Allegra e le 96 tesi (Atto III)

Felicita si limita a un profondo inchino e a un “buonasera” a bassissima voce come molto intimidita. Ha una borsa con dei libri che toglierà per consegnarli ad Allegra.

PIETRO. Lei ci onora, suor…Felicita. La fissa con grave incertezza.

Lei lo guarda senza rispondere e concentrata con Allegra.

CESARE. Buonasera, sorella. Lei viene ad aggiungere felicità alla nostra gioia e allegria.

Lei si toglie gli occhiali sollevando come inavvertitamente il velo.

ALLEGRA. Vi sareste accontentati solo dell’allegria e della gioia?

CESARE. Gli sembra di riconoscerla e si volge a Pietro. Pietro, ma… la sorella non è…?

FELICITA. Gelida. Sono.

CESARE.  Si guarda intorno. Ma che succede.

FELICITA. Minacciosa. Non mi volevate?

PIETRO.Felicita… Sorella…

CESARE. Basito. Balbettante. Felicita! Amica nostra, perché tu qui? Fatti abbracciare. Si avvicina per baciare e abbracciarla. Lei nel ritrarsi perde il velo che rimane a terra.

PIETRO. Alle altre due donne. E voi, voi da quando conoscete la nostra amica?

ALLEGRA. Vostra? Vostra amica? Era cosa vostra prima che si convertisse?

FELICITA. Fui. Di uno solo. Tiene la testa bassa come vergognosa.

PIETRO.  Di Alessandro… promessa…

ALLEGRA. Fidanzata di Alessandro? Promessa sposa? Ma che dite? È uno scherzo? Al cielo la sappiamo promessa.

PETRO. E come vi siete conosciute?

ALLEGRA. Nel nostro giro.

CESARE.  Giro?

ALLEGRA. Nel giro delle nostre 96… A Felicita. Ma… Felicita, tu conoscevi questi signori?

FELICITA. Truce. Signori. Due. Il terzo dov’è?

ALLEGRA. E non ci hai detto nulla quando ti abbiamo chiamata. Sapevi di questa casa?

FELICITA.  La sapevo… chiusa. Improvvisamente minacciosa e a testa alta. Dov’è il nuovo cliente?

CESARE. Scosso.  Sandrino non c’è. Non è stato invitato.

FELICITA. Inferocita a Cesare. Ai festini non vi segue? Si lancia verso la porta, ma è trattenuta da Allegra. Dove si nasconde il depravato? Lo chiamate voi o devo rompere porte e armadi?

ALLEGRA. Calma, calma. Perché mentire. È di là. Ti assicuro. Con me non ha mostrato nessun segno di depravazione. Non è stato il satiro che tu credi. Inibito piuttosto.

CESARE.  Felicita, cosa ti succede? Ti fai suora per colpa sua?

FELICITA. Guardandosi il vestito. Monaca!

PIETRO.  Volgendosi ad Allegra. Ma tu, Allegra, tu, sapevi di lei e di Alessandro?

ALLEGRA. Sapevo cosa. È nostra collega di lettere. Ci dà appoggio esterno.

CESARE. Appoggio alle tesi?

ALLEGRA. Alle tesi, a che altro? Per altro tipo di impegno non è disponibile. Ti basta?

FELICITA. Come per aggredire Cesare. Aveva l’esclusiva il tuo compare, ma da oggi non più. Contento?

PIETRO.  Tu Allegra… Scusa, ma che scherzo è questo?

FELICITA. A Pietro. È uno scherzo per farti piangere sul cadavere di un amico.

ALLEGRA. A Felicita. È di là con Gioiosa e lo vedrai venir fuori più morto che vivo.

FELICITA. Gli farò esalare l’ultimo respiro.

CESARE. Felicita, stai tranquilla. Sta facendo delle fotocopie con Gioiosa. Solo fotocopie. Fra sé. Speriamo.

PIETRO. Sandrino ti ama ancora. Ma chi immaginava…

FELICITA. Sempre furiosa. Tu ti immaginavi? Ai due uomini. Voi vi immaginavate che venissi qui per la sua benedizione prima di entrare in clausura? Dove si nasconde il santo renitente alle nozze?

ALLEGRA. Agli uomini. Ragazzi, non volevate una serata allegra?

FELICITA. E a quello gliela faccio girare tragica la serata! Tenta ancora di spingersi fuori ma è trattenuta sulla porta della sala da Allegra che cerca anche di baciarla perché si calmi. Nella manovra di divincolarsi Felicita perde la giacca. Alle occhiate stupefatte dei due uomini apre e lascia cadere la gonna apparendo in un abito bianco, un tubino elegantissimo. Quindi si butta sul divano coprendosi il viso ma mostrando generosamente le gambe.

PIETRO. Indicando Felicita a Cesare. Quella che doveva scovare a letto le spie.

CESARE. Verso il pubblico. Ecco caduta un’altra robusta identità. Anche Felicita nel giro che smantella secolari abitudini anche nel vestire. Povero Alessandro, abituato a distinguere dall’abito le donne devote ai mariti e quelle devote agli amici.

Musica con rullo di tamburi. Entrano dalla porta sul giardino Gioiosa e Alessandro. Lui prima si blocca guardando gli indumenti rimasti sul pavimento, poi si lancia in avanti e inciampando quasi sta per cadere. Urla.

ALESSANDRO. Puttana!

FELICITA. Infame! Si copre il viso.

Alessandro rimane inebetito al centro della sala. Gli altri, divisi ai quattro angoli, gli voltano le spalle come a prendere qualcosa (un giornale, un bicchiere) da un mobile. Ancora musica.

ALLEGRA. Corre quindi a proteggere Felicita che è scattata ad afferrare Alessandro. Calmati, ti spieghiamo. Non è successo niente.

ALESSANDRO. È successo che lei fa la puttana.

GIOIOSA. Si precipita su Alessandro. Attento alle parole. Lei è venuta a salvarti.

CESARE. Economia globale, incerta identità clericale.

ALESSANDRO. Come svegliato da un incubo. Incerta identità? Sfottete? Chiarissima professione!

GIOIOSA. Lo trattiene aiutata da Pietro. Comportati da uomo!

FELICITA. Ad Alessandro levandosi. Volevi farti la mia amica? Disgraziato. Negalo se hai coraggio. Approfitta che Alessandro è bloccato per strattonarlo e sferrargli dei pugni. La mia amica, la mia amica, volevi.

GIOIOSA. Volere, mi voleva.

ALESSANDRO. Sollevando alternativamente le ginocchia per difendersi da Felicita. Tu non venivi per il festino tre per tre?

ALLEGRA. Intervenendo. Che dici, stupidone. Noi siamo qui per svelarvi le nostre tesi.

ALESSANDRO. Ad Allegra. La tua l’hai già svelata a Pietro in camera da letto. Si prende da Allegra uno schiaffo.

PIETRO. Interviene furioso. Lei non mi ha svelato proprio niente. E gli dà uno spintone. Sei tu che hai immaginazioni volgari.

CESARE. Fai l’uomo, non l’elettrico! Ecco a non condurti sulla mia strada con le donne. E adesso lacrime.

GIOIOSA. A Cesare. Felicita non ti seguirebbe comunque sulla tua strada. E a questo qua, indica Alessandro, cosa gli fa pensare che Felicita si trovi sulla nostra, di strada?

ALESSANDRO. Non più bloccato. L’avete chiamata qui per l’iniziazione? Si prende un altro spintone da Gioiosa.

FELICITA. Scattando. Sì, per l’iniziazione! E se tu stavi ancora in camera di là a concludere con lei, indica Gioiosa, io mi sarei fatta iniziare da questo gentile tuo amico. Indica Cesare.

CESARE. L’avrei fatto solo se costretto con la violenza.

ALESSANDRO. A Cesare. Ma vai al diavolo!

GIOIOSA. Comunque lei veniva per incontrare i tuoi amici gentiluomini.

ALLEGRA. Da illuminare sulle nostre tesi.

GIOIOSA. Incontriamo anche i già illuminati, luci solitarie in verità.

ALLEGRA. Lei collabora con noi per diffondere la conoscenza delle tesi. E quindi si conduce sempre con uomini perbene che cercano compagnia di donne colte e attraenti.

ALESSANDRO. Che sappiano destreggiarsi tra sesso benedetto e sesso maledetto.

FELICITA. Come trattenesse le lacrime. E guardate chi ho davanti a me: un maledetto.

ALLEGRA. Puntando Alessandro. Tu non ti meriti che Felicita sia ancora una catecumena.

GIOIOSA. Per quanto io ne sappia lei non si è mai trovata a far sesso con altri. È più probabile che lei ti abbia atteso sulla tua strada.

ALESSANDRO. Rifiutando passaggi offerti da altri.

FELICITA. Rifiutare o no, sono stati sempre affari miei.

PIETRO. Giustissimo. Adesso basta. Calmiamoci tutti. Questi, indica Alessandro e Felicita, lasciamoli soli che se la risolvano nel loro stile. Finiamo di fotocopiare. E poi in cucina per preparare la cena!

CESARE. Desolato. Forse si cena.

GIOIOSA. Avvicinandosi improvvisamente alle spalle di Cesare. Non morirai di fame, caruccio. Tu su certi aspetti della nostra azione incendiaria sei ancora all’oscuro. Vieni. Se lo trascina via. Sì, all’oscuro. E quando riattizzeremo le fiamme, tu spegnerai il tuo risolino da cinico.

PIETRO. Uscendo e fissando ironicamente Cesare. Dioghenes ò künikos. Il canino Diogene.

Alessandro e Felicita rimangono soli. Seduti distanti si fulminano con lo sguardo.

ALESSANDRO. Ma tu dove hai conosciuto quelle là? A scuola tua, docenti di religione, suore laiche?

FELICITA. Colleghe. Ti sembrano mezze matte?

ALESSANDRO.  Soltanto?

FELICITA. Hai detto: soltanto. Anche disinvolte sessualmente, intendi?

ALESSANDRO. Allegre e gioiose. E in divise diverse.

FELICITA. Mostrandosi nello splendore del suo vestito. La mia divisa adesso deve sembrarti funebre.

ALESSANDRO. Tu ci sei appena entrata nel sistema itinerante? Ancora niente rischi?

FELICITA. Ancora non incontrati dei bruti come te, intendi?

ALESSANDRO. Allarghi l’orizzonte dell’avventura intellettuale?

FELICITA. Teologale.

ALESSANDRO. Su largo giro, vedo.

FELICITA. Nel giro grande delle 96 tesi.

ALESSANDRO. Sono 96 anche le congiurate?

FELICITA. 96 o 96 mila a te cosa importa?

ALESSANDRO. Non eri atea? A te cosa importa dei travagli della chiesa?

FELICITA. Mi è capitato di incontrare amici e amiche in quel mondo. Liberi pensatori.

ALESSANDRO.  Come queste due velate.

FELICITA. Queste in genere sono obbligate a proteggersi, a velarsi davanti agli uomini fissati sul sommo bene, ma suppongo che della fissazione tua se ne siano tranquillamente fregate.

ALESSANDRO. Dimmi se adesso ti trovi con un piede a scuola e con l’altro in convento.

FELICITA. Ah sì? Si leva e va a mettergli un piede sul ginocchio. Con espressione più rilassata. Mi volevi protetta in convento, vero? Adesso mi trovo con un piede sulla soglia di casa tua. Può interessare al mio caro amore?

ALESSANDRO. A me dispiace che tu sia amica di nevrotiche che, se ci avessero riflettuto meglio in concomitanza di scossoni emotivi, non si sarebbero precipitate in scelte pericolose per la propria e per l’altrui salute mentale.

FELICITA. Il travaglio del pensiero muove tra malattia e salute.

ALESSANDRO. Sono delle esaltate convinte di montare una questione planetaria. E ora hanno trascinato te in un gioco che comporta i travestimenti delle missionarie.

FELICITA. Improvvisamente mostrandosi sorniona. Non ti piace come sono vestita?

ALESSANDRO. E non combineranno niente, bella gioia, per tutta una serie di ragioni.

FELICITA. Beh, anche secondo me un po’ esagerano.

ALESSANDRO. Ragioni per le quali tu lascerai perdere l’idea di rimanere nel loro giro.

FELICITA. Ragioni, dici? Ritira il piede. Oh che finalmente la mia delizia mostra qualcosa che somiglia al pensiero!

Felicita giocherà a porsi dietro la sedia di Alessandro e a posargli le mani ora sulle spalle ora sulla testa. Lui tenterà ma senza convinzione di liberarsi.

ALESSANDRO. Ragione numero uno, cara stella. Gran parte dell’umanità crede in una rivelazione divina, ma, se messa alle strette, comprende che non c’è linguaggio razionale che possa spiegare cosa essa sia.

FELICITA. La cosiddetta rivelazione è passata sempre attraverso le parole. Non passa per atti magici. Basta decodificare le parole.

ALESSANDRO. Basterebbe. Ma non tutte le scritture sono considerate semplici documenti storici. Alcuni, i testamenti, i moniti, i consigli dei nostri padri, scritti o a voce, sono portatori di una tale emotività che questa se la ride di decodifica e di interpretazione.

FELICITA. Io credo nel primo comandamento che altro non è se non la promessa solenne dell’aiuto del padre per affrontare la brutalità della natura, per sopportare dolore e solitudine. E perciò non mi convince in certe menti immature il giustapporre voce oracolare e conoscenza.

ALESSANDRO. Non ti convince in certe menti. È un passo e non è un passo. Ragione numero due. Da leader religiosi a leader laici cosa cambierebbe? Nulla. Dico del piacere di farsi ascoltare. Uno può essere un artista, un genio che sommuove gli animi in teatro, in chiesa, in piazza. Tiene unita in un solo pensiero, in una sola commozione una umanità che per istinto corre sempre a trovarsi, a riunirsi, per condividere felicità, dolore, speranza. Ma, se uno spettacolo gradito rasserena una folla, è solo l’affollato rito che rassicura. È il vecchio buon padre pastore che mantiene concordi i numerosi figli. Certo, qualcuno dei consacrati vorrebbe uscire dall’ambiguità, da certe forme di istrionismo o quasi di stregoneria; purtroppo in un cenacolo è difficile modificare le idee che lo reggono quando esse vengono da una lunga tradizione. Spesso è anche destino che si tengano nascoste le buone idee per paura di perdere identità e potere.

FELICITA. Nessuna idea ha valore senza l’opera di aiuto e conforto ai fratelli. O tu mi credi nella setta di quei mistici svitati che sono lì ad attendere la devastazione totale ad opera dell’Anticristo e l’apparizione dello Spirito con la fine della storia?

ALESSANDRO. Cara luce, il linguaggio mistico non mi impressiona. Attendere l’apparizione dello Spirito non è altro che il bisogno negli umani di riconoscimento, di dignità che le democrazie liberali non sono in grado di soddisfare. E adesso ragione numero…

Si avvicina Cesare che, entrando non visto, ha ascoltato le ultime battute.

CESARE. A Felicita. E codesto individuo avrebbe delle ragioni per dissuaderti dal pronunciare i voti? Questo cane bastonato. Lui parla così appunto quand’è abbattuto. L’avessi sentito invece come si mostrava spumeggiante con le altre sorelle. Non ascoltarlo, Felicita. Ad Alessandro. Tu, ripeti quello che mi sono perso.

FELICITA. A Cesare. Ti sei perso un miracolo. Questo cane vuol ragionare.

CESARE. A Felicita. Sii prudente, Felicita, ad elargire tenerezze. Alessandro non ti merita, non ti merita.

ALESSANDRO. Continuando, ma sorridendo all’amico. Ragione numero tre. Qualcuno pensa di poter riformare una istituzione senza agitare la minaccia di abbandonarla come fece Lutero che si rivolse direttamente al popolo. A quel tempo però quel popolo era fermo nella fede. Oggi un cattolico che abbandona l’autorità dove va?

CESARE. Da nessuna parte. Nella depressione. Comunque fatemi capire. Li faranno pure sposare questi religiosi e religiose; ma dove si andrebbe mai se non verso uno sposalizio generale? Così una suora sposerà un rabbino, un mussulmano una mormona e così accoppiando.

FELICITA. Non vi sfugge qualche altro ragionamento?

ALESSANDRO. Non cambierà nulla di nulla nelle istituzioni religiose finché non si trova una sistemazione dignitosa per i solitari e gli infelici.

CESARE. Nei monasteri del divino amore e del sublime studio, nelle comunità del lavoro non salariato.

FELICITA. Bravissimi. In organizzazioni di libero scambio dell’amore, dello studio e del lavoro. Quindi prendendo il braccio di entrambi. Comunque, cari, non pensavo che bastasse una serata con libere donne per farvi uscire da uno stato di minorità!

CESARE. E a voi una serata con degli spiriti selvaggi, per sentirvi liberate definitivamente.

FELICITA. Ah sì? E allora delle mie amiche quale vi sembra che si sia mostrata più aperta ai miei satiri e quale più chiusa? Più aperta la Gioiosa, immagino.

CESARE. Da sognarsela.

FELICITA. L’Allegra vi spaventava con la sua rigida razionalità.

ALESSANDRO. Me no. Ero abituato alla rigidità di simili donne.

FELICITA. E a piegare sulle libertine modeste d’ingegno.

CESARE. Me, adesso, mi spaventa solo quella Gioiosa.

ALESSANDRO. La volta buona che per te una donna sarebbe l’amica e l’amante.

CESARE. Tutto sarebbe.

Durante questa scena si è sentito uno strombazzare forte di clacson, ma nessuno dei tre ci ha badato.

Si sente un suono di campanello. Voci di persone in movimento fuori scena.

VOCE di PIETRO. Ragazze, sono arrivate anche le bottiglie di vino francese. La festa comincia. Evviva!

VOCE di GIOIOSA. Ci voleva un vino da grande occasione.

VOCE di ALLEGRA. Senza esagerare, che poi si guida.

VOCE di PIETRO.  Ma sì, dormirete tutti qui, uomini e donne.

VOCE di ALLEGRA. Per continuare fino a letto la nostra missione.

VOCE di PIETRO. Viva gli uomini che si fanno perdonare dalle belle donne! Risate.

FELICITA. Ecco, hanno ordinato e fatto arrivare i rinfreschi anche per voi bricconcelli. Tu, Alessandro, sei perdonato della tua cattiveria verso una ragazza in procinto di essere vocata al cielo e sei pure festeggiato.

ALESSANDRO. Va bene, va bene. Voglio vedere se al posto mio Pietro avesse invitato un altro suo amico.

FELICITA. Sono questioni di fortuna. Non sarei stata così polemica con quello.

VOCE di GIOIOSA. Una bottiglia gliela faccio scolare a Cesare.

CESARE. Che ha ascoltato e si anima. E io resterò pazientemente sobrio.

FELICITA. Sovrana saggezza. Non sia mai che quella esageri col bere e poi ti chieda di prenderla in braccio e portarla a giacere nel lettino.

VOCE di ALLEGRA. Quel Cesare ti fa ancora una qualche resistenza.

VOCE di GIOIOSA. Ridendo forte. È solo resistenza a livello teologico.

CESARE. Scattando. Resistenza a lei? Che sarebbe a dire teologica?

FELICITA. Sarebbe. Ai due uomini dall’aria sbalordita. Ridono perché tu ti ostini a vedere una suora dove invece c’è soltanto una donna.

CESARE. Ma se è venuta vestita da donna!

FELICITA.  Di umiltà vestita.

Rumori, frastuono.

VOCE di PIETRO. Vini alsaziani. Teresa sapeva che mi piacevano i vini di Francia.

VOCE di ALLEGRA. Sapeva tutto di te la Teresa.

CESARE. Come svegliato da un tuono. Teresa?

FELICITA. Con le ombre della sera si presenta il fantasma del perduto amore.

CESARE. Dopo che il Pietruccio si è stropicciato alla grande con l’Allegra adesso ha la sfacciataggine di raccontarle di Teresa e di Parigi. È il riposo della sera.

FELICITA. O forse non vi ha raccontato tutto della terra di Francia.

ALESSANDRO. Mai tradimenti. Solo ragioni filosofiche. Il fantasma arrossirà e svanirà nell’aria al vedere il suo Pietro tra le braccia di femmina ubriaca.

FELICITA. Ad Alessandro. Impallidirai anche tu, caro, quando mi vedrai ballare senza veli sulla tavola.

ALESSANDRO. A Felicita riavvicinandosi a lei. Tu, sopra o sotto la tavola, ebra o cosciente, velata o coperta, sei vera. Non un fantasma. Posso baciarti, toccarti. Alle spalle di lei le accarezza il seno. Non riesco a convincermi che tu sei qui.

FELICITA. E per convincerti che sono vera devi infastidirmi in questo modo? Almeno aspetta che sia un po’ rapita.

CESARE. Sgarbato. Non ti merita.

Passi veloci. Risate. Musica.

VOCE di PIETRO. Va bene un Riesling del Reno?

VOCE di ALLEGRA. Riesling, perbacco. Viva Teresa!

VOCE di PIETRO. Mi sentite? Basta far chiasso. A voce alta. Teresa, questa bottiglia è da tenere un po’ in freezer? Mi senti Teresa? Mi senti?

VOCE di GIOIOSA. Ridendo forte. Teresa, lo senti il tuo caro amore?

VOCE di ALLEGRA. Pietro, non urlare. Calmati. Il vino era in borsa termica. Si può bere.

Tramestio e come una sedia che cade.

ALESSANDRO. Va a guardare attraverso la porta. Ride. Il fantasma non sente.

CESARE. Abbi pazienza. Sente anche da Parigi. È solo fuor di sé dalla gelosia.

FELICITA. Le ragazze sfottono.

CESARE. Sfottere chi?

FELICITA. Ma sì, le due femmine si contendono il maschio giocando a evocare il fantasma del gelido angelo d’oltralpe.

ALESSANDRO. A Cesare. Che sensualità si sprigiona da quelle due ragazze.

FELICITA. Avevate avuto già un primo assaggio, vero? E però vi immaginate se davvero una Teresa fosse qui, piombata da Parigi a sorprendere Pietro? Che scena… Pausa. Eppure un arrivo improvviso sarebbe un bel sorprendere.

CESARE. E se la meriterebbe davvero il Pietro una sorpresa così.

FELICITA. Guardando sorniona i due uomini. Magari la ragazza era già in Italia e lo sorvegliava.

CESARE. E magari santa Geneviève, patrona di Parigi mi lasciasse libero il campo anche con l’Allegra.

ALESSANDRO. All’amico. Fesso a mostrarti tentennante. Le perdi tutte e due!

FELICITA. A Cesare. O forse le hai già perse. In piedi, solenne, verso il pubblico voltando le spalle ai due. Oh signori, non valeva la pena montare tutta questa giostra per redimere un solo peccatore. Musica.

CESARE. Come sarebbe a dire montare una giostra? Un solo peccatore? Si accosta anche lui alla porta che però è stata chiusa. Teresa qui a riconciliarsi con Pietro? La festa solenne del perdono? E allora… guarda Felicita. Tu, Felicita. E le monache? Sono suore, quelle là…

ALESSANDRO. Ma come. A Felicita. Felicita, tu. Quelle là, le suore, sono religiose?

FELICITA. Quelle? Non avete già toccato con mano?

ALESSANDRO. Io non ho toccato nessuna delle due.

FELICITA. Non si sono fatte toccare da te. Di nuovo rivolta verso il pubblico. Bisognava comunque considerare anche in Pietro la possibilità di una autentica conversione. Serve sempre un aiuto religioso.

Cesare afferra una sedia, la batte forte per terra e si mette a cavalcioni addossandosi allo schienale.

ALESSANDRO. A Felicita. Bella questa. Pietro invita te e le teologhe per festeggiare il ritorno di Teresa.

FELICITA. Sempre verso il pubblico. Figure spirituali che inducessero anche questi due al ravvedimento.

CESARE. Abbandona di scatto la sedia. Sveglio, Alessandro! Sveglio! La guardi in faccia qualche volta la tua fidanzata? È da quando è arrivata che fa la scena e ci sfotte. Pietro e le sue consacrate ci hanno beffato, beffato! Alla grande. Alessandro ammutolisce guardando ora l’amico, ora Felicita che sempre rivolta al pubblico gesticola beffarda. Ce l’hanno fatta la festa con tanto di comparse. 96 tesi, novantasei schiaffi. Il Pietruccio, il figlio di un cane, il doppiogiochista. Tu, Felicita… brava, complimenti.La ricevo io questa Teresa. I due uomini stanno per avvicinarsi alla porta, ma lei corre a mettersi di traverso.

FELICITA. Aspettate. Non roviniamo a Pietro una così forte emozione. Anch’io conoscerò finalmente la parigina.

ALESSANDRO. Ma dov’è questa Teresa?

FELICITA. Non avete sentito strombazzare e rumore di macchina? Sarà giù in garage a scaricare i bagagli.

CESARE. Ma che pirla che siamo! Bloccandosi. Alessandro! E non stare lì paralizzato, perdio! Hai capito che festa ci ha preparato per l’arrivo di Teresa? Una festa allargata alla tua promessa sposa e a due amiche, con due pagliacci per l’allegria completa. Afferra ancora per la camicia un Alessandro imbambolato. Alessandro, sveglia!

ALESSANDRO. Mezzo tramortito. Beh sì. Una festa dolce e amara per me. La beffa atroce me la merito. Qualcosa però è andato un po’ oltre nel loro piano. Hai visto anche tu. Mi dispiace per Allegra. Pietro si è lasciato andare con lei.

FELICITA. Senza scomporsi. Solo lui? E voi? Col vostro comportamento non avete creato imbarazzo e forte disagio nelle suore oblate? A dire il vero non sarei stupita se esse si fossero lasciate andare un po’ oltre. Qualcosa non corrisponde mai alle intenzioni. Se poi Teresa avesse annunciato un ritardo del volo, del treno e che so io, e anch’io non fossi giunta all’orario concordato… Beh, conosco le debolezze di Allegra e Gioiosa; delle vostre inclinazioni al sommo bene non ne parliamo. Fissando Alessandro che mantiene una faccia da ebete. Sì, il piano per sorprendervi sarebbe stato, diciamo, piacevolmente sconvolto.

CESARE.È vero. Pietro ha effettivamente travalicato con Allegra.

FELICITA. Voi due no?

CESARE. Festante. Fanno impazzire quelle ragazze.

FELICITA. A Cesare. Tu persevera con Gioiosa. Falla bere. In vino veritas.

ALESSANDRO. Fanno confondere quelle due.

FELICITA. Ad Alessandro. Quanto a te non disperare. Io ti salverò.

Entra Gioiosa con una bottiglia di vino in mano.

GIOIOSA. Preparatevi ad accogliere l’ospite. A Cesare e ad Alessandro che lentamente le si avvicinano minacciosi. Ehi, ehi, che volete farmi!

CESARE. Io stringerti pazzamente tra le braccia. Lui non so.

FELICITA. Alle loro spalle trattenendoli. Niente, niente, Gioiosa. Gli serve solo qualche spiegazione. Il momento è solenne.

GIOIOSA. Su cosa? Senza starmi addosso non capiscono ugualmente?

Entra Pietro. Alessandro e Cesare vanno verso di lui più minacciosi ancora.

PIETRO. Ehi, ehi, cosa volete.

FELICITA. Sono scontenti. Non dovevi sorprenderli in questo modo.

PIETRO. Sorprenderli? Confesso che avevo avuto con Teresa una telefonata amichevole, ma vai a pensare a un suo ripensamento e all’idea di precipitarsi da me. Avevo bisogno degli amici per non essere sopraffatto dall’emozione, ma anche per una accoglienza festosa.

GIOIOSA Molto festosa già che prendevi gusto con Allegra. Negalo, se sei un uomo. Adesso ti toccherà spiegare a Teresa a cosa ti hanno persuaso le nostre 96 tesi in tema di rapporti tra uomini e donne.

PIETRO. Credo che avrò ancora bisogno dell’aiuto vostro e degli amici.

ALESSANDRO. Meglio che te la sbrighi da solo con Teresa. Bene. Dov’è?

GIOIOSA. Ci ha chiesto di potersi cambiar d’abito prima di presentarsi a voi.

ALESSANDRO. Raffinatezza da parigina.

CESARE. Almeno questa non si mostrerà vestita da suora.

PIETRO. Per una sorpresa non è escluso. Voi preparatevi ad accoglierla come si deve.

CESARE. Minaccioso. Come si deve a una suora itinerante. Te ti strozzeremo dopo.

ALESSANDRO. Parigi, città maliarda e i nefandi filosofi tedeschi!

PIETRO. Non lamentarti. Ti ho fatto riconciliare con Felicita.

CESARE. Con un grande inchino. I miei omaggi al più grande attore mai visto sulle scene e alle impareggiabili attrici.

GIOIOSA. Grazie se ti sembro impareggiabile. Ti sei sforzato.

PIETRO. A Cesare. Non lamentarti. Ti ho fatto conoscere due belle donne. Mi pare che sia Gioiosa quella che ti accorderà l’amicizia.

Gioiosa ha posato sulla tavola la bottiglia e ha portato dalla consolle su un vassoio sei bicchieri che depone bene in fila.

CESARE. Tra l’arrabbiato e l’ubriaco. Bella figlia dell’amore, Sono sei solo i calici tuoi.

GIOIOSA. Perché? Vuoi il settimo?  Tu conti per due?

Leggero e lontano rullo di tamburi. Cesare, ormai fuor di ragione, va a prelevare dalla consolle un altro bicchiere che aggiunge con gesto nervoso ai sei. Gioiosa prontamente lo riporta al suo posto. Scena ripetuta più volte.

GIOIOSA. Durante questo mimo. Oh no, my dear! Six glasses are enough. – S’il vous plait. – Six verres suffisent. – Non, mon cher! – C’est assez.

Cesare è paralizzato. Le frasi sono ripetute in italiano da Felicita.

FELICITA. Urlando a Cesare. E lascia che siano sei i bicchieri!

CESARE. Bloccandosi e balbettando. A Gioiosa. Allora… Lunga, lunghissima pausa… Sei… sei tu la Teresa?

Rullo di tamburi, luci che si spengono e riaccendono.

GIOIOSA. Tu cosa pensi? Avevi immaginato una Teresa astemia?

CESARE. Totalmente confuso. Tu? Chi sei tu?

GIOIOSA. Gioiosa rimango come sempre. Rispondimi a questo punto. Se il mio ritorno con Pietro risultasse tra qualche tempo un definitivo fallimento, potrei contare su di te? Mi riporteresti a Parigi? Non vivremmo bene insieme?

Cesare indietreggia come perdesse i sensi. Alessandro accorre a sostenerlo. Rullo di tamburi più forte. Nello stesso momento entra Allegra che si è cambiata indossando un abito smagliante. Lunga pausa.

ALLEGRA. A Cesare. Ne pas avoir peur, Cesar. Non aver paura. Vous ne perdez rien. Indicando Gioiosa. Elle n’est pas Teresa.

FELICITA. A Cesare in totale paralisi e dopo aver messo un braccio sulla spalla di Gioiosa. Non spaventarti. Non perdi niente. Non è lei Teresa.

GIOIOSA. A Cesare. Volevo solo metterti alla prova, caro. Non perdi niente. Non sono Teresa.

CESARE. Non so chi questa sera mi vuol far morire. Scatta ad abbracciarla furiosamente. Lei un po’ fa finta di schermirsi.

ALESSANDRO. Va lui a riprendere il bicchiere contestato. E allora lasciamolo in tavola quest’altro e aspettiamo ‘sta parigina per brindare!

PIETRO. Ad Alessandro. Mettilo discosto intanto. Brinderemo due volte. Prima al colpo di fulmine di Cesare e Gioiosa e poi al ritorno di Teresa.

Nel silenzio generale riempie i sei bicchieri e depone la bottiglia. Alessandro ha giocherellato con il settimo bicchiere che mantiene nella mano sinistra prima di prendere con la destra il suo, pieno. In silenzio alzano i calici con Cesare e Gioiosa che ritornano abbracciati.

Al felice incontro di Cesare e Gioiosa!

TUTTI. Evviva!

Pietro quindi va incontro ad Allegra, la prende per mano e insieme si portano davanti ai due amici. Quindi solenne. Ho l’onore di presentarvi mia moglie, Teresa.

Cesare quasi sviene sul seno di Gioiosa mentre Alessandro con i due bicchieri nelle mani è sorretto da Felicita. Di nuovo rullo di tamburi poi canzone. “Mi sento il re dell’amore quando mi bacia Teresa…” 

Ballo delle tre coppie. Tela. Poi.

CESARE. Ce l’avete fatta, disgraziati! Ma che attori! Figli di cagna randagia. Che recita! Neanche di suonare il clacson dell’auto vi siete dimenticati.

ALESSANDRO. Complimenti per le vostre 96 tesi. Riuscireste a far tremare davvero la cupola di San Pietro.

TERESA. Prende sottobraccio Gioia e Felicita. Rivolta al pubblico. Per pensare così in grande bisogna aver vissuto a Parigi, nella Ville Lumière, nella città delle luci.

CESARE. Ma… i teologi tedeschi… il libello con le tesi.

GIOIOSA. Quello esiste, ce l’ha passato una collega di religione. Lo leggerai tutto.

ALESSANDRO. E però ce l’avete combinata bella! Le suore, la rivoluzione.

TERESA. Solenne. Quella arriverà comunque. Vedo le nuvole nere.

FELICITA. Ad Alessandro ed indicando Teresa. Tu, sicuramente, prima del mio arrivo, avrai dato alla signora una impressione più che brutta. Adesso come puoi farti perdonare da lei?

ALESSANDRO. Volta lo sguardo e va ad afferrare di scatto il romanzo del Malamò. Questo lo leggo per tutte e tre voi donne. Apre a caso e fa finta di leggere. Zeus, il sommo dio del cielo, preso a compassione…

FELICITA. …a compassione per te. Lascia perdere. Gli strappa il libro e lo butta via.

GIOIOSA. A Cesare. Tu stammi a sentire. Questa sera hai dato una brutta impressione alla signora. Teresa è una mia vecchia compagna di liceo. Se vuoi rimediare, leggiti qualche libro di filosofia che poi ce lo spieghi alla prossima festa.

CESARE. Ti commento le 96 tesi, dalla prima all’ultima. Ma intanto, adesso, te, come devo veramente chiamarti?

GIOIOSA. Chiamami Gioia e indovini.

PIETRO. Amici, amiche, si prepari la tavola. Avevo provveduto. Era tutto nel frigo della cantina. Qualcosa è da scaldare.

TERESA. Una cena per tre belle coppie di amanti.

PIETRO. Via le beghe teologiche.

GIOIOSA. Via tutti i veli!

FELICITA. Come emozionata e stanchissima. Mangerò qualcosa di pronto perché non posso trattenermi a lungo. Domani mattina ho la correzione dei compiti della prova di italiano. Sono commissaria all’esame di stato a Pavia. Devo alzarmi presto. Alessandro ve lo consegno. Non sciupatelo.

PIETRO. Ad Alessandro. Ti sciuperà domani sera lei leggendoti la storia della Riforma luterana.

ALESSANDRO. Cinque tomi, cinque volumacci.

GIOIOSA. Guardando l’orologio. Una mezz’ora, dai, posso restare. Anch’io devo alzarmi presto domani. Sono commissaria di filosofia a Bergamo. Però, ecco. Già sto pensando a una cena a casa mia. E a qualcosa per sorprendere i nostri uomini. 

CESARE. Fammi trovare a tavola qualche canonico di quelli che ti hanno liberato dai veli.

GIOIOSA. Canonico. Studioso di Giordano Bruno. Sissignore.Intanto non ti basterà tutta la notte per riprenderti dalle legnate che ti abbiamo provveduto.

CESARE. Ero pietrificato. In verità.

GIOIOSA. Hai creduto per un attimo che fossi io la Teresa. Vero? Però tu a Parigi… con la ex del tuo amico… Briccone!

CESARE. Giusto con la ex di un fottutissimo amico.

PIETRO. Signori, chiedo perdono. Ho voluto presentarvi Teresa in modo originale.

TERESA. E vada per il modo originale. Lui voleva solo capire se i cari amici avrebbero avuto voglia di scoparsi sua moglie.

ALESSANDRO. Allargando le braccia. Quando una donna è bella e intelligente questo desiderio non è che a sua gloria.

TERESA. Ad Alessandro. Specie se indossa un abito che le dona. Vero, Alessandro? Mostrandosi. Vedi? Era questo che avremmo trovato nell’armadio.

ALESSANDRO. Meglio l’avessi indossato prima. Felicita afferra Alessandro per il collo strattonandolo.

GIOIOSA. Una sposa ama sempre confondere gli amici di suo marito.

PIETRO. E sarà normale che un uomo sposato voglia di tanto in tanto fare il galante con le donne degli amici. Ma adesso con un buon vino mettiamo in fuga tutti questi pensieri inverecondi. Tutti ubriachi!

CESARE. A noi il vino francese!

ALESSANDRO. A noi il vino del Reno!

FELICITA.Voglio vedere poi chi guida di voi due.

TERESA. Ma che guida e guida. Ubriachi fradici rimarranno qui con noi.

CESARE. Non sarebbe questa la notte giusta per i padroni di casa.

ALESSANDRO. Lungi la nostra intenzione di disturbare.

PIETRO. Ma che disturbo e disturbo. Vi chiudiamo tutti e due a ronfare nel grande armadio della camera degli sposi.

Tutti portano in agitazione sulla tavola piatti e stoviglie.

Ballo con la canzone: “Mi sento il re dell’amore, quando mi bacia Teresa… “.

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