Il filosofo francese Blaise Pascal afferma che la vita dell’uomo giri proprio intorno alla ricerca della felicità: si tratta di un impulso insopprimibile, che si cerca di alleviare attraverso il divertissement, inteso, quest’ultimo, come deviazione dalla propria condizione. Infatti, nella pima parte dei Pensieri, collezione postuma di frammenti, Pascal rivolge un’aspra critica alla società del suo tempo, nella quale il “divertimento” era una prassi assai diffusa che, nella sua declinazione estrema, portava a dimenticare la propria essenza, diventando un vero anestetico. Figura emblematica del discorso di Pascal è il re, colui che è pienamente appagato dal punto di vista materiale, ma pieno di miseria se privo di distrazioni che lo distolgono dalla riflessione su sé stesso. Perciò, dato che l’uomo non riesce a non ricercare la felicità, il filosofo francese mette in evidenza l’importanza del fatto che tale ricerca avvenga attraverso strade “buone”, come per esempio la passione, che può costituire lo strumento adeguato per permettere all’uomo, accompagnato dalla fede, di tendere verso l’infinito, cioè verso l’immortalità.
Il pensiero di Pascal potrebbe essere ricondotto pienamente alla società contemporanea, caratterizzata, però, da iper-connessioni e da legami virtuali. Ognuno di noi trascorre le giornate svolgendo una molteplicità di mansioni, dedicandosi alle proprie passioni e curando le relazioni con gli altri, diventate per lo più virtuali. L’affannarsi nel raggiungere gli obiettivi che ci si è posti, o anche il coltivare degli interessi costituiscono, per citare Pascal, dei “potenti anestetici”. Questi ultimi riempiono la nostra quotidianità e sono perciò in grado di distoglierci da qualsiasi tipo di pensiero che riguardi l’essere profondo, l’interiorità. Si tratta di un abile stratagemma che ci permette di rimandare continuamente il confronto con la realtà, perché ci fa credere che ciò per cui ci stiamo impegnando sia la vera felicità e che, una volta raggiunta, vivremo in una condizione di totale appagamento.
Una proposta diversa è quella di San Francesco D’Assisi, che ragiona sul concetto di felicità introducendo la categoria del rifiuto per illustrare come può essere declinata la ricerca.
Quando San Francesco bussò al convento di Assisi per chiedere ospitalità, questa gli venne negata, poiché nessuno necessitava il suo aiuto o la sua presenza. Precisamente da questo episodio è possibile identificare la perfetta letizia che, secondo San Francesco, risiede in un amore perfino più forte del rifiuto ed in grado di essere condiviso e valorizzato, tanto nei momenti positivi, quanto in quelli negativi, che non devono farci perdere la speranza. Da ciò scaturisce la logica del dono, l’essere disposti a dare la propria vita per l’altro, la vera letizia e l’unico motivo di gloria.
Uno spunto d’analisi simile per alcuni aspetti è fornito da Nicola Abbagnano, filosofo italiano. Egli parla della felicità come di un tema ricorrente in ogni epoca, ma lo intende anche come un problema costante e stabile nell’umano. Abbagnano si discosta dalla concezione di felicità equiparata alla beatitudine religiosa e parla anch’egli del dono di sé, di amore per la vita attiva e piena di speranze, simile all’idea di libertà. Ed è proprio questa, a suo parere, la via della felicità.
Tuttavia, una prospettiva diversa è fornita dallo scrittore italiano Alessandro D’Avenia che, in data 1 novembre 2021, scriveva così in un suo articolo pubblicato sul “Corriere della Sera”:
Quando ho chiesto ai miei ragazzi di ricordare l’episodio più felice dell’estate, hanno riportato sempre e solo momenti in cui si sono sentiti «uniti» (con-tenuti) agli altri (amici, amori, familiari…) e al mondo (luoghi e momenti speciali). Non c’era traccia di sballi ma di balli dell’anima, non c’era traccia di solitarie connessioni digitali ma di con-tatti reali. Inoltre le situazioni descritte si accompagnavano sempre a una percezione del tempo particolare: «volava», espressione che indica il fermarsi dell’orologio, la vita eterna, che non è la vita dell’aldilà ma dell’aldiquà, quando è intensa, piena di senso, di «con-tenuto» e quindi di «con-tentezza».
Appare emblematica la risposta data dagli studenti che, interrogati sull’episodio più felice della loro estate, hanno fatto riferimento alla nozione di tempo. Quest’ultimo, dicono, sembrava scorrere velocemente e non aveva più l’importanza che gli diamo quotidianamente, quando anche un solo minuto in più guadagnato è prezioso. Ancora più rilevante è che la felicità venga associata ad una condizione di unione con il prossimo, in assenza di legami virtuali e di trappole digitali. Questo passaggio è particolarmente interessante poiché evidenzia la purezza delle relazioni umane in una realtà che tende ormai a considerarle come qualcosa di costruito artificialmente. Al contrario, gli studenti si sentivano uniti quando erano con gli altri e ciò contribuiva a rendere quei momenti speciali.
Quindi, nonostante la ripresa della routine quotidiana dopo le vacanze è spesso accompagnata dalla tristezza, come scriveva D’Avenia sul “Corriere della Sera” del 5 settembre 2022, la vera sfida è riuscire a trovare la gioia anche in una vita fatta di impegni ed orari prestabiliti, in cui però essi non si trasformano in un anestetico in grado di obnubilare i nostri pensieri, ma in una possibilità di mantenerci “liberi”, in ascolto, in grado di cogliere le occasioni e di creare legami costruttivi e forti che possano accompagnarci lungo la strada della ricerca della felicità. Una strada che probabilmente non ci condurrà mai alla mèta, ovvero la felicità, ma che varrà comunque la pena di percorrere se, come scrive Eugenio Montale:
Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.