di Guglielmo Forges Davanzati
La tesi fondamentale del libro di Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti, Stefano Lucarelli, La guerra capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista, con la postfazione di Roberto Scazzieri, Mimesis Editore, Milano-Udine, 2022, è la seguente: i processi di centralizzazione che caratterizzano il capitalismo contemporaneo mettono seriamente in discussione gli assetti democratici, anche solo con riferimento alla democrazia occidentale e liberale. In più – ed è questa la considerazione qui più sviluppata – questo risultato può implicare il porre le condizioni per la guerra capitalista. La centralizzazione capitalistica si realizza, secondo gli autori, mediante la solvibilità delle imprese, in una dinamica nella quale le grandi imprese assorbono le piccole imprese. La condizione di solvibilità – nello schema analitico proposto – è data dalla differenza fra ricavi monetari e costi monetari inclusi gli interessi passivi. Si dà anche una solvibilità settoriale, che riguarda gli scambi di beni intermedi fra capitalisti. La solvibilità del sistema è determinata dalla variazione dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale, dal momento che un aumento dei tassi di interesse comporta passività finanziarie in aumento e, sotto date condizioni, un intensificarsi della centralizzazione dei capitali. Da notare – ed è questo un tema che il volume non affronta direttamente – che i processi descritti sono anche attinenti ai nuovi rapporti centro-periferie, con particolare riferimento alle dinamiche di “mezzogiornificazione” individuate da Paul Krugman e riprese in Italia, in particolare, da Augusto Graziani e poi in tempi recenti da Emiliano Brancaccio, coautore di questo volume. La “regola di solvibilità”, per la quale una variazione in aumento dei tassi di interesse genera variazioni delle passività finanziarie, stabilisce che la Banca centrale può indurre “sofferenze finanziarie” (quindi fallimenti, liquidazioni, fusioni, acquisizioni), rendendo insolventi gruppi di imprese (p.85): la manovra dei tassi di interesse, per questa via, influenza dunque la distribuzione del reddito. Due aspetti del volume potrebbero essere sviluppati più dettaglio: 1) Occorrerebbe microfondare la centralizzazione tenendo conto delle specificità settoriali (almeno considerando beni di consumo e beni capitale). La microeconomia neoclassica indurrebbe ad attendersi che la centralizzazione sia associata a un aumento della concentrazione industriale e che quest’ultima implichi una tendenza all’aumento del mark-up e, dunque, dei prezzi. Ma quand’anche così non fosse, non è molto chiaro per quale ragione, seguendo gli autori, la centralizzazione si sia manifestata o sia stata accelerata in una fase di deflazione. Ciò anche considerando quanto scrivono, e cioè che la centralizzazione del capitale implica e riflette crisi economiche. 2) Sarebbe stato e sarebbe interessante esplorare i nessi fra crescente centralizzazione e andamento della produttività, tenendo anche conto dell’andamento non esponenziale di quest’ultima nei Paesi OCSE.