(su Al mercato dell’usato)
di Vito D’Armento
È venuto organizzandosi – attorno all’opera di Paolo Vincenti – un così nutrito cenacolo di commentatori da rendere ormai non perseguibile un suo profilo compattato. I suoi recensori – almeno trenta, quelli che son riuscito a conteggiare con sbrigativa ricognizione (ma sono tanti, tanti di più) – ne hanno proposto approcci in egual misura differenti. Ritengo, tuttavia, che da qualche parte, si deve pur trovare un chip che identifichi e ci riconsegni tutt’intero – al di là di ogni interpretazione – il poeta del tempo, il rigattiere, lo scrittore, che canta con Renato Zero e De Gregori, che recita con Quasimodo e Verlaine, fino a farsi coreuta nelle tragedie di Euripide.
Siamo alle solite, comunque: quale approccio critico potrebbe mai legittimamente riconsegnarci una con-figurazione attendibile di una scrittura che, così parrebbe e così vien fatto credere, avrebbe sempre bisogno del supporto di qualche chiosa che la renda comprensibile? Non solo permarrebbe lo iato tra il poeta e la sua poesia, ma resterebbe ancora irrisolta una conseguente questione: come decostruire un tale congegno, invertendo magari la direzione che non presupponga alcunché alla scrittura (e cioè una sua interpretazione prefigurata!) – risultando che un tale giochetto, poi, non è altro che un segmento di una coreografia più accademica che non veramente letteraria in quanto riduce gli autori a puri rompicapo da sbrogliare, mentre assume i critici come rabdomanti che dicono e non dicono quel che può veramente servire a lettori da orientare, infine, perché sappiano comprendere una scrittura che – più per decisione che non per definizione – non può risultare immediatamente chiara a chi non abbia fatto le scuole. Ed è così che, in una tale rappresentazione astratta ed inautentica del concreto mondo della poesia, non esistono lettori potenziali, ma solo da istruire – con metodi che l’Esopo di Vincenti smonta e delegittima oltre ogni irragionevole dubbio – oltre ogni incomprensibile perplessità. Messe così, le cose da sbrogliare non sembrano affatto risolvibili nel corso della presente chiosa. Che sembrano invece complicarsi dal momento che io stesso vado ad aggiungermi al cenacolo dei commentatori, inspessendo il cumulo degli approcci interpretativi trascritti in meta-scritture che continuano a restituirci pallidi profili letterari del Nostro: e non si trascuri il fatto che non mancano recensioni che pure scandagliano la sua scrittura consentendo di averne una sia pur leggera chiave di lettura – persuasiva ma non corrispondente alla complessità dei testi vincentiani. Provvisori, naturalmente, entrambi gli approcci – quello che ha inteso collocare Vincenti in una possibile letteratura salentina delineandone un profilo propriamente letterario e quell’altro che ha osato entrare nell’orchestrazione della sua scrittura che, non risultando affatto di facile spiegazione, rimane a tutt’oggi una questione ancora aperta.