di Antonio Errico
Quell’autore misterioso che è Elena Ferrante, ha un’idea suggestiva, forse anche emozionante, di letteratura. Probabilmente è un’idea che in taluni casi può corrispondere alla verità, a condizione che la letteratura sia una faccenda in cui si crede: in cui si crede veramente, senza infingimenti, senza riserve. Dice dunque Elena Ferrante che “una poesia, un romanzo, un racconto, sono colpi di dado e per quanto tutto il corpo si concentri nel lancio, per quanto assommi in sé con molto studio tutta l’energia e tutta la perizia letteraria stipata nelle biblioteche, il lancio deve fare i conti con la fortuna”. Dice che scrivere è un gioco d’azzardo e che raramente si vince. L’azzardo dello scrivere riusciva raramente già quando i libri parevano scritti in cielo, “figurati adesso che nessun dio fiata”.
Così dice, dunque, Elena Ferrante in un articolo su “La lettura” del Corriere della sera.
Questa è la sua idea di letteratura, che probabilmente, qualche volta, forse raramente, corrisponde alla realtà. Noi qualcuno lo abbiamo conosciuto. Qualcuno che ha vissuto la letteratura come un gioco d’azzardo, che ci ha creduto in modo assoluto, lo abbiamo conosciuto.
Erano creature che sapevano perfettamente che quella cosa chiamata letteratura chiede molto, costa troppo, pretende in modo sproporzionato e non restituisce mai niente di quello che pretende e che si prende. “Sì, qualche volta l’ebbrezza/ d’esser vicini a qualcosa/ ma in che rari momenti/ e a che prezzo/ d’insofferenze, di rotture/ d’ogni più delicata trama d’affetti”. Così scrisse una volta Vittorio Bodini.