di Antonio Errico
Vladimir Ipat’evic Persikov, luminare di zoologia, scopre un misterioso raggio rosso, capace di accelerare portentosamente la crescita di qualsiasi organismo vivente che vi si trovi esposto. La notizia trapela e viene diffusa con accenti sensazionalistici.
Al direttore di una fattoria modello viene l’idea di usare il raggio rosso per risollevare le sorti della pollicoltura sovietica messa in crisi da una inarrestabile moria. Persikov si oppone, inutilmente. Dalla Germania vengono importate uova di gallina per dare corso all’esperimento. Ma per errore le uova di gallina vengono recapitate al laboratorio del professore mentre alla fattoria modello arrivano uova di rettili destinate agli esperimenti di Persikov. Sotto l’effetto del raggio rosso queste ultime si schiudono liberando giganteschi serpenti che, distrutta la fattoria, si diffondono per tutte le zone circostanti, moltiplicandosi a ritmo vertiginoso e divorando uomini e animali. Devastano terre e avanzano travolgendo ogni difesa approntata da esercito, aeronautica, dal dipartimento della guerra chimica. E’ la trama, ridotta all’essenziale, delle Uova fatali, un romanzo che Michail Bulgakov scrisse nel 1924. Una metafora che dice la ragione per cui la scienza ha bisogno dell’umanità e dell’umanesimo degli scienziati.
Senza umanità, senza umanesimo, smette di creare progresso e comincia a procreare mostri, a generare barbarie.
Allora la distinzione tra sapere scientifico è sapere umanistico, oltre che innaturale, pretestuosa, artificiosa, irragionevole, anacronistica, è anche pericolosa semplicemente per il fatto che negando la sostanza originaria del sapere può provocare effetti di aridità delle conoscenze che identifichiamo come umanistiche e di degenerazione di quelle che identifichiamo come scientifiche.