Daria (parte prima)

   Il professore si sentì dispiaciuto e come in parte responsabile di una insufficienza assegnata ad una allieva. Gli venne in mente un’opera di Italo Calvino, Gli amori difficili. Ci stavano fantasia e passione. Consigliò l’acquisto e in alternativa il prestito in biblioteca.

   «Sarebbe per tempi appunto difficili» commentò.

   «Le dispiace dirmi in breve l’argomento, i temi?»

   «Dovrebbe concedermi qualche minuto, ma verifichiamo prima se hanno il libro.»

   «Più di un minuto.»

   Non le dispiaccio, lui pensò.

   Si avvicinarono alla cassa. Una copia risultava disponibile.

   L’impiegata si allontanava verso l’apposito scaffale.

   «Sono Dario.»

   Lei parve non aver sentito, ma dopo qualche secondo: «Io Daria.»

   All’uomo col sorriso di meraviglia lei propose di bere insieme un caffè nell’attigua sala bar. Avrebbe apprezzato la gentilezza di una introduzione alle storie d’amor difficile.

   «Sarà come fossi ritornata a scuola.»

   «Lei conosce qualche altra opera di Calvino?»

   «No. Ma so che è uno dei grandi del Secondo Novecento. Dai ricordi di scuola adesso mi viene in mente di uno strambo cavaliere.»

   «Il cavaliere inesistente.»

   «Sì, ma allora avevo tutt’altro da badare che al cavaliere che non c’era.»

   «Una favola di formazione. Agilulfo, un gioco surreale tra vuoto e pieno, tra materia e forma. Avvincente per le fanciulle.»

   «E sarà che devo ritornare a badarci.»

   La sala bar della libreria era vuota. Scelsero di sedersi esposti alla forte luce di una finestra. Adesso per Dario era possibile fissarla più a lungo, osservare con calma la donna seduta con le gambe accavallate e che nel generale suo aspetto espandeva prepotente la forza seduttiva. Un non comune ritratto di bella giovane con l’eccezione degli occhi un po’ cerchiati, in buona ragione da stress. Non portava fede o anelli.

   Io Dario, lei Daria. Devo crederle? pensò mentre si adoperavano con zucchero e cucchiaino. Se questa offerta del caffè è una richiesta di compagnia a me va bene, tanto non ho donna a cui render conto. La chiamerò Daria ripetutamente e noterò la sua reazione.

   Lei cominciò col dire che si confortava nelle letture da quando due mesi prima era stata licenziata. Impiego in un centro chiamate, lavoraccio che sarebbe da eliminare per legge come tra i più umilianti. Non solo la gabbia di separazione dagli altri, ma anche le risposte dei contattati, falsamente gentili, mezze irritate, offensive talvolta e alle quali è vietato rispondere a tono. Per non parlare dei deficienti che ti lasciano spiegare e poi dicono che la proposta commerciale non interessa. Se poi hai la possibilità di lavorare da casa le mura della prigione te le alzi da te.

   «Avrai cercato altri lavori.»

   «L’ho fatto, ma le proposte erano da fame. Contratto di un mese, rinnovabile.»

   «Mi dispiace, Daria. Vien da sperare, vista la marea di licenziamenti, che il mondo produttivo si affretti con l’intelligenza artificiale. Parte del valore meccanico verrebbe distribuito come sussidio a chi si trova disoccupato.»

   «Il reddito di cittadinanza, come dicono.»

   «Reddito di eredità scientifica e tecnologica. Da arrivarci togliendo i grandi sistemi strategici dalle mani dei pochi.»

   «Toglieteli voi di scuola che maneggiate idee rivoluzionarie. Io intanto sto pensando di avviarmi ad un lavoro in proprio. Terapeuta per uomini afflitti, ho pensato.»

   «E avrai successo consigliando agli amici la lettura di romanzi gialli dove la vittima rimane regolarmente illacrimata.»

   «Buona idea. Con una aggiunta alla normale tariffa.»

   Aspettò una risposta bruciandolo con lo sguardo.

   Terapeuta? Tariffa? No. Ha trovato uno con la disposizione ad ascoltare, pensò Dario. Se fossi un uomo sgradevole non mi avrebbe rivolto nessuna domanda sul libro e non mi avrebbe invitato a bere un caffè.

   Gli sembrò stupido non cercare le parole ambigue attinenti alla conversazione iniziata.

   «Se parliamo di afflizione mi propongo come tuo primo paziente.»

   Si aspettava un sorriso che però non venne.

   «Tu, uomo di lettere afflitto?»

   «Può succedere.»

   «Non mi è capitato ancora un intellettuale afflitto.»

   Battuta devastante in Dario che fu percorso da un fremito di desiderio. Già la vedeva nuda. Intanto raccoglieva i pensieri per una introduzione al libro appena acquistato. Sarebbe stata lei a dargli il numero di telefono o doveva chiederlo lui? 

   «Ecco, con Calvino consiglierei…»

   «Ci ho ripensato. Non dirmi altro. Magari ci si ritrova qui quando avrò finito di leggerlo.»

   Aveva detto qui. Cominciava tra loro una partita. Cos’è questo modo di sconvolgere uno che non ti ha chiesto nulla? Ma perché, scusa, l’offerta deve essere sempre brutale? Tipo: ti va di fare quello che non fai con la tua fidanzata? No. Non mi farà nessun invito di recarmi a casa sua. O ha l’abitudine di attaccarsi al primo che le bada o sta davvero male. Di più, se proponessi io il contratto, sono sicuro che mi abbandonerebbe in un istante.

   Non c’era però traccia di un parlare sbrigativo.

   Lei cominciò a raccontare in tono disinvolto e come a intendere di una esperienza chiusa nel passato che aveva provato con un amico cui si era già concessa una volta per avventura. Lo aveva chiamato per un aperitivo ipotizzando che con qualche manovra civettuola lo avrebbe iscritto a cliente fisso. Lui alla notizia che la ragazza aveva perso il lavoro si era offerto di aiutarla in nome dell’amicizia. Ma aiutarla quanto? Per quante volte?

   «Non volevo essere una mantenuta. C’è un nucleo di libertà che non si vende. Accettai i cento euro.»

   Ritentò con un altro amico, sposato, che un tempo l’aveva amata senza ottenere nulla. Stesso quadro. Proposta di soccorso con una somma da versare in diversi momenti. Ancora rifiuto.

   «Non pretendeva nulla fino a quando non avessi ritrovato il lavoro. Beh, perdevo la consolazione dell’amicizia con l’opportunità che il maggior tempo della seduta trascorre per chiacchierare e minimo per sbrigare. E già capivo che un incontro deve costare salato, se no la terapia non funziona.»

   Stava apprendendo l’arte.

   «Comunque non avrei smesso di cercare una occupazione.»

   La meretrice onesta un impiego concorrente deve averlo.

   L’insistenza su tal genere di racconto induceva Dario a pensare che fosse di carattere allucinatorio, che la ragazza fosse sotto effetto di qualche farmaco antidepressivo così da riuscire a confessare un disagio e lui in quel momento fosse solo l’ascoltatore indistinto. Vergognandosi del desiderio dovuto alla perturbante vicinanza della donna, pur con qualche difficoltà riuscì a portare la conversazione sul proprio lavoro di docente. E osservò che Daria interveniva con continue e sensate domande. Insomma una con i piedi ancora nella realtà nonostante lo shock del licenziamento.

   Forse mi legge il desiderio, pensò. Scruta nelle mie parole, nelle mie risposte. Se vuole, può davvero prendersi cura anche di me. Una malattia sicuramente me la trova. Quando fossi a casa sua toccherà a me affabulare e a lei accogliere in silenzio le mie fissazioni. Pagherò per raccontare quel che mi viene in testa, ma anche per la curiosità di ascoltare lei e insieme soddisfarla a letto.

   «Vedo che sei sorpreso» lei disse interrompendolo sugli argomenti scolastici. «Scusa se ti ho turbato. Ma avevo capito che sei una persona che ascolta.»

   Detto solennemente. Che altro?

   «Sono uno che cerca storie nelle librerie e talvolta le trova in viva voce.»

   «Bene, Dario, allora, in caso ti interessasse sapere se il tuo consiglio su Calvino è andato a buon fine, ti do indirizzo e telefono.»

   Dalla borsetta estrasse un biglietto scritto a mano che lui ripose in tasca senza leggerlo.

   «Ci vediamo allora?»

   «Sì, ti chiamo.»

   Vi avrebbe poi letto il nome Dora. Senza cognome. Già il nome d’arte o prima si era divertita a fargli il verso con Daria?

Perché non dovrei chiederle un appuntamento? Sarebbe per me la prima volta di un incontro di tal genere. Sono un coniglio? No. In realtà io sono stato cercato. L’ago della ruota dopo altri numeri si è fermato al mio. Il sistema mi individua come l’uomo che potrebbe aiutarla, non dico salvarla. È una bella donna. A casa sua che genere di conversazione svilupperemo? Potrei andare oltre Gli amori difficili? Scopriremo libri letti da entrambi? E se avesse letto Resurrezione di Tolstoj? Come lettore non mi sono innamorato di Caterina Maslova? Prostituta incolpevole, giovane vittima di una società crudele.

   Insomma perché non doveva telefonarle per un appuntamento? Dario già stava concentrando il pensiero sul momento centrale dell’incontro: il passaggio dalla parola al silenzio, diciamo alla prima carezza. Quale parola? Seria, allegra, sboccata? Ma una aspirante terapeuta di uomini afflitti è già avviata sul lessico, sul tocco personale. Fossi anch’io uno dalla battuta facile, freddo per natura, cliente abituale di professioniste del piacere. Non lo sono. Lei ricorrerà alle manovre infallibili che ti disarmano senza che tu resti impalato e con le battute stupide. Con una scusa si allontana, va in camera e da lì chiama. Si fa trovare sotto le coperte e al tuo entrare, voilà, le tira via e si fa vedere nuda. All’uomo piace contemplare e vagando con l’occhio cupido riesce ad emettere storte sillabe. Non rime di poeta laureato.

   E adesso ditemi perché non dovrei telefonare a questa Dora.

   Pensa se fossi io costretto un giorno ad essere pagato da donne. Potrei accettare solo le giovani e simpatiche. Dovrei acquisire il repertorio adatto, buono a scacciare ogni titubanza della femmina ormai sfinita dall’astinenza. Mah, dico così perché mi conosco idoneo al veloce apprendimento. E fossi rimasto un caprone? Avrei clienti solo tra chi cerca il caprone, non tra donne che leggono libri. Decise di telefonare. Sarebbe stata una eccezionale occasione per leggere in un’anima il conflitto tra odio puro e vena di simpatia. Con una conversatrice come lei era assicurata la reciprocità anche di altro godimento. 

L’abitazione si trovava nel quartiere orientale della città. Tre del pomeriggio. Si era immaginato una accoglienza che aprisse la via alla camera da letto. Un abbraccio come tra vecchi amici con qualche frase acconcia a significare onesto e rispettoso desiderio. Constatò invecela convenzionalità del caffè con pasticcini e l’andare e venire di lei. Si aspettava qualche domanda spiritosa. Sei sicuro di non avere sbagliato indirizzo? Hai abbandonato da poco un altro letto? Sarebbe stato il semplice sdoppiamento nell’esercizio del mestiere che lui come insegnante aveva appreso velocemente. Sorprendere con battute atte a deviare, a smorzare, in sostanza a generare spettacolo, a incantare. Dora non aveva ancora imparato a sdoppiarsi, a recitare. Senza trucco si presentava. O forse su quel viso chiaro di bionda non c’era nulla da correggere. Anche il cerchio del mattino agli occhi era sparito. Pareva intimorita e come di avere accolto in casa qualcuno che l’avesse assediata da lungo tempo, un ostinato corteggiatore cui dover confessare che ci stava, sì, per compagnia qualche volta, ma che mai avrebbe potuto amarlo.

   Nel dare una occhiata al modesto mobile libreria affiancante il divano su cui si era accomodato riconobbe tra i cd la Gran Partita di Mozart e nella mente partirono le note dell’Adagio.

   Sarebbe già sufficiente un casto abbraccio mentre si ascolta questo canto degli angeli, pensò.

   Dora sedette a contatto di gomito, ma rimasta nel suo primo vestimento con maglia e gonna lunga. In mano il libro di Calvino.

   «Mi piace ascoltare un professore di lettere.»

   «Tendo a non finirla più quando comincio.»

   «Ti darò io il segnale quando avrò avuto tutte le chiavi di interpretazione.»

   Si accorsero dello scivolare del segnalibro sul tappeto ed entrambi si piegarono per riprenderlo urtandosi leggermente col braccio. La scusa di lui fu una carezza. Il seguito avvenne sull’ampio divano restii a nudità eccessive e nel timore di influenze negative in camera da letto. Sulla partecipazione piena di Dora nessun dubbio.

   Venne il momento per Dario di estrarre il portafoglio dalla tasca della giacca.

   «Non darmi nulla adesso. Pensi di tornare nei prossimi giorni? Mi informo sulla giusta cifra.»

   Ultime parole dette però in tono ironico. Da chi informarsi?

   «Ti lascio intanto questo. Non si sa che intervenga qualche impedimento per me o per te. Ti telefono comunque.»

   Posò la somma che ritenne giusta e generosa.

   Lei non ritirava le banconote. Era rimasta presso la finestra della quale aveva riaperto i vetri. Illuminata di profilo.

   «Dora.»

   «Sì?»

   «E se questi li spendessimo insieme a cena?» 

   «Via gli impedimenti?»

   «Via. Tieni tu allora.»

(continua)

[Racconto tratto dall’opera La collega di religione, QuiEdit, Verona 2022]

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