del dopoguerra, è stato ferito e lacerato in tutti i suoi organi: le fabbriche, i campi, i cantieri, i laboratori, gli ospedali, le scuole, le pubbliche amministrazioni, tutti i tessuti e i sistemi, insomma, dell’organismo nazionale, che devono essere sanati e rinnovati con urgenza, se si vuole rinascere dal grave collasso. La scuola perciò è chiamata in causa.

A Galatina si costituisce tra gli insegnanti elementari un gruppo d’azione che in data 29 maggio 1924 indirizza un appello a tutte le categorie produttive della città, sollecitando elargizioni e contributi per fiancheggiare l’opera dello Stato e dotare la scuola di più idonei sussidi didattici e pedagogici. L’appello è firmato da C. Campa, Petronilla Duma, M. Montinari, P. De Marianis, Ada De Core e F. Liguori. Cassiere del gruppo è nominato Ippolito De Maria. Nella parte iniziale dell’appello i firmatari dichiarano il loro appoggio alla riforma Gentile che, nel momento in cui l’organismo scolastico ha bisogno di rinnovarsi mediante la immissione di energie nuove tratte dalle classi lavoratrici per sviluppare in ogni individuo la cultura generale ancora indifferenziata, sancisce il cambiamento di nome del Ministero da Istruzione pubblica in Educazione nazionale con l’intenzione di affermare che altro è istruzione, cioè momento informativo, ed altro educazione, cioè momento formativo, come coronamento del processo educativo secondo la pedagogia di Gentile. Il processo di fascistizzazione della scuola a Galatina da questo momento in poi non troverà più alcuna opposizione.  A questo punto emerge ben naturale il ruolo  di Vito Vallone dopo il 1923 in una comunità municipale prima in corso di fascistizzazione e dopo tutta fascistizzata.

Anche se la fisionomia del fascismo sia estremamente sfuggente, nella storia della cultura italiana si rinvengono alcuni elementi di continuità che passano dal prefascismo al postfascismo. Togliatti ha definito il fascismo un regime reazionario di massa, e la definizione continua ad essere la più precisa, purché si tenga conto della eterogeneità dei motivi culturali da cui ha tratto origine il mito del fascismo italiano come rivoluzione antimarxista, anticapitalista e antiliberale, caratteristiche che al suo interno il fascismo non è mai riuscito ad identificare ed a ricomporre in sintesi. Di qui sono nate certe forme di nicodemismo, vale a dire certe situazioni di ambiguità in cui sono venuti a trovarsi alcuni intellettuali che hanno voluto continuare a lavorare sotto il regime, in una convivenza allusiva, sfuggente e dissimulatrice. Un’altra parte della cultura, invece, ha attivamente promosso il fascismo perché vi ha visto una risposta alla crisi generale della cultura medesima tra la fine dell”800 e l’inizio del ‘900. La vera discriminante rispetto al fascismo, l’antitesi radicale tra fascismo e cultura resta per noi la schiera di coloro che se ne sono andati durante il ventennio, gli esuli in patria, i carcerati.

Vito Vallone non può essere annoverato in nessuna di queste categorie. Il fascismo però è stato qualcosa d’altro, cioè un fenomeno di regressione storica che da una parte ha assorbito la classe politica tradizionale, logorata dalla guerra e disgregata dalla crisi morale, e dall’altra ha impedito al movimento proletario e socialista di porsi e di presentare l’alternativa. E’ stato questo il viaggio incerto e laborioso e irto di difficoltà e di problemi di Vito Vallone nel tempo storico del fascismo. Di qui è nata la sua dissidenza fascista e la sua vita schiva ed appartata dal 1923 fino alla morte nel 1943, dedito soltanto alla sua professione di medico a favore del popolo. Il suo isolamento ha significato un valore morale, e dopo il 25 luglio 1943, il suo insegnamento ha contribuito a destare nella cultura progressista e moderna di Galatina il bisogno di ritrovare se stessa e di reidentificarsi pienamente nell’ethos civile e nel fervore laico della sua libertà.

[Mezzosecolo di politica e cultura meridionalistica e d’Italia, Mario Congedo Editore, Galatina 1998, pp. 27-30]

Questa voce è stata pubblicata in Memorie, Memorie di Galatina di Giuseppe Virgilio, Storia e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *