La timidezza europea si riscontra nell’assenza di una politica comune di risposta agli USA: la Germania e, in misura minore, la Francia hanno inondato anch’esse il settore privato industriale di benefici monetari, stabilendo che la concorrenza è concorrenza fiscale e che va a vantaggio dei soli Paesi nei quali un forte intervento pubblico per le imprese private è possibile date le condizioni di bilancio. L’Italia è fuori da questa dinamica e rivendica la creazione di un fondo comune a tutela di tutte le imprese europee, senza distinzione di nazionalità. Il commissario belga Charles Michel ha recentemente dichiarato, in un’intervista a “Repubblica” di metà gennaio 2023, che occorre riprodurre la misura Sure (erogazione di sussidi di disoccupazione), ma senza riprodurre il Next Generation Europe e, dunque, per l’Italia, senza più poter contare sui fondi del PNRR. L’Europa è ancora ossessionata, dopo la breve parentesi degli stanziamenti eccezionali per far fronte alla crisi sanitaria, dal debito pubblico elevato di alcuni suoi membri (Italia fra questi). La revisione in corso del Patto di Stabilità e Crescita (PSC). Uno studio recente dell’Osservatorio dei Conti pubblici italiani (novembre 2022) ha fornito una ricostruzione di questo processo, rilevando, al tempo stesso, come la nuova procedura in essere introduca alcuni elementi di novità rispetto al PSC, con l’introduzione di regole differenziate per Paese e percorsi individualizzati di rientro dal debito. Vengono rafforzati i meccanismi sanzionatori. Nello scenario qui delineato, l’ostinazione europea contro le politiche fiscali espansive è miope e perdente. Si tratta di un retaggio del pensiero ordoliberale tedesco che, nella versione datane da Walter Euchen, stabiliva, negli anni Cinquanta, che solo l’inflazione è un problema e che la spesa pubblica contribuisce significativamente a generarla. E’ una teoria economica molto opinabile, dal momento che, come si sa da Keynes in poi, la spesa pubblica genera crescita e, soprattutto nel contesto della competizione con gli Stati Uniti, le politiche industriali sono fondamentali per invertire la tendenza del declino del tasso di crescita della produttività del lavoro nel continente. Le politiche fiscali espansive, soprattutto in un mercato di grandi dimensioni come quello europeo, migliorano la competitività internazionale dei Paesi dell’Unione perché – pur accrescendo le importazioni – possono essere associate a politiche industriali e, dunque, a incrementi di produttività che riducono i costi unitari di produzione, per l’operare di economie di scala.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 30 gennaio 2023]