di Gianluca Virgilio
Il 7 novembre 2022 Giorgio Agamben, nella rubrica online Una voce della Casa editrice Quodlibet, pubblica Per i giovani, un breve scritto nel quale a me pare che abbia voluto mettere in guardia costoro, e non solo loro, dalla infinita tristezza della condizione in cui oggi essi vivono. Ma chi sono i giovani per Agamben?
“Certo giovinezza e vecchiaia convivono finché è vivo in ciascuno e ci portiamo dentro a ogni istante il giovane che siamo stati, così come il giovane presentiva lucidamente e perentoriamente la sua vecchiaia.”
I giovani, dunque, non costituiscono una classe d’età anagrafica in senso stretto, ma sono gli uomini, non importa l’età, che sentono ancora in sé la forza della giovinezza, al di là della misura del tempo, nella quale la società contemporanea vorrebbe irretirli e avvilirli.
“È proprio questa contemporaneità dei tempi e delle età che si è andata perdendo, così che oggi i giovani diventano vecchi anzitempo e i vecchi si credono giovani fuori tempo.”
Pertanto, questo scritto non è rivolto ai giovani, ma è Per i giovani, non complemento di termine, ma di vantaggio, secondo quanto ci dice il filosofo sin nell’esordio, “Non so se abbia senso credere di potersi rivolgere a dei “giovani””. Lo scritto non contiene infatti un’allocuzione, ma una lezione utile a tutti, in cui il testo letto e commentato ha il valore di exemplum e serve a spiegare l’assunto. Questo testo è intitolato Il Suicidio ed è stato scritto il 23 agosto 1914 da “una ragazza di ventidue anni, Carla Seligson, …. a Walter Benjamin pochi giorni dopo che sua sorella Rika si era suicidata insieme al fidanzato, il poeta diciannovenne Christoph Friedrich Heinle.”
Allo scoppio della Grande Guerra i due giovani si erano suicidati, con una decisione ferma che li porta a scegliere tra due condizioni, che altro non sono che le due età della vita: la gioventù e la morte. Essi scelgono la morte, dimostrando, scrive Agamben, un’ “intatta consapevolezza della serietà della propria condizione che vorrei ricordare a chi oggi crede di essere giovane.”
Quando non è possibile essere giovane, è meglio il suicidio, come accadde ai due fidanzati, la cui giovinezza era minacciata dallo scoppio della prima guerra mondiale. “Chi oggi crede di essere giovane”, al contrario, parla con frivolezza della possibilità di una guerra atomica: “Vorrei che i giovani riflettessero su questa decisione oggi che il discorso sulla guerra atomica è diventato qualcosa come una chiacchiera quotidiana.”
Mentre il mondo va a fuoco, i cosiddetti giovani, in realtà vecchi a prescindere dal loro tempo anagrafico, dormono e non si accorgono di quanto accade intorno a loro. Ma questi non sono giovani e neanche sono degni del suicidio come atto di scelta, sono solo dei morti viventi, degli zombi. Sono uomini privi di “serietà”.
Interpreto questo scritto come uno schiaffo non solo ai giovani in senso stretto, ma all’intera nostra società, che ha dimenticato cosa vuol dire essere giovane e non sa cosa vuol dire la morte.