Arte e poesia hanno lo sguardo verso il futuro

A meno che non si sia convinti che l’arte insegni ad intercettare la bellezza, che abbia ragione l’imperatore Adriano quando in quello splendore di romanzo scritto dalla Yourcenar dice: “Chi ama il bello finisce per trovarne ovunque, come un filone d’oro che scorre anche nella ganga più ignobile”.

A meno che non si pensi, dunque, che l’arte possa salvare la bellezza dell’umano.

Ma comunque non serve a niente l’arte, non serve la poesia. Perché non può fermare una guerra, per esempio. Non può impedire lo sgretolamento di questo pianeta. Non può eliminare la povertà nel mondo.

La poesia non serve a niente. A meno che non si pensi che possa cambiare la coscienza di tutti e di ciascuno. Che possa cambiare il pensiero, i progetti, le intenzioni. Che possa creare disagio,  mettere in crisi,  svegliare chi dorme,  o provocare insonnie,  scagliare domande,  sconquassare certezze,  creare confusione fra quello che sembra ordinato e quello che sembra in disordine,  mettere in dubbio l’indubitabile, sconvolgere le comuni opinioni, porre interrogazioni alle coscienze pretendendo le relative risposte. La poesia non serve a niente. A meno che non si pensi che serva a farci presente che esistono gli altri, altre storie, altre esperienze; che serva a proiettare ipotesi su come saremo domani o domani l’altro. A costringerci a togliere le maschere che indossiamo nel mettere in scena le tragedie e le commedie, a ridere delle sfortune, a piangere per le  fortune,  a rammaricarsi per le ricchezze, a non disperarsi per le miserie.

Arte e poesia non servono a niente. Se non a indagare i grovigli della Storia, a decifrare i destini di coloro che si ritrovano implicati nei grovigli. 

Arte e poesia non servono a niente. Eppure una ragione ci deve  essere se in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo gli uomini hanno avvertito il bisogno di servirsene, in qualche modo. Una ragione ci deve pur essere. 

Nel corso di una conferenza sugli esuli tenuta a Vienna nel dicembre del 1987, Josif Brodski disse che la letteratura “è un dizionario, un compendio di significati per questo o quel destino umano, per questa o quella esperienza. E’ un dizionario della lingua nella quale la vita parla all’uomo”.

Accade, a volte, che nei tempi di concitazione, di turbamento, ansia, crisi, confusione,  si avverta il bisogno di una riflessione sulle esperienze degli uomini, sui loro destini. Accade, a volte,  che si voglia cercare di capire quali siano i luoghi dell’esistere dai quali si proviene, quali siano quelli verso i quali si procede. E’ a quel punto, allora, che si fa urgente, prepotente, il bisogno di una riflessione sulle storie e sulle situazioni che si pongono come pietre miliari   lungo il percorso che ognuno deve fare. E’ a quel punto che l’arte che non serve, la poesia che non serve, si trasformano in territori in cui rintracciare i significati profondi, ineludibili, sostanziali dell’esistenza. Perché l’arte e la poesia prefigurano il futuro, profilano figure che si muovono lungo la linea dell’orizzonte, disegnano scenari possibili, probabili. Allora, si può anche accettare l’ipotesi che l’arte e la poesia non servano a niente, a condizione, però, che si dica quali sono le cose che possono servire nella bisaccia che ci si porta durante il cammino.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 15 gennaio 2023]

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