di Francesco Frisullo – Paolo Vincenti
In occasione del giorno della memoria, ci è gradito ricordare una storia che unisce Lecce alla città di Assisi e alla comunità ebraica durante l’ultimo periodo delle persecuzioni naziste, prima della conclusione della Seconda Guerra Mondiale. Questo episodio rientra in quel genere che in passato veniva definito “aneddotica”, quello della storia minore, se non fosse che questi episodi vanno poi a comporre come tanti tasselli il grande mosaico della storia con la esse maiuscola. Protagonista del nostro intervento è la famiglia Viterbi, di origine ebraica, che singolarmente riuscì a salvarsi dallo sterminio proprio grazie a Lecce. La famiglia viveva ad Assisi ma poté scampare all’arresto perché attraverso una rete di appoggi locali i Viterbi si spacciarono per leccesi grazie a falsi documenti. Nelle carte contraffatte, essi erano registrati come “Vitelli”, residenti nel comune di Lecce, poiché la città all’epoca era già liberata dagli americani, ed era quindi impossibile verificare la validità dei documenti stessi, come viene riportato dal sito dello Yad Vashem:
I Viterbi furono una delle famiglie che riuscirono a vivere all’aperto a causa delle carte false preparate per loro dal Brizi. Nelle carte contraffatte risultavano iscritti come residenti nel comune di Lecce. Il falsario aveva scelto quel paese perché era già stato liberato dagli americani, impedendo così ogni possibilità di verificare la validità dei documenti. Nonostante la famiglia fosse arrivata in un luogo dove era assistita e protetta, e nonostante i documenti falsi in loro possesso, la paura di essere braccati e catturati non li ha mai abbandonati. Grazia Viterbi – o Graziella Vitelli come veniva chiamata nelle sue carte false – voleva assicurarsi che, se scoperti, passassero l’interrogatorio. Andava alla biblioteca di Assisi e prendeva appunti su Lecce per familiarizzarsi con il luogo, in modo che, nell’eventualità di incontrare per caso qualcuno di quella città, potesse parlare del luogo[1].
Approfondiamo la vicenda.