di Antonio Devicienti
È un buon luogo, questo, per ritrovarsi a conversare: il mare invernale, lasciato finalmente solo, si dà in tutta la sua austera significanza ed è parca, commovente la sua bellezza priva dei facili trionfi dell’estate.
«Desidererei conversare del confine».
«Oh, qui in riva al Canale d’Otranto si DEVE conversare del confine».
«Sì: mare stretto che unisce e che divide, che suscita desiderio di vedere la riva di fronte, varco da cui è giunta talvolta la guerra, talvolta la speranza».
«È questo un confine di luce che sorge da Oriente e sale nel cielo inarcandosi sul mare: ma nessuna matita, nessuna macchina fotografica, nessun pennello sapranno rendere le trasparenze della luce e del buio che, invece, gli occhi di chi guarda respirano e toccano».
«E odono: perché questo confine ha il suono di cangianti increspature di luce e d’ombra».
«In inverno l’Adriatico restituisce sé stesso a chi vive sulle sue rive e si traccia confine tra la barocca stagione estiva e un tempo assorto e segreto».
«Monacale».
«Silenzio-confine che genera pensiero».
«E letture».
«Ma anche l’estate sa essere tempo di letture e di pensiero».
«Senza dubbio alcuno, ma vi manca, forse, la necessaria solitudine e rimane inabissato o dormiente questo confine che, invece, evidenziandosi nei colori invernali, invita alla frugalità».
«Confine-soglia, sommesso andirivieni. Scabri scogli. E neanche un’auto che transiti».
(Due voci danzano un loro dialogo. Roca Vecchia è sempre un buon posto per ritrovarsi a conversare).