Inchiostri 22. Frammenti dedicati a Carpignano Salentino, a Eugenio Barba e all’Odin Teatret

Lasciate le panchine in piazza, aggiungetene di nuove, la gente pretenda panchine ancora e nello spiazzo tra di esse l’antico calzolaio richiama alla mente i canti che sa (tanti), l’antico fabbro riprende in mano il violino. Dalle case intorno portano sedie, offrono il pane. Odino accende i fuochi e issa trampoli.

Libertà dell’andare e dell’incontrare.

La giornata a Holstebro: esercizio incessante. Il teatro oltre lo spettacolo, oltre il momento, il teatro nella profondità della vita.

Pedagogia e autopedagogia nel teatro. Ritrovare lo sguardo penetrante dell’Europa – e che l’Europa ritorni a vedere sé stessa.

Quando la sera accende i suoi fuochi in piazza si mescolano le lingue.

Il baratto accade tra persone e tra tempi della storia; tra luoghi e tra ricordi.

Tecnologia arcaica, la chiama Eugenio Barba – si riferisce ai modi tradizionali del teatro che potrebbero sembrare obsoleti nel presente “digitale”; e tuttavia l’Odin Teatret continua a scavare aprendo, dentro il presente, l’abisso del passato.

Artigianato teatrale, dice Eugenio Barba: è l’etica del saper fare, anzi, del saper fare “a regola dell’arte”.

L’Odin Teatret è essenzialmente politico, ribadisce Eugenio Barba e la polis si fa mentre il teatro si fa, mentre il teatro si cerca, mentre esso cerca la polis, mentre la polis lo pensa e lo scopre necessario.

Possiede un’identità di “straniero”, si definisce “migrante” Eugenio Barba quando racconta dei suoi inizi (è stato anche a Oslo, operaio, come Luigi Di Ruscio, per esempio); lo straniero reca dentro di sé questa doppia identità, figlio di un luogo che giace altrove, figlio adottivo del luogo che si chiama “qui”.

Carpignano non ha mai dimenticato quei giorni d’incontro e di baratto: così fecondo il pensiero meridiano.

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