Tuttavia da questi racconti, assai diversi tra di loro ma tutti complessivamente di buon livello, viene fuori lo stesso un’immagine del Sud. Ed è l’immagine di una società che ha perduto i suoi connotati tradizionali, ha smarrito i suoi punti di riferimento ed è diventata sempre più crudele, disumana, volgare, afflitta da tanti problemi come la criminalità organizzata, l’immigrazione clandestina, i traffici illegali, ecc. Non a caso il tema della violenza, una violenza pervasiva, che può investire la vita di tutti, è quello che compare più frequentemente.
In Bei giorni domani, di Pascale, ad esempio, una sorta di racconto-confessione dallo stile teso ed essenziale, la violenza della società si riflette anche sul vissuto dei singoli individui, come accade al protagonista che uccide la moglie malata senza apparenti motivi, dopo che la camorra a sua volta gli aveva ammazzato il figlio per uno sgarro. E così avviene in Il soldato, di Calaciura, storia di un giovane militare che si innamora della moglie di un latitante e per questo viene punito con la morte. E ancora in Meglio dell’amore, di de Silva, uno dei racconti più riusciti, dove viene narrata la storia di un tenero legame affettivo tra un’attempata prostituta, Angiolina, vittima di crudeli soprusi da parte dei clienti, e il suo affittacamere, Enzo.
Ma la violenza della società meridionale non è espressa solo in forma drammatica, come nei casi citati, ma anche attraverso il ricorso al registro ironico e grottesco. In Salvati, di Cappelli, il protagonista è un regista-scrittore il quale, durante le riprese di un film tratto da un suo racconto, è costretto a subire le minacce di un repellente boss malavitoso che si esprime in un orribile dialetto barese. La violenza ancora, sia pure sotto forma allegorica, è presente in La gabbia dei coccodrilli di Calaciura, dove un giovane biondo, rinchiuso in carcere, diventa l’oscuro oggetto del desiderio degli altri detenuti, che alla fine arrivano a “divorarlo”.
Altri racconti però affrontano aspetti meno inquietanti della realtà meridionale. È il caso di Su alcuni aspetti del mercato del libro nel Mezzogiorno d’Italia di Franchini, che forse vuole essere anche una riflessione sul destino dei libri e della lettura oggi. Qui spicca la figura esilarante del napoletano don Procolo Falanga, che partecipa a una convention editoriale a Vienna e rievoca le fantasiose “strategie” che doveva elaborare per riuscire a vendere libri nel Mezzogiorno, negli anni Cinquanta e Sessanta. E così, in Seconda solo a Versailles, Piccolo tratta, con mano leggera e felice, il tema della noia nelle città di provincia meridionali, come Caserta, dove “ci sembra — scrive — che la vita, la vita vera, non passi mai […] che la vita vera stia da un’altra parte”.
Le prime esperienze lavorative, invece, sono alla base di Professionale del neretino Livio Romano, dove si narra la storia di uno studente universitario, che trova una prima occupazione come applicato di segreteria in un istituto professionale femminile. Qui conosce una serie di presidi, descritti con graffiante ironia, e assiste a vicende di ordinario malcostume scolastico. Una volta laureatosi, decide di accettare un posto a Bari in un’azienda di riciclaggio, rifiutando un dottorato di ricerca, garantitogli dal suo preside in cambio di favori fatti a un docente universitario.
Il racconto si segnala, oltre che per la gustosa delineazione di ambienti e personaggi, per la ricerca compiuta sulla lingua, una lingua composita, che mescola dialettalismi ad anglicismi ormai inevitabili (il linguaggio dell’informatica), a termini del parlato giovanile-studentesco, in un impasto originale ed efficace.
[In «Quotidiano di Lecce», 29 novembre 2000; poi in A.L. Giannone, Le scritture del testo, Lecce, Milella, 2004]