Manco p’a capa 122. Sessantottini e “gretini” nella politica italiana

di Ferdinando Boero

I “gretini” che imbrattano i vetri che coprono le opere d’arte e le facciate degli edifici del potere mi ricordano i sessantottini di 50 anni fa: giovani che si ribellano al “sistema”. Il problema ambientale nel 68 non era ancora sentito, anche se il mondo scientifico lo stava affrontando e una parte dell’opinione pubblica si stava mobilitando in tal senso. Ma erano borghesi abbienti che si preoccupavano dei “bei posti” del pianeta, anelando di salvare qualche specie carismatica. La Scuola di Roma pubblicava i Limiti della Crescita ma nessuno ci faceva caso, nel mondo politico e nella società civile. I contestatori chiedevano altro, prima di tutto maggiore libertà, e il miglioramento delle condizioni economiche. Ottennero risultati parziali, ma il dissenso fu criminalizzato con la strategia della tensione. Le bombe di cui ancora non conosciamo i mandanti ma solo gli esecutori innescarono un desiderio di “ordine” in gran parte dell’opinione pubblica. Le manifestazioni, represse violentemente, portarono a risposte armate, e poi al terrorismo. Dai cartelli per la strada, alle P38. Risultato? La deriva verso la violenza e gli omicidi portò all’emarginazione del dissenso. Un dissenso rabbioso, ma non disperato: c’erano margini di crescita e di ascesa sociale. I sessantottini figli di operai (io sono uno di loro) diventarono professori universitari, avvocati, ingegneri, architetti, medici e presero un ascensore sociale che li “imborghesì”. Confesso che quando mi appassionai alla biologia marina (al secondo anno di università) mi allontanai dalla politica attiva dei vari movimenti che avevo frequentato. Senza capire bene il motivo, trovai più interessante studiare la biodiversità che addentrarmi nelle infinite discussioni delle assemblee di quei tempi che, in alcune menti esaltate, sfociarono nella “lotta armata”, una scelta scellerata, senza sbocchi e prospettive. Spesso manovrata da poteri nascosti.

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