di Paolo Vincenti
Il presente libro si pone in stretta continuità col precedente, Al mercato dell’usato (Catalepton), in quanto nasce dal medesimo motus animi e dalla analoga esigenza di porre mano al materiale già pubblicato. L’insoddisfazione, l’esasperata quanto vana ricerca del libro perfetto, il desiderio di cambiamento sono i sentimenti che soggiacciono alla stesura di questo volume, che raccoglie brani restati fuori dalla precedente raccolta. Una summa, stavolta conclusiva, di quei testi in prosa e in versi che, più o meno ritoccati, penso possano essere soddisfacenti. Un tarlo, quello del perfezionismo, che attanaglia molti scrittori e protagonista delle due prose finali, Vocazione e mestiere dello scrittore e La scrittura del tarlo (originariamente pubblicate entrambe in rivista), al centro delle quali è la figura di uno scrittore di fama ed eccezionale talento al cui confronto l’autore prova un certo senso di inadeguatezza e insieme la consapevolezza della impossibilità di raggiungere le vette del genio; al tempo stesso, è percepibile una malcelata ironia, che rasenta lo sberleffo, se si pensi ai toni enfatici e troppo ridondanti, per non essere quasi caricaturali, coi quali lo scrittore protagonista viene descritto.
Canto d’amor perduto, tratto da La bottega del rigattiere (2013), ha per protagonista Lino, il mitico cantore, figlio di Apollo, ed è un inno alla giovinezza perduta. Mi è sembrato opportuno inserire questo brano in apertura quasi fosse l’invocazione alla musa degli antichi poemi greci, perché sia Lino protettore ed auspice della raccolta. In Di amore vero (da La bottega del rigattiere), brano non privo di un fondo di ironia (soprattutto laddove viene citato, ma del tutto decontestualizzato, il Salento), è presente un rimando al famoso film di Peter Howitt, Sliding doors.
Il suicidio di Nanni (sempre da La bottega del rigattiere) è un puro divertissement, che sfiora il nonsense, così come Psico l’abile forever.
Come Salgari, che proviene dallo stesso libro del 2013, è un brano che fa sorridere nella sua ingenuità ma è uno dei primi in assoluto che io abbia scritto (avevo circa vent’anni) e per questo l’ho inserito.