Un nuovo anno tra speranza e memoria

Nessun anno  rassomiglia mai ad un altro  che è passato. Non rassomiglia mai un’ora ad un’altra ora, un istante ad un altro istante.  Non rassomigliamo neppure noi a noi stessi, a come eravamo nell’attimo appena passato. Noi rassomigliamo alle storie che il tempo ci consente di vivere.  A volte questo ci fa piacere, a volte ci dispiace.  A volte ci inquieta, ci impaurisce, a volte ci consola. Si vorrebbe che l’anno  avesse certe somiglianze con il vecchio, che non ne avesse altre. Si vorrebbe che l’anno nuovo fosse come quello che è passato, se la vita che è andata ha portato contentezza; si  vorrebbe fosse un po’ diverso, assolutamente diverso, se la vita che è andata è stata un po’ bene e un po’ male, se è andata come proprio non doveva andare, come non avremmo proprio voluto che andasse.

Alla fine di un tempo che ci appartiene, all’inizio di un altro, avvertiamo la necessità di recuperare il senso delle cose fatte, di comprendere perché non ne abbiamo fatte altre, di fare il resoconto delle promesse che abbiamo mantenuto, di quelle che non abbiamo rispettato. Forse avvertiamo qualche rammarico, qualche rimpianto. Forse qualche nostalgia, qualche compiacimento.

Il tempo autentico è quello che ci portiamo dentro, con le sue felicità e i suoi dolori. E’ il tempo di dentro che non conosce ambizioni, ma soltanto sincere speranze e profonde memorie. Il tempo di dentro è mescolanza di ogni dimensione. E’ linea, cerchio, vortice, profondità, superficie, leggerezza, pesantezza, passione, armonia, disarmonia, impercettibilità e percezione, ieri oggi domani, principio e conclusione. Si potrebbe chiamare tempo dell’anima, forse.  Dice Agostino nelle Confessioni che è nell’anima la misura del tempo, nell’impressione lasciata dalle cose mentre passano e che dura anche quando sono passate. Poi dice: “E allora: o questo è il tempo, o io non misuro il tempo”.

Allora il tempo che conta è quello che scorre in verticale, che scende, sprofonda; è quel tempo che si sviluppa e matura memoria, che si stratifica e configura la nostra esistenza, il nostro modo di confrontarci con gli esseri, le storie, i paesaggi, il presente, il passato, il futuro.

Gli anni vanno e vengono, vengono e vanno. Quelli che vanno si portano dietro tutto quello che riescono a calcare nella bisaccia.

Contano in ragione di quello che ci lasciano dentro, che si riflette allo specchio levigato dai ricordi. Gli anni che aspettiamo contano in ragione della nostra ansia di confrontarci con l’ignoto. Siamo viandanti nel nostro tempo che cercano di scrutare l’orizzonte, di immaginare le figure di chi vorremmo incontrare, disegnare paesaggi di esistenza in cui vorremmo ritrovarci. 

“Oh che vita vorreste voi dunque?” domanda il passeggere della famosa Operetta di Giacomo Leopardi.
Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti”, risponde il venditore di almanacchi.

Ecco che  si manifesta  il sentimento dell’Eterno; ci si affida senza condizioni al suo volere, ai suoi imperscrutabile disegni. Con la consapevolezza che si vive un giorno, un’ora, un istante alla volta e una volta per tutte, e che possiamo contare soltanto sulla volta che abbiamo vissuto, e che ciascuno ha il proprio giorno e non può fare paragoni con quello di un altro, non può considerare analogie e differenze. Forse il tempo di dentro si potrebbe anche chiamare destino.   

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 8 gennaio 2023]

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