Memorabile il Convegno organizzato a Cavallino nel 2002 dal titolo “Uomini, piante e animali nella dimensione del sacro”, con il volume degli Atti, che costituisce uno strumento basilare per l’archeologia dei santuari, nel momento in cui si creava a Lecce, con la direzione di chi scrive, l’IBAM-Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali del Consiglio Nazionale delle Ricerche. L’immenso lavoro di ricerca di Jacopo, a cui si affiancavano più giovani collaboratori, come Claudia Minniti, e tanti allievi, insegnava che gli animali non sono soltanto “buoni da mangiare” ma anche “buoni per pensare”, come osservava il grande antropologo francese André Leroi Gourhan. E, scherzando, ricordavamo una citazione di Molière, nella commedia Amphytrion,:«Les bêtes ne sont pas si bêtes que l’on pense…». A Lecce, tra i tanti incarichi di ricerca, egli ha tenuto la direzione del MUSA-Museo Storico Archeologico di UniSalento, organizzando un’interessante mostra sui manufatti in osso e avorio e il suo Manuale di Archeozoologia, pubblicato da Laterza, ha preparato tantissimi allievi in tutta Italia a sostenere l’esame di questa materia.
Si è detto del ruolo di Jacopo nel rinnovamento degli studi nel nostro Paese: aveva contribuito a fondare l’AIAZ Associazione Italiana di Archeo-Zoologia e ne era stato Presidente, sviluppandone la dimensione scientifica e critica nei periodici Convegni. Ma la sua opera di studioso aveva, anzi ha, una dimensione internazionale, non fosse altro che per la sua presenza nelle più importanti Missioni di scavo in Grecia, Malta, Turchia, Siria, Tunisia e Marocco.
Quando a Hierapolis di Frigia in Turchia, nello scavo del Santuario di Plutone, avevo ritrovato strati con ossa di piccoli animali (uccelli?), mi ero ricordato della testimonianza di Strabone il quale raccontava degli uccelli che venivano lanciati all’interno della grotta in questo luogo di culto, dove le esalazioni di biossido di carbonio uccidevano per soffocamento le piccole creature; secondo gli antichi, per opera della divinità infera. Era il momento che Jacopo e Claudia venissero alla Missione e iniziò così un lavoro sul campo, che portò i nostri amici a ricostruire il sistema del sacrificio all’interno del santuario anatolico: accanto ai passeri erano sacrificati anche colombe e galline, in cova, come indica la presenza di contenuto midollare. Forse gli uccelli erano venduti ai fedeli in gabbiette all’ingresso del santuario e portate davanti alla grotta per dimostrare la potenza distruttiva di Plutone, sovrano degli Inferi. Ma erano sacrificati anche cani e serpenti, anch’essi legati al mondo sotterraneo. Poi Jacopo e gli altri archeozoologi tornarono in Italia; in vacanza nella sua amata isola d’Elba, si divertiva ad inviare su whatsapp, a noi rimasti nelle ristrettezze di una vita di Missione all’interno della Turchia, foto di tuffi in mari azzurrissimi, di pesci appena pescati e subito cotti sulla brace, provocando le nostre inevitabili e “contrariate” reazioni.
Di questi anni di vita in comune, anche nella quotidianità del vivere la ricerca, come solo l’archeologia sa offrire nel lavoro di cantiere, rimarrà sempre il ricordo, dopo la notizia triste di questa mattina. Ora dobbiamo evitare che la sua perdita significhi anche la fine, per l’Università del Salento, di un ruolo centrale negli studi di archeologia al quale l’opera di Jacopo De Grossi Mazzorin ha contribuito in modo significativo.
[Pubblicato col titolo La morte di Jacopo De Grossi Mazzorin, docente di Archeozoologia presso la nostra Università nel “Nuovo Quotidiano di Puglia” del 7 febbraio 2023]