Ma è nell’ombra delle chiese scavate nel banco di roccia che si annidano le prime immagini di Vincenzo: a S. Cristina a Carpignano una nicchia reca la sua icona più antica, databile con precisione all’XI secolo, tra il 1020 e il 1054, grazie all’iscrizione dipinta al suo fianco. Qui egli è in una posizione privilegiata, accanto alla vergine Theotokos, madre di Dio, seduta con il Bambino sulle ginocchia, su un trono gemmato, come una imperatrice di Bisanzio.
In una chiesa rupestre di Faggiano nel tarantino, attribuibile alla fine del XIII secolo si manifesta un ciclo di affreschi di straordinaria finezza, esposti, dopo lo stacco, nella Pinacoteca di Bari. Accanto ai cavalieri S. Giorgio e S. Teodoro, Vincenzo, con una corta barba, un mantello bianco, regge il libro e il turibolo, attributo dei diaconi. Lo stile è riferito al periodo crociato, a quei pittori di Terrasanta che, dopo la caduta di Acri nel 1291, si trasferirono a Cipro e poi in Puglia, crogiolo di esperienze e sensibilità in cui dialogano caratteri stilistici bizantini e gotici. Sul mantello sono ricamati due uccelli, in riferimento al miracolo occorso quando il prefetto, che lo aveva condannato e torturato sino alla morte, ordinò che il corpo esanime del martire fosse gettato nella campagna in pasto agli animali, ma due corvi difesero le spoglie, mettendo in fuga addirittura un lupo.
Ora i recenti restauri della Cattedrale di Castro, costruita in forme romaniche nel 1171, hanno realizzato pulitura e consolidamento degli affreschi nella chiesa bizantina del IX-X secolo, accanto alla quale fu costruita la Cattedrale latina in forme romaniche. Un volume, a cura dell’architetto Fernando Russo, ottimamente illustrato, celebra gli 850 anni dalla costruzione della Cattedrale. Belle foto a colori illustrano gli affreschi bizantini durante e dopo il restauro: un ciclo pittorico importante, conservato in particolare nelle volte delle navate laterali, dove appaiono due teorie di santi. Difficile, in mancanza di iscrizioni, identificarli tutti: sono raffigurati a gruppi di tre, e al centro si riconoscono le figure dei santi anacoreti del deserto della Tebaide, vegliardi nudi, come gli asceti indiani sul Gange, con le lunghe barbe bianche. Per nostra fortuna si è conservata l’iscrizione accanto ad uno dei santi: aghios Bikentios, S. Vincenzo. Abbiamo dunque una sua nuova immagine; l’aspetto giovanile, caratterizzato da una corta barba, contrasta con gli incolti capelli del vegliardo che gli è accanto; tiene la croce nella mano destra; indossa un abito liturgico ricamato. Siamo probabilmente alla metà del Duecento, come si evince dal confronto con il ciclo pittorico straordinario presente nella chiesa rupestre di S. Maria della vicina Poggiardo. Fu Aldo Moro ad inaugurare, nella piazza del paese, il Museo degli affreschi che erano stati staccati dalla posizione originaria per salvarli dall’umidità: un altro tesoro del Salento scarsamente visitato e valorizzato. Ora che la chiesa bizantina di Castro è restaurata, appare urgente avviarne lo studio. Questo articolo vuole essere anche un invito rivolto a esperti della pittura medievale del Salento come Manuela De Giorgi e Raffaele Casciaro, ad impiantare a Castro un progetto di ricerca, che faccia emergere le straordinarie potenzialità di conoscenza della sua chiesa bizantina e del suo arredo pittorico.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 21 gennaio 2023]