Quelle presenza vaghe e misteriose: Leggende italiane di Antonio Errico

Suona Vivaldi una melodia imperiosa, leggera, magica, mirabile, superba, sublime mentre la febbre lo infiamma fino a trovare la pace eterna del mattino. Declama Torquato Tasso, ogni notte del sedici di ottobre, i versi per l’amata Marfisa; la schiera degli amanti abbandonati segue la carrozza. Adombrato dai pensieri su una spiaggia di Calabria, guarda all’orizzonte sparire la carrozza di Morgana il Gran Conte Ruggero d’Altavilla, figlio di Tancredi.

Rielabora, reinventa Antonio Errico. Lavora sulle storie come se dovesse intervenire su un cuore pulsante, con l’attenzione di chi sa di avere a che fare con un organo misterioso, unico e incomparabile. Lo fa senza bisturi, senza un protocollo scientifico. Lo fa nel suo stile – una voce  sempre riconoscibile – seguendo quel campo di energia che si chiama passione per la scrittura. Lo fa ricordandoci che certe presenze misteriose potrebbero esistere perché di esse abbiamo bisogno, allo stesso modo per cui abbiamo bisogno dei sogni. Ne ha bisogno il nostro vivere tormentato, la nostra quotidianità nutrendo così il desiderio di abitare un mondo più saggio, più giusto e più bello.

Ricostruisce, rimaneggia Antonio Errico lo fa con la convinzione che se non ci raccontiamo finiamo per dimenticarci. Per dimenticare che storie e leggende sono la ricchezza di un popolo e dei popoli di tutto il mondo, attraverso quel crocevia di culture che contribuisce a formare la famiglia umana.

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